ALESSANDRO PENATI, la Repubblica 20/2/2010, 20 febbraio 2010
CON I GIOCHI DI POTERE IL MERCATO MUORE - PER
chi segue titoli e mercati nel mondo, l’Italia sembra un pianeta a sé: da noi, strategie aziendali, bilanci e performance delle società in Borsa, sembrano secondari rispetto a nomine, potere, controllo, e intrecci tra pubblico e privato. così da sempre. Ma nel mezzo della più grave crisi del dopoguerra, questa peculiarità stride e preoccupa. Oggi, la questione centrale è se Geronzi diventa presidente di Generali. Quale sia la sua visione del futuro del settore assicurativo (che dovrà affrontare un decennio con rischi in crescita, e rendimenti reali quasi nulli), dei rapporti col sistema bancario, o come intenda cambiare governance o gestione dell’azienda, nessuno lo sa, e non importa più di tanto: neanche ai "grandi" soci, imprenditori e banche, ai quali l’investimento in Generali interessa, evidentemente, per ragioni diverse dalle fortune del titolo in Borsa (salvo poi lamentarsi della scarsa considerazione del mercato per Generali). Leggo che la mossa di Geronzi sarebbe dettata dalla necessità di dribblare le conseguenze di eventuali condanne: proprio la migliore premessa per guidare una delle maggiori società italiane.
Corollario della questione Geronzi è chi lo sostituirà in Mediobanca. Infuria il totonomine. Si discute del veto di Profumo (che pure è responsabile della nomina di Geronzi in Mediobanca, avendo lui comperato Capitalia, e pure strapagata) e della posizione dei "francesi" (Bollorè, Tarak Ben Ammar, e Groupama), che riescono sempre a dire la loro con solo il 10%: potenza delle relazioni, nelle quali sono maestri. Anche qui, del futuro di Mediobanca si tace, nonostante sia rimasta, nel panorama internazionale, piccola, locale e poco diversificata; e nonostante derivi gran parte del valore proprio dal controllo di Generali. stagione di bilanci: le prospettive per le banche rimangono grigie, ma per IntesaSanpaolo non si discute di accantonamentie sofferenze. Hanno tenuto banco il patto GeneraliCrèdit Agricole, fatto per evitare alla banca francese la svalutazione della partecipazione in Intesa (e questo la dice lunga sulle regole contabili delle banche); e le rivendicazioni della Compagnia di SanPaolo su nomine e "torinesità". Cosa c’entrino con la creazione di valore della banca, non si capisce.
Generali, Mediobanca e Intesa portano alla questione Telecom. Ma non si discute dell’azienda o del titolo, in chiaro declino, bensì del suo controllo: che i tre avevano acquistato solo per facilitare l’uscita di Tronchetti e guadagnare crediti a Roma con la difesa dell’italianità. Adesso, stufi di perdere soldi, vogliono usciree cercano di venderla a caro prezzo a Telefonica; che però non ha fretta, perché, proprio grazie agli italiani, partecipa già al controllo in Telco. In alternativa, con la scusa del digital divide, si potrebbe rifilare rete, debiti e costi allo Stato.
L’accoppiata controllo-localismo non ha distrutto valore solo in Telecom. In dieci anni, A2A e Acea hanno più che dimezzato il loro valore in Borsa: una catastrofe per delle utility.
Ma il problema sembra essere la separazione di A2A dai francesi in Edison, che però è frutto dell’avventata fusione di Aem con Edison (a difesa dell’italianità), fondata su debiti e alchimie finanziarie; e di quella con Asm, dove la spartizione di poltrone tra i Comuni di Milano e Brescia era prioritaria. E Acea? La questione vitale è se comanderà Caltagirone. L’azienda può attendere.
In Rcs, Rotelli presidente sembra importare più della crisi dell’editoria e di una campagna acquisti dissennata. Dimenticavo: quale poltrona per Barbara Berlusconi? Per il resto, la Borsa sta offrendo una trafila di dissesti, crisi e ristrutturazioni: Burani, Zunino, Safilo, Valentino, Ferretti, Seat, IT Holding, Pirelli RE, Alitalia, Pininfarina, Viaggi del Ventaglio e molti ancora: a Piazza Affari, una su sei è in crisi.
Ai tempi di Cirio e Parmalat abbiamo distrutto il mercato dei corporate bond. La Borsa, con le quotazioni in calo costante, è diventato un mercato del controllo per pochi, e per troppi un canale per rifilare "pacchi". Così il mercato dei capitali italiano sta diventando irrilevante. Non interessa ai capitali stranieri, che già da anni evitano l’Italia; e neppure agli italiani, che preferiscono sempre più i titoli esteri. Rimangono solo le banche: e tutto passa dalle loro mani. Un arrocco che alla lunga costerà caro al Paese.