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 2010  febbraio 20 Sabato calendario

QUELLA CREPA NELLA MONETA UNICA - SI CREDEVA

sino a ieri, che l’appartenenza all’Euroclub garantisse un cospicuo pasto gratis. Ci si accorge ora che quando le cose si mettono male si paga un prezzo salato. Fra il 1974 e il 1976 l’Italia si trovò in condizioni non dissimili da quelle della Grecia oggi. Allora trovammo sostegno finanziario dal Fondo Monetario Internazionale per quasi 3 miliardi di dollari, fra finanziamento condizionato e linee di credito speciali per lo shock petrolifero; per un miliardo dalla Comunità Economica europea; per 2 miliardi dalla banca centrale tedesca, su pegno dell’oro delle nostre riserve; e per mezzo miliardo dalla banca centrale americana. Anche grazie alla svalutazione del cambio superammo il momento peggiore. Nel 1992, cacciati via dal Sistema Monetario Europeo, gli effetti restrittivi del drastico aggiustamento del bilancio pubblico attuato dal governo Amato furono compensati dal sostegno alle esportazioni offerto da una pesante svalutazione della lira in condizioni di disciplina salariale. La Grecia di oggi è un Paese economicamente disastrato e un po’ delinquente: forte eccesso di spesa rispetto alla produzionee dunque forte dipendenza dall’estero e bassa capacità di risparmio privato; deficit pubblico intorno al 10%, in peggioramento anche negli anni di buona crescita con tassi d’interesse che convergevano a quelli tedeschi (il pasto gratis); falsi contabili per occultare queste realtà; debito pubblico che si avvia a superare il livello italiano; perdita di competitività che riduce il potenziale di crescita. Il vento della crisi ha svelato queste debolezze e prospettato scenari di insolvenza di uno stato sovrano. Se la Grecia non appartenesse all’area dell’euro, i suoi problemi sarebbero di modesto interesse per la moneta unica e potrebbero essere affrontati nei modi da poco sperimentati per Ungheria e Romania (membri non-euro dell’Unione): finanziamento condizionato e sorveglianza del Fondo Monetario Internazionale, con il sostegno di Bruxelles; cambi fluttuanti che consentano un opportuno deprezzamento. Ma l’appartenenza all’euro rende quei problemi difficilmente gestibili.

La via del cambio è preclusa in assoluto. Molti dimenticano che chi è entrato nell’Unione monetaria non può legalmente decidere di uscirne o esserne cacciato, se non in seguito all’abbandono dell’intero edificio europeo: un esito impensabile. Ne segue che il costo dell’aggiustamento in termini di prodotto sarà maggiore, poiché la stretta di bilancio non sarà alleviata da una ripresa di esportazioni indotta dal deprezzamento del cambio. La correzione pertanto dovrà essere più graduale per essere socialmente sopportabile: troppo graduale probabilmente per alleviare la pressione dei mercati e consentire il rinnovo del debito in scadenza. A questo punto si aprono solo due possibilità.

La prima è una dichiarazione di insolvenza o di sospensione di pagamenti, come fece la Russia nel 1998: il debito greco è una piccola frazione (il 2 per cento) di quello complessivo dell’Europa e, si ragiona, le perdite di valore dei titoli potrebbero essere assorbite senza troppe difficoltà. Vero, ma solo se là ci si ferma: una condizione che non sarebbe rispettata se l’insolvenza greca provocasse, come è assai probabile, un effetto di domino, esponendo altri paesi deboli, uno dopo l’altro (l’Italia per fortuna viene quinta nell’elenco), agli attacchi della speculazione. L’altra possibilità è quella di consentire un aggiustamento più graduale con un sostegno finanziario precisamente definito, strettamente condizionato a un percorso di risanamento sorvegliato dall’esterno. L’Unione europea e l’Eurogruppo non dispongono di alcun meccanismo per provvedere a questa bisogna e riluttano comunque a impiegare o rinvenire i mezzi necessari; ma si permettono tuttavia di ritenere poco dignitoso rivolgersi al Fondo Monetario Internazionale, che avrebbe i mezzi e la vocazione per svolgere quel compito. L’ultimo vertice ha così prodotto una soluzione che non è né carne né pesce: un impegno generico a «un’azione determinata e coordinata per proteggere la stabilità finanziaria nell’euroarea», privo di qualsiasi indicazione quantitativa e operativa e pertanto non in grado di placare le aspettative e di dissipare l’incertezza.

Nei prossimi mesi, quando la Grecia dovrà approvvigionarsi per circa 20 miliardi di euro sul mercato, si riproporrà probabilmente l’alternativa fra le sole due soluzioni agibili: governo di un’insolvenza, con conseguenze non lievi per la solidità dell’euro, e assistenza finanziaria condizionata, con il ricorsoa nuove fonti di approvvigionamento dei fondi se l’assistenza sarà comunitaria. I cittadini tedeschi non possono certo lamentarsi dell’euro, che ha offerto grandi vantaggi di competitività al loro paese: avendo dato tanti soldi alle loro banche, conservino qualche centesimo per risanare le crepe che si avvertono nella moneta unica.