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 2010  febbraio 22 Lunedì calendario

FESTIVAL DI SANREMO 2010

(terza parte)

La Stampa, domenica 21 febbraio 2010
ALESSANDRA COMAZZI
SANREMO
Ha vinto Valerio Scanu, secondi Pupo, Emanuele Filiberto, Luca Canonici, terzo Marco Mengoni. E a Sanremo è stata la rivolta. Rivolta degli orchestrali e del pubblico contro i risultati del televoto che avevano mandato in finale Mengoni e Scanu, usciti dai talent show X Factor e Amici, più il trio sempre fischiato durante ogni sua esibizione. Proteste, spartiti che volano, carabinieri in sala. Agitazione, il direttore di Raiuno Mauro Mazza che sparisce, la conduttrice, Antonella Clerici, che cerca di tenere un contegno fermo, ma visibilmente non sa che fare. E’ pallida. Si appella alle stesse parole che tanto spesso si sentono usare, in politica: lo vuole il popolo. Dice: «Esistono delle regole, c’è il televoto del popolo sovrano». Il popolo sarà anche sovrano, ma pure la musica ha le sue regole, altrettanto sovrane. E dunque i musicisti, il cui voto doveva incidere al 50 % sul risultato finale, si sentono vistosamente presi in giro da esiti finali tanto diversi dalle loro indicazioni.
E insomma, è un grande pasticcio, che chiude la più moscia serata di questo Festival. Una serata che era stata fino a quel momento quasi tutta autopromozionale, sembrava che si dovesse passare il tempo in attesa del verdetto finale. Poi, dalle 23,30, si è scatenato il pandemonio. Una impossibile conciliazione tra due modi di intendere una gara di canzoni, se debba prevalere la qualità oggettiva valutata dai professionisti o il giudizio popolare.
Come se non bastasse, subito dopo le clamorose proteste, Maurizio Costanzo, tra l’altro sulle note del «Maurizio Costanzo Show», è salito per la prima volta in vita sua sul palcoscencio dell’Ariston. Emozione, certo, stupore per l’eclusione, per esempio, di Arisa, «io le avrei fatto cantare Se telefonando, guarda un po’», ma soprattutto, in puro stile constanziano, incontro con gli operai di Termini Imerese. Poi l’intervento di Pier Luigi Bersani che era in sala, poi del ministro Scaiola, sviluppo economico, in sala pure lui. Entrambi non si fanno sfuggire l’occasione ghiotta di una platea così ampia, e tra l’altro già scaldata, esacerbata, per esprimere la loro opinione sulle possibilità di trattative e sul futuro della fabbrica. Si dilunga, Scaiola, tant’è vero che Clerici richiama all’ordine: «Siamo al Festival di Sanremo».
Già, proprio questo Festival di Sanremo che qualche soddisfazione le ha date. Serate più veloci, intanto: questo è stato uno dei motivi del successo. Una conduttrice che ha azzeccato la via giusta, fatta di schietta popolarità, però glitterata, ieri il glitter era tutto nero. Polemiche, poche, ma significative: Morgan all’inizio, il fischiato Trio in corso d’opera. Una sorellanza proclamata con le colleghe, con le eccellenze femminili, con le mamme. Cantanti mediamente più giovani, canzoni mediamente gradevoli, alcune decisamente «da Sanremo», altre meno, però mai astruse. Un rinato interesse del pubblico. Una sinergia Rai, tutti i programmi a seguire Sanremo, Radiouno scatenata. Una volontà precisa di rendere gli ospiti funzionali al sistema.
La tendenza femminile del Festival non è stata confermata dai finalisti. Peccato, perché c’erano ottime professioniste. Malika Ayane, per esempio, pareva avrebbe messo d’accordo tutti: è soprattutto sull’esclusione suo mome che gli orchestrali sono scattati. La serata ha avuto tante cose in programma, ma soprattutto tanti autospot. E pure autocelebrazione, con il direttore generale della Rai Masi che in palcoscenico si è intrattenuto con una rappresentanza delle maestranze. I dieci finalisti cantavano, in rigoroso ordine estratto a sorte, e la Blonde aveva una parola buona per tutti. Al vincitore Valerio Scanu chiedeva come si fa «a far l’amore in tutti i laghi, ma già, tu sei giovane». Alla fine dell’esibizione del contestato trio ha domandato che cosa si prova quando si ricevono i fischi. Il principe: «E’ uno stimolo per andare avanti, e sono sempre più convinto che questa sia una bella canzone per tutti». E Pupo: «Io in tanti anni non ho mai sentito una contestazione così insiegabile, ma la rispetto».
E poi, le arti di scena e molta promozione, per chi balla, chi canta e fa le fiction: Lorella Cuccarini nuda sotto la chitarra, onore e gloria alle ultraquarantenni: «Ho visto il lato B della Cuccarini. proprio una topolona», sono ragazze. I bambini, «che sono il futuro del mondo», già pronti a lanciare Ti lascio una canzone, e proprio questa parte lunghissima ricordava da vicino i vecchi insopportabili Festival. Divertenti Emilio Solfrizzi, Carlotta Natoli e gli altri protagonisti della seconda serie di Tutti pazzi per amore, in arrivo su Raiuno, impegnati a ballare come gli indiani di Shakalaka baby.

La Stampa, domenica 21 febbraio 2010
LE PAGELLE
ANTONELLA CLERICI 8
Né Binetti né Carfagna. La presentatrice unificata del Festival ha incarnato lo show di una donna normale ma spiritosa, alle prese con un compito difficile. Magari un po’ troppo affogata (almeno a parole) in pappe e pannolini.
GLI ALTI PAPAVERI RAI5
Tanto efficienti quanto musoni. Destra severa, poco disposta all’autoironia, efficientissima nella mission non impossible di disegnare il mondo e la par condicio a propria esclusiva misura e discrezione, tagliando fuori tutto il resto a colpi di telecamera.
LA SCENOGRAFIA8
Lo storico esperto Gaetano Castelli ha disegnato un antro supertecnologico modello astronave evitando per una volta il trucco più antico del mondo: le scale.
MAURIZIO COSTANZO8
Ingresso trionfale in Raiuno, attraverso la magmatica Sala Stampa del Festival, più buona e accondiscendente che prima nel «Question Time». Sornione e gattopardesco, è riuscito ad addomesticarla trasformandola in un colorato e inoffensivo Costanzo Show; poi nella notte ha improvvisato il primo talk show politico in sessant’anni di festival con Bersani e Scajola.
L’ORCHESTRA 10
Dopo aver dato voti bassi su voti bassi nella settimana, e aver visto riconfermare invece dal televoto le presenze più modeste, ieri notte appallottolando gli spartiti ha dato il via alla rivolta.
LA FRASE STORICA4
Pronunciata dal direttore artistico Mazzi. «Gli artisti se si impegnano possono avere risultati superiori». Purtroppo non parlava di musica, ma della capacità di Pupo&Soci di sbancare l’Auditel con strumenti poco artistici come il comizio di Lippi.
PUPO, EMANUELE FILIBERTO
E IL TENORE CANONICI 10
Sono stati i vincitori indipendentemente dal risultato, grazie a una canzone di rara bruttezza ma piena di virtù patriottiche e dunque sinergiche con la rete che ospita il Festival, e che li ha sponsorizzati a tutto tondo. D’altronde, ognuno ha ciò che si merita (o merita ciò che ha).
I TALENTISTI4
La nuova categoria di artisti di scuola esclusivamente televisiva era rappresentata da un duo yin e yang, Valerio Scanu e Marco Mengoni, uno concavo e l’altro convesso, uno da Amici e l’altro da X-Factor. Indipendentemente dal risultato, mostrano di dover ancora essere domati, inquadrati, educati, istruiti, rassicurati. In breve, c’è materia per un altro reality (ma ormai è andata).
ENRICO RUGGERI10
Il voto è speculare a quello di Pupo. Indipendentemente dalla canzone, ha onorato con la sua presenza l’elegante tradizione italiana dei cantautori, ormai demodé. Buttato fuori (l’orchestra gli ha dato dei 10) ha rinunciato al facile ricorso antiPupo, e ci ha confessato: «Roberta, mia moglie, è incinta. Avessi fatto proiettare l’ecografia, sarei ancora in gara». Chapeau.
MALIKA AYANE, IRENE GRANDI
SIMONE CRISTICCHI
IRENE FORNACIARI8
Indipendentemente dalla qualità della loro canzone, hanno esercitato l’antica arte dell’interpretazione a prescindere, per le platee televisive non più così significativa. Si sono messi in gioco con i mezzi consentiti agli artisti puri, con l’abilità vocale e con la ricerca di pezzi d’impatto: un po’ poco per come va lo showbusiness, e bisogna dunque tenerli d’acconto (potrebbero diventare come i panda).
DANIEL EZRALOW8
Il coreografo del Festival somiglia molto a Bob Dylan da giovane, ma è più bello, più compito, meno scontroso: dunque attraente anche per i musicali che lo scoprono per caso. E’ simpatico, dote rarissima nel giro Rai (sarà un esterno); è riuscito ad attirare con il suo lavoro l’attenzione dei più distratti (soprattutto delle più distratte).
IL DOPOFESTIVAL DI YOUDEM 6
Ha riempito un vuoto, ma soltanto per una élite (quei trenta stipati ai Magazzini Italo Calvino, quelle poche migliaia su Sky). Ha mostrato che la democrazia è ospitare i campioni berlusconiani Pupo, Principe&Canonici, nella prima e ultima serata. Avranno fatto bene? (La destra non ha restituito mai la cortesia, in tutti questi giorni).

La Stampa, domenica 21 febbraio 2010
ANDREA SCANZI
Ha ragione Sposini: troppi pregiudizi su Povia. Lo si capito anche ieri sera: più stecche nei primi trenta secondi, che in tutti i ranch del Montana. Pantaloni di pelle, à la Jim Morrison: dal Re Lucertola al Conte Tamarro. Arrangiamento da elegia del piccione opera seconda, testo di chi vorrebbe aver talento ma ha solo becco furbo. Si definisce «cantautore», verosimilmente per autoconvincersi. Canta gesticolando, come se ostaggio della pagina 777. Il brano è piaciuto a Mauro Mazza, pupillo di Donna Almirante, e a Lele Mora, ameno collezionista di Diari del Duce. La destra esulti: dopo Apicella, Buzzanca, Bondi e Martufello, Povia ha dimostrato che l’egemonia culturale della sinistra era solo un pettegolezzo gramsciano.
Fuori OndaMolti non sarebbero stati disposti a scommettere più di un copeco sul successo di Antonella Clerici, soprattutto se confrontato al Festival di Bonolis. E invece adesso Bonolis è costretto a fare dei distinguo, «non si possono paragonare le due edizioni», e lei risponde magnanima: «Tanto non riuscirete a farci litigare». Gli ascolti hanno soddisfatto i dirigenti Rai, la conduttrice è stata apprezzata. Non da tutti, ma da molti, e in modo trasversale. Anche politicamente trasversale. Pure grazie a lei, del Festival si è tornati a parlare nei bar e nelle piazze, le ragazze discutevano dei suoi vestiti, ne commentavano l’andatura. Probabilmente il personaggio è molto più costruito di quanto non si voglia far credere, ma il suo caracollare sui sandali è comunque un richiamo molto importante alla donna comune. Una bionda che barcolla su un tacco 12 con quel tocco di «retro» da chiamare gli spot «réclame». Una donna che piace alle donne (i dati scorporati mostrano che il 60% del pubblico è stato femminile). Che ha intervistato esempi di eccellenze femminili, regine vere con la corona in testa, o regine del burlesque che si spogliano e lo sanno fare. Che ha puntato sulla solidarietà femminile, persino con le colleghe, e sulla maternità, e sulla necessità di essere più brave degli uomini, e sulla tenerezza per il compagno, e sui toni sempre contenuti.
Dicono di lei
Maurizio Costanzo: «La Clerici è riuscita a unire il Festival di Sanremo con la festa della mamma». In effetti, metteva le mamme da tutte le parti. Simona Ventura: «Antonella, hai portato a casa un Festival fantastico. Questa è una vittoria delle forze interne Rai». Clerici ringrazia per l’affetto e la vicinanza: «Le donne al Festival sono state così poche, io e te lo abbiamo condotto e sappiamo cosa vuol dire ».
Gai Mattiolo: «Antonella è molto caparbia, è difficile farle cambiare idea. Ha preteso capi di cui si dovesse parlare, nel bene o nel male», cosa puntualmente accaduta. Lorella Cuccarini, ospite ieri: «Avevano detto che avrebbe avuto co-conduttori, niente di più falso. Il fatto è che siccome è una donna si pensa sempre che abbia bisogno di essere aiutata. Ma chi l’ha detto? Sono pregiudizi messi in giro da chi ha paura di darci spazio». Pier Luigi Bersani, ieri al Festival: «Fa benissimo il suo mestiere, ha interpretato un’Italia che ora ha bisogno di un po’ di rassicurazione e semplicità». Marcello Lippi: «Una centrocampista di qualità e di... quantità. Mi ricorda Didier Deschamps». Ma a sorpresa il più incisivo è Povia: L’Italia «è un Paese dove ormai non c’è più nulla di normale», e però «la Clerici ha fatto un Festival normale».
Dice di sé
Anche lei ha detto varie cose di sé. Ha spiegato la gioia della maternità (ancora!) in età avanzata, con tanto di libro chiarificatore. Ha sopito, chetato, e ha ringraziato il suo compagno Eddy Martens, 14 anni meno di lei: «Lui è molto criticato, ma mi ha aiutato molto. Voglio ringraziarlo pubblicamente, perché per questo festival mi ha dato tante idee giovani». Ha ammonito, sorridendo, la Rai: «Io ho sempre tirato la cinghia e certo dovranno riconoscermi prima o poi qualcosa di più». Ha parlato della figlietta che compie un anno giusto oggi: «Non vorrei mai che salisse sul palco, men che meno da bambina». Bersani non la vede in politica: e lei si vede? «Assolutamente no». E qual è il segreto di questo successo? «La normalità. La gente mi vuole bene perché sono una di loro, una persona normale che fa un lavoro eccezionale. In questo mestiere, l’errore più grande è puntare sempre su conoscenze, feste, relazioni, aspetto fisico. Le donne che hanno successo in tv non sono né particolarmente belle, né mondane. Anche Maria De Filippi, per esempio, é nella vita come é in tv. Conduce per sottrazione. La sua verità passa. Passa quello che tu sei». O che sei stato molto bravo a far credere che sia. E’ la televisione, bellezza

La Stampa, domenica 21 febbraio 2010
GABRIELE FERRARIS
INVIATO A SANREMO
Il sessantesimo Festival di Sanremo s’è chiuso nella notte fra i tumulti del pubblico e dell’orchestra, quasi un moto popolare contro un verdetto fin troppo annunciato.
Ma, al di là del risultato, e di un finale che ha ampiamente travalicato i limiti del grottesco, il sessantesimo Festival di Sanremo ha consentito di sperimentare un Nuovo Modello di Semplificazione Burocratica. Ovvero: se una regola mi impiccia, anziché cambiarla la uso come carta igienica. Una procedura più pratica, più disinvolta e più vicina al sentire popolare.
Il caso di Pupo & Principe è esemplare. La canzone «Italia amore mio», portatrice di un’ideologia vincente (e atta a divenire, che so?, l’inno degli azzurri ai Mondiali), di riffe o di raffe doveva volare alta nel cielo del Festival, e così è stato. Con la forza del televoto, e un piccolo aiuto dagli amici.
Qualche passatista, legato a sclerotici schemi di lealtà e legalità, venerdì s’era indignato per l’esibizione di Marcello Lippi (combinazione: l’allenatore della Nazionale), consumata con maschio decisionismo, ad onta dei timidi tentativi della conduttrice di interromperla perché non regolamentare. Ciò, tuttavia, non è costato neppure una reprimenda a Lippi, che ha seguito il resto del Festival in prima fila, vicino al soddisfatto direttore di Raiuno Mauro Mazza. Né tanto meno ha comportato la squalifica di Pupo & Principe. Non perché il regolamento non sia stato violato; bensì, spiega il direttore artistico Gianmarco Mazzi, perché «io rispetto il regolamento, ma non sono un amministratore di condominio, se trovo artisti che si impegnano a portarci un grande spettacolo, io li incoraggio».
Per quanto sia opinabile il concetto di «grande spettacolo» applicato al pistolotto di Lippi, il ragionamento di Mazzi regge. Il Festival è uno spettacolo, e gli spettacoli non obbediscono ai regolamenti burocratici, bensì alle sole regole dello show business. E’ la differenza che passa tra la lotta greco-romana (che ha un regolamento) e il wrestling (che ha l’unica regola di divertire il pubblico).
Sanremo è il wrestling. Solo un po’ più cialtrone, poiché pretende di darsi un fondamento «istituzionale» con un regolamento che può tornare utile per impedire, ad esempio, agli orchestrali di rendere pubblico il proprio voto liberandoso dal sospetto di complicità in bocciature e promozioni stravaganti.
Tuttavia, nei paesi civili (tipo l’Uganda) i regolamenti, se ci sono, sono formalmente rispettati, in ossequio a fumose convenzioni - quali la certezza del diritto - inventate da tristi parrucconi: ciò finché il satrapo di turno non li abolisce. Invece, dichiarare che il regolamento c’è, ma non se ne tiene conto, è un significativo passo avanti rispetto alle ubbìe di Montesquieu. Passo avanti cui il capostruttura Rai Azzalini offre una plausibile base ideologica, commentando l’ascesa di Pupo & Principe sull’onda degli sms: «Gli italiani la pensano così, il televoto esprime i gusti di coloro che non si vedono».
Il favore popolare pone Principe & Pupo al di sopra delle norme, che possono infrangere forti di 190 mila voti al ripescaggio, e una valanga di consensi nelle successive esibizioni - compreso il «grande spettacolo» di Lippi, l’allenatore «che ci ha regalato un sogno»; e che non può essere zittito - spiega Mazzi - in quanto «autentica icona italiana».
L’aspetto ammirevole della vicenda - che fa di Sanremo non solo il più grande spettacolo d’Italia, e la migliore rappresentazione del paese, ma anche un laboratorio d’ingegneria costituzionale - sta però nel regolamento stesso. Esso impone lacci e lacciuoli alla libera esplicazione del sentire dell’artista unto dal favore popolare; e tuttavia reca in sé l’antidoto a quegli stessi anacronistici impedimenti. E’ l’articolo 34, che recita: «L’Organizzazione potrà, per imprevisti o fatti sopravvenuti, introdurre modifiche e integrazioni al Regolamento a tutela e salvaguardia del livello artistico del Festival».
Ovvero: facciamo come ci garba, purché lo spettacolo non finisca.
La perfezione legislativa.
Prossimamente nelle migliori Costituzioni.

La Stampa, domenica 21 febbraio 2010
ALBERTO MATTIOLI
Sarà anche un festival goverantivo gestito dagli uomini di An, benedetto da donna Assunta Almirante e così integralmente di destra che viene da lì perfino la fronda, con quei deviazionisti di Farefuturo che propongono lo sciopero della fame contro il Trio Dio-Patria-Famiglia cantato dal trio Pupo-Emanuele Filiberto-Luca Canonici (cioè, paradossalmente, tre ex, un ex cantante, un ex principe e un ex tenore, per celebrare quella che ormai, temiamo, è un’ex Nazione). Però non è che i giovanotti del Festival brillino soprattutto per virilità. Maschia gioventù? Diciamo maschietta...
Questione di modelli, alla fine. Si poteva pensare che questo Festival così rassicurante e tradizionale e attento ai «valori» della telepatria avrebbe riproposto il maschio italico standard, aggiornato al Duemila ma senza ambiguità, deciso e magari decisionista. Invece le under 18, che poi sono il pubblico decisivo perché è quello che ha trasferito sul Festival le audience faraoniche dei reality canterini, palpitano per tutt’altri idoli.
Valerio Scanu, per esempio, diciannovenne pallido, sottile, romantico e con una lunga coda. Ma ancor più Marco Mengoni, star di X Factor con un look che sembra riproporre i più biasimati ma venduti esempi degli Anni Ottanta. Dunque, capelli o con la cresta o imbrillantinatissimi, occhi truccati, movenze languide, voce androgina alla David Bowie. Il Mengoni è stato in questi giorni il più braccato dalle ragazzine. Venerdì notte l’abbiamo intercettato mentre si barricava in un ristorante di piazza Bresca assediato con gridolini e telefonini e strilletti e bacetti da una torma di fanciulle che in altri tempi e alla stessa ora sarebbero già state a letto e da un pezzo. Lui, dentro, pallido prence avvolto in innumerevoli pashmine, era incerto se concedersi all’abbraccio delle fan.
Peggio (o meglio, per esempio per i discografici) con i Tokio Hotel, classica «teen band» che ha suscitato scene di delirio collettivo da Sanremo d’antan: strade bloccate, alberghi assediati, Ariston transennato per quattro ragazzetti tedeschi cappeggiati dai gemelli Bill e Tom Kaulitz, sempre perfettamente truccati anche alle conferenze stampa, e figuriamoci sul palco.
Insomma, alla fine le Sorelle Marinetti, cioè i tre signori «en travesti» (e bravissimi) che accompagnano Arisa come delle Sorelle Bandiera retrodatate agli Anni Quaranta, tutte/i ciglia sbattute e mani sul cuore, sono passati quasi inosservati. Mentre con gli archeocantanti modello cuore-amore che l’ambiguità sessuale nemmeno sanno dove stia, il pubblico si è dimostrato spietato. Il povero Toto Cutugno, per esempio, è stato eliminato in un amen.
Ora, magari tutto dipende dalla conduzione di Antonella Clerici, che sembra sempre indecisa se i suoi concorrenti sia meglio presentarli o allattarli, Grande Mamma Italiana materna, burrosa e morbidosa che, da brava chioccia, tiene i suoi pupilli in una prolungata, incerta adolescenza. Però è assai curioso che questo modello maschile così ambiguo venga proposto dallo stesso Festival che la sua unica piccola rivoluzione l’ha fatta in quello femminile. Si è infatti capito subito che, forse perché per una volta la star era donna, o forse perché non se ne può proprio più, il Sanremo al femminile non sarebbe stato una passerella per le bonone senz’arte ma purtroppo con la parte di cui pullula lo show-biz italiano. Rania di Giordania o Dita von Teese o le ballerine del Moulin Rouge sono tutte belle donne, ovvio; ma tutte sanno anche fare qualcosa oltre che farsi guardare, e perfino qualcosa di non facile come regnare, spogliarsi senza essere volgari o fare la spaccata.
Insomma, nell’anno in cui le femmine hanno un’identità di soggetti e non solo di oggetti, i maschi sembrano aver perso la loro. E dire che Tiziano Ferro non è venuto a Sanremo per paura che gli chiedessero se per caso non fosse gay...

La Stampa, domenica 21 febbraio 2010
LUCA DONDONI
Enrico Ruggeri eliminato venerdì sera dal televoto e dall’orchestra sanremese con il collega Fabrizio Moro, è rimasto malissimo per la decisione: «A fine serata ho messaggiato a qualche giornalista amico. Il testo era più o meno questo: la decisione sancisce la fine dei cantautori al Festival. E’ ormai chiaro che Sanremo non se ne fa nulla di noi e immagino che in futuro, sempre che ci sia qualcuno che accetti, non ci inviteranno nemmeno». Per la verità Rouge si era già detto amareggiato perché alla conferenza del pomeriggio la sala stampa non era gremita di colleghi e a suo dire mancavano i nomi altisonanti della critica italiana. «Mi ero imbrunito. Credevo di meritare un po’ più di rispetto e il fatto di tornare al Festival con un nuovo cd che prelude la partenza di un tour potesse interessare. Quando mi sono spostato nella sala delle radio mi sono sfogato dicendo che almeno con i radiofonici si può parlare di musica di un certo genere e volare alto senza doversi per forza confrontare con scandali, scandaletti, principi o dialetti».
Ruggeri dice di considerarsi nella fascia cantautorale A2, un artista che in Italia ha il suo valore e per questo meriterebbe più rispetto. «Alex Britti, e non ti dico quanti altri hanno mandato messaggi di solidarietà; proprio Alex ha detto che la cosa più strana di questo Festival è che io ci sia venuto. Luca Barbarossa: ”La tua esclusione è un attestato di estraneità a questo deserto di idee”. Non le sto a dire che cosa mi hanno detto o mandato a dire i miei amici della Nazionale Cantanti Gianni Morandi e Eros Ramazzotti». Lo dica, siamo curiosi. «Eros è stato quello un po’ più pesante ma ci sta, è nella sua indole. Gianni è stato più leggero ma ha espresso grande perplessità». Possiamo chiederle che cosa ha fatto ieri sera? «In tv c’era Inter-Sampdoria e quindi ero sintonizzato sulla partita».
A chi gli fa presente che potrebbero esserci i presupposti per un ricorso sull’esito della gara, risponde «può darsi sia così, ma davvero la cosa non mi riguarda». Le ore passano, il livore si stempera e Ruggeri non si dimentica delle altre sue attività, ovvero di essere un conduttore televisivo di buon successo con le trasmissioni sul paranormale in onda su Italia 1. « vero sono anche un uomo tv - ammette - e conosco abbastanza bene certi meccanismi. Fin quando serve il Ruggeri commentatore dello scandalo-Morgan lo invitano a Porta a Porta e ci farciscono i talk-show. Quando invece bisogna pensare a me come a qualcuno che può dire la sua nel mondo della musica... mah! Lasciamo stare». Addio per sempre all’Ariston, dunque? «Per come stanno le cose non credo che vedremo personaggi blasonati disposti a mettersi in gioco partecipando alla gara. I big sì, ma solo per cantare un loro successo o un tributo da trasformare in un momento di spettacolo. Mi sa che sono stato davvero l’ultimo samurai, ma d’ora in poi ”harakiri” lo farò fare a qualcun’altro».

Dal sito di Tutto tv, lunedì 22 febbraio 2010
Sono stati 12 milioni 462 mila (share del 53.21 per cento) i telespettatori che hanno seguito su Raiuno la serata finale del 60° Festival di Sanremo, in onda dalle 20.37 alle 01.00. Il picco di ascolto alle 22.13 con 15 milioni 195 mila spettatori. Il picco di share alle 24.48 con il 77.34 per cento.

La canzone di Pupo/Emanuele Filiberto
Festival della canzone
italiana, Sanremo 2010
Pupo: Io credo sempre nel futuro, nella giustizia e nel lavoro, nel sentimento che ci unisce, intorno alla nostra famiglia. Io credo nelle tradizioni, di un popolo che non si arrende, e soffro le preoccupazioni, di chi possiede poco o niente.
Emanuele Filiberto: Io credo nella mia cultura e nella mia religione, per questo io non ho paura, di esprimere la mia opinione. Io sento battere più forte, il cuore di un’Italia sola, che oggi più serenamente, si specchia in tutta la sua storia.
Luca Canonici: Sì stasera sono qui, per dire al mondo e a Dio, Italia amore mio. Io, io non mi stancherò, di dire al mondo e a Dio, Italia amore mio.
Emanuele Filiberto: Ricordo quando ero bambino, viaggiavo con la fantasia, chiudevo gli occhi e immaginavo, di stringerla fra le mie braccia.
Pupo: Tu non potevi ritornare pur non avendo fatto niente, ma mai ti sei paragonato a chi ha sofferto veramente.
Luca Canonici: Sì, stasera sono qui, per dire al mondo e a Dio, Italia amore mio, ecc..
Pupo: Io credo ancora nel rispetto, nell’onestà di un ideale, nel sogno chiuso in un cassetto e in un paese più normale.
Emanuele Filiberto: Sì, stasera sono qui, per dire al mondo e a Dio, Italia amore mio.
Enzo Ghinazzi
Emanuele Filiberto di Savoia