varie, 22 febbraio 2010
COSI’ IL CERVELLO PARLA DAL COMA
di Roberta Mercuri - Un ragazzo di 22 anni, in stato vegetativo da cinque a causa di un incidente stradale, ricoverato all’ospedale universitario di Liegi, è riuscito a comunicare con i medici usando il pensiero. Il giovane ha risposto correttamente con un «sì» o un «no» a cinque semplici domande su sei sulla composizione della sua famiglia. Per «ascoltare» le sue reazioni i medici di Liegi e dell’Università inglese di Cambridge hanno pensato di entrare direttamente nel suo cervello con la risonanza magnetica funzionale (un apparecchio che consente di individuare, in presa diretta, le aree cerebrali che si attivano). La «conversazione» tra il ragazzo in stato vegetativo e i medici è stata pubblicata sul New England Journal of Medicine. [1]
Con l’espressione «stato vegetativo», i medici descrivono un essere umano fuori dal coma ma chiuso nel silenzio dell’incoscienza totale e quindi dell’assoluta incomunicabilità. [2]
I ricercatori hanno domandato al giovane di Liegi: «Tuo padre si chiama Alexander?». Poi gli hanno chiesto di immaginarsi in un campo da tennis mentre muove il braccio per colpire una pallina se la risposta era sì, e di pensarsi invece all’interno della propria casa, spostandosi da una stanza all’altra, se la risposta era no. Alle due diverse fantasie, corrisponde l’attivazione di due aree distinte del cervello: quella dell’immaginazione motoria nel primo caso (una luce arancione si accende nella risonanza magnetica quasi alla sommità del cranio) e quella dell’immaginazione spaziale nel secondo (rappresentata da una macchia blu alla base del cervello). Il padre del ragazzo si chiama davvero Alexander e sullo schermo della risonanza magnetica i medici hanno visto illuminarsi l’area arancione dell’immaginazione motoria, quella corrispondente al «sì» e al campo di tennis. Poi i medici hanno fatto al ragazzo altre cinque domande («Hai fratelli?», «Tuo padre si chiama Thomas?», «Hai sorelle?», ecc.). A quattro ha risposto con precisione assoluta, alla quinta non ha reagito. Adrian Owen di Cambridge e Steven Laureys dell’ospedale universitario di Liegi, coordinatori della ricerca: «Il fatto straordinario è che abbia interagito». [1]
Altri quattro pazienti su cinquantaquattro, sottoposti a test analoghi, hanno dimostrato di avere attività cerebrale, ma nessuno ha ottenuto il risultato del numero 23, come i ricercatori hanno battezzato il giovane di Liegi. [2]
«A metà dei 54 pazienti era stato diagnosticato uno stato vegetativo. Con la risonanza magnetica funzionale, invece, quattro di loro, superando l’ostacolo della parola o del movimento, hanno potuto segnalare di essere coscienti direttamente tramite l’attività cerebrale. Gli altri 27, al contrario, si trovavano in stato di ”coscienza minimale”. Eppure, durante la sperimentazione, solo un paziente di questo gruppo è stato in grado di rispondere con successo al test». Che cosa significa? «Che se da una parte la coscienza è stata rilevata in quattro pazienti erroneamente diagnosticati in stato vegetativo, dall’altra questa nuova tecnica non è risolutiva: le apparecchiature per quanto sofisticate e capaci di fornire risultati sorprendenti, non sono sempre in grado di cogliere la coscienza quando è nascosta». Una questione che rischia di mettere in dubbio i risultati dello studio? «Tutt’altro. La scoperta dell’attivazione di aree cerebrali nei pazienti in stato vegetativo è un grande successo. Mentre il risultato negativo deve spronarci a fare di più». Ad esempio? «Andare oltre la capacità del paziente di interagire con l’esterno e sviluppare una tecnica che misuri la capacità delle aree cerebrali di comunicare tra loro. Questo, infatti, secondo le più recenti teorie, è quello che sembra contare per la coscienza» (Marcello Massimini, neurofisiologo e ricercatore all’Università di Milano e professore invitato all’Università di Liegi, dove gli scienziati inglesi e belgi hanno presentato i risultati del loro studio). [3]
Il numero di diagnosi errate, per i pazienti considerati in stato vegetativo, può essere elevatissimo. Secondo Helen Gill del Royal hospital for neurodisability di Londra fino al 43 per cento dei casi. [2]
Per mesi il team anglo-belga ha sottoposto cavie volontarie a uno scanner, tipo quello utilizzato con il ventinovenne in coma, chiedendo loro d’immaginare di giocare a tennis o di gironzolare in casa per dire sì o no. Fergus Walsh della Bbc, che si è prestato all’esperimento, testimonia d’essere stato in grado di confermare il nome della madre e il fatto d’avere figli. [4]
A questo punto «la più ovvia domanda» che si potrà fare al giovane di Liegi «è se sente dolore, permettendoci di somministrargli dei sedativi» (i ricercatori Adrian Owen e Steven Laureys). [2]
«Un’altra altrettanta ovvia domanda è se voglia continuare a vivere o meno, spalancando un baratro di interrogativi etici. Owen ha dei dubbi. ”Gli ostacoli morali e legali sono enormi. Bisognerebbe prima di tutto stabilire se ha la capacità intellettuale di elaborare un interrogativo del genere”». [2]
«’La scoperta di poter parlare con qualcuno che si trova in persistente stato vegetativo può sembrare meravigliosa, ma le risposte sì/no sono diverse dalla comunicazione complessa”, osserva sul Times Fiona Finlay, docente di medicina palliativa all’Università di Cardiff. Decidere di voler staccare la propria spina insomma non è esattamente lineare come il sistema binario. Né per l’interessato, né per chi ne raccoglie la volontà». [4]
Marco Venturino, direttore della terapia intensiva all’Istituto europeo di oncologia e autore del romanzo Cosa sognano i pesci rossi sul rapporto tra un malato incapace di comunicare e il suo medico, invita a non sovrapporre la realtà al risultato di un esperimento: «Nessuno ha mai negato che i pazienti in stato vegetativo abbiano aree del cervello funzionanti, in grado di attivarsi dopo stimoli adeguati. Non sono certo morti. Ma non possiamo usare i dati di un esperimento isolato per domandargli se vogliono vivere o morire. Stiamo attenti, i ricercatori possono tirare fuori risultati bellissimi dai loro studi. Ma applicarli su larga scala potrebbe rivelarsi fuori luogo». [5]
Professore, se Eluana fosse stata sottoposta a questo esame, avrebbe potuto far capire le sue intenzioni sulla sospensione della nutrizione forzata? «Non lo escludo. Anche se lo ritengo poco probabile visto il tempo in cui è rimasta in stato vegetativo. Ma non farei confusione: un conto è reagire agli stimoli e un altro è averne coscienza». Che cosa intende dire? «I risultati della ricerca sono stimolanti, ma non fanno chiarezza sullo stadio di consapevolezza. In passato, sempre a Liegi, i pazienti in stato vegetativo sono stati stimolati con delle scariche elettriche che hanno attivato l’aria primaria della corteccia cerebrale sollecitata». Una reazione, quindi... «Sì, ma bisogna capire se si tratta di un riflesso o di un’interazione vera e propria, cioè di un abbozzo di comunicazione che presuppone la coscienza di sé e delle proprie condizioni». Reagire a una domanda presuppone implicitamente una coscienza, giusto? «Questo non è provato. Lo studio di Liegi dimostra l’attivazione delle aree primarie, ma non di quelle circostanti. E sono proprio queste che ”appartengono” alla coscienza, alla consapevolezza. una questione maledettamente complicata che, è inevitabile, sconfina nell’etica». Complicata come la storia di Eluana? «Certo, perché si rimbalzava dalla medicina, che ha dimostrato l’irreversibilità del suo stato, a quello delle convinzioni personali, provate, in tribunale, dai genitori. Il senso dell’esistenza vera, per Eluana, era ”sapere di esserci”: la ”vita non vita” per lei significava ”non esserci”. Da secoli filosofi e teologi discutono su cosa siano consapevolezza e coscienza. E oggi gli scienziati stanno cercando di scoprirlo» (Carlo Alberto Defanti, neurologo di Eluana Englaro). [3]
«[…] Nessuno, filosofi teologi premi Nobel, potrà (mai?) dissipare la disperazione in cui precipita il profano di scienza e affini. La disperazione di non sapere se quel ragazzo ricoverato viva (viva?) in stato di incoscienza o di semincoscienza, se ”le tracce di attività minima” del suo cervello producano in lui percezioni coerenti del mondo esterno, e in quale grado e forma: immagini, deliri, scene, frantumi di serenità o di estasi, frammenti di fantasie, o piuttosto orrori, incubi permanenti, persecuzioni, torture. O magari nulla di tutto ciò. O magari il nulla addirittura. Se quelle ”tracce minime” gli permettano di recepire una qualche realtà esterna o solo una realtà interna e terribilmente autistica». [6]
Steven Laureys dell’ospedale universitario di Liegi è lo stesso ricercatore che a novembre dell’anno scorso aveva annunciato di essere riuscito a comunicare con un uomo uscito da uno stato vegetativo lungo 23 anni. Il paziente, Rom Houben, aveva raccontato che nonostante l’immobilità riusciva a sentire tutto, e avrebbe avuto voglia di gridare («Sognavo di alzarmi. Urlavo ma non riuscivo a sentire la mia voce. ”Frustrazione” è un termine troppo limitativo per descrivere quel che sentivo»). Tuttavia il metodo usato (il malato digitava le parole su una tastiera, ma con l’aiuto di altre persone) venne giudicato poco affidabile e Laureys finì in un polverone di polemiche. [7]
Il caso di Greta Vannucci, 22 anni, in coma dal 13 gennaio 2006 dopo un terribile incidente stradale. Il 6 agosto 2007 l’équipe medica guidata dai neurochirurghi Sergio Canavero e Barbara Massa Micon le ha impiantato, presso l’ospedale Cto di Torino, «due piastrine di elettrostimolatori collegate a un pacemaker» fra la calotta cranica e la meninge «per la stimolazione corticale extradurale bifocale». Nel dicembre 2008 i due medici hanno reso noti i risultati dell’ intervento, «il primo al mondo di questo tipo», che ha «riclassificato la paziente dallo stato vegetativo allo stato minimamente cosciente»: «I circuiti di coscienza della paziente sono stati ristabiliti, ora è in grado di nutrirsi con un cucchiaio, di deglutire e obbedire agli ordini». L’esperimento, pubblicato sulla rivista Journal of Neurology, Neurosurgery and Psychiatry, secondo i neurochirurghi torinesi è stato «un grande successo scientifico perché la paziente sembrava non avere chance di recupero». Bruno Vannucci, padre di Greta: «Non abbiamo ancora capito se il movimento è una reazione alla nostre parole e alla presenza di chi le sta intorno. Per il resto, è la solita vita». [8]
Greta vive in una casa di campagna coi genitori e con la sorella minore Irene. Il padre Bruno: «Io, mia moglie e Irene ci dedichiamo solo a lei. Sono in mobilità, lavoravo nelle telecomunicazioni, quasi tutto il mio tempo lo passo con Greta. All’inizio cercavamo di stimolarla in ogni modo, portandola a teatro, al ristorante, poi l’entusiasmo è scemato. Ma faremo tutto quello che è possibile. Probabilmente andremo anche in Cina per un trapianto di staminali». [8]
Per raccontare la storia di Greta, i genitori e la sorella hanno aperto il blog Internet ”Greta e la nuvola”. L’ultimo messaggio in ordine di tempo l’ha lasciato sul blog la sorella Irene, il 25 ottobre 2009: « tanto tempo che nessuno più aggiorna questo diario, ma mamma e papà ogni tanto si fanno prendere dallo sconforto… Siamo appena tornati da una ”vacanza” in Toscana. Tu per 15 giorni hai respirato ossigeno puro, infatti abbiamo iniziato l’ossigenoterapia. Ora abbiamo fatto il primo ciclo e fra tre settimane torneremo per il secondo ciclo. Ora stai abbastanza bene e ogni tanto ci fai sentire la tua voce facendo dei piccoli vocalizzi... magari stai cercando di dirci qualcosa, ma noi purtroppo non riusciamo a capire il tuo linguaggio. Ma tu continua, allenandoti magari tu riuscirai a essere più chiara e noi allenandoci ad ascoltarti cominceremo a capire un po’ di più. Lo so che i compromessi non ti sono mai piaciuti, ma mi sa che stavolta dovrai accettarli…». [9]
(a cura di Roberta Mercuri)
Fonti: [1] Elena Dusi, la Repubblica 5/2 e Leonardo Maisano, Il Sole 24 Ore 5/2; [2] Leonardo Maisano, Il Sole 24 Ore 5/2; [3] Elena Lisa, La Stampa 5/2; [4] Francesca Paci, La Stampa, 5/2; [5] Elena Dusi, la Repubblica 5/2; [6] Paolo Di Stefano, Corriere della Sera 5/2; [7] Elena Dusi, la Repubblica 5/2 e 24/11/2009; [8] Roberto Rizzo, Corriere della Sera 19/12/2008; [9] http://blog.libero.it/GRETAELANUVOLA. *vedi scheda 199400