Vari, 20 febbraio 2010
FESTIVAL DI SANREMO 2010
(prima parte)
La Stampa, martedì 16 febbraio
GABRIELE FERRARIS (cronaca della vigilia)
Da stasera va in onda dal teatro Ariston di Sanremo la sessantesima edizione del Festival della Canzone Italiana. In scena 25 tra vecchi (con evidente esagerazione definiti «artisti») e giovani cantanti, e vari ospiti a casaccio: per la prima serata Bonolis & Laurenti, la bruttina bravissima Susan Boyle, l’erotica Dita Von Teese e il calciatore Antonio Cassano.
E con ciò, ho dato la notizia. Possiamo salutarci.
No, aspettate. C’è un’altra notizia di una qualche rilevanza: Marco Castoldi in arte Morgan (quello buttato fuori per via di certe disinvolte dichiarazioni sull’uso di droga) è vivo.
Lo scrivo perché ieri all’Ariston si parlava di lui, semplicemente espulso dal Festival (esperienza spiacevole, forse, ma superabile), come di un trapassato (non c’è vita oltre Sanremo), cui dedicare, magari, «un tributo».
Gianmarco Mazzi, direttore artistico del Festival, e Antonella Clerici, presentatrice del Festival, sono molto tristi perché Marco Castoldi in arte Morgan è stato buttato fuori dal Festival: e vorrebbero in qualche modo recuperarlo. Il puro e duro Mauro Mazza, direttore di Raiuno in quota An, non è per niente d’accordo. Neanche Maurizio Gasparri («Basta speculazioni Rai sulla droga») è d’accordo, e la cosa suscita enorme emozione.
Decisi a evocare il fantasma di Morgan stasera sul palco dell’Ariston - immagino perché adesso il nome fa audience - Mazzi e Clerici strisciano sui periodi ipotetici dell’irrealtà, si potrebbe, si vorrebbe, ci stiamo pensando, mentre il puro e duro Mazza ripete che Morgan all’Ariston non ci sarà né in carne né in ispirito, e ogni politico sfaccendato si affretta a sproloquiare in materia, che se dedicassero la metà dell’energia a uno scopo serio saremmo tutti più felici e più ricchi.
In un fuoco d’artificio di Verità di Fede - in quanto incomprensibili dalla ragione umana - il direttore di Raiuno Mazza ci rivela che lui non sa che cosa va a dire la Clerici al Tg1 Rai, così deve smentirla dieci minuti dopo; e Mazzi e la Clerici insistono che non è un teatrino, e «un artista come Morgan bisogna davvero recuperarlo», con distinguo aristotelici di Mazzi («Stiamo ragionando intorno alla musica di Morgan, non intorno a Morgan») e slanci missionari della Clerici che vorrebbe «il bene di un ragazzo che magari è un deficiente, perché è lontanissimo dal mio sentire, ma la droga è una piaga che non riguarda solo lui». Da Sanremo a San Patrignano.
Si ignora se il Deficiente accetterà di sottoporsi al trattamento di recupero, o con più dignità li manderà tutti a quel paese. Prima o poi, qualcuno tra gli imbarazzanti protagonisti di questa pantomima dovrà pur tirarlo fuori, un sussulto di dignità. Ma al momento il vostro cronista non sa se stasera in diretta dall’Ariston parleranno di Morgan, se suoneranno la canzone di Morgan, se evocheranno Morgan a mezzo medium. O se semplicemente si vergogneranno e lasceranno perdere.
Non lo sa il vostro cronista, e non lo sanno neppure Mazza & Mazzi & Clerici. Ma in ultima analisi: è importante - audience a parte - che Morgan ci sia o non ci sia? Io penso di no. E credo che lo pensi ogni persona di normale intelligenza. Compreso Morgan.
Per completezza dell’informazione, il vostro cronista deve aggiungere che ieri sono pure tornati sulla questione sollevata dal presidente della Rai Paolo Garimberti, che vorrebbe un Festival di tre giorni, anziché cinque. Il sindaco di Sanremo Maurizio Zoccarato obietta che a Sanremo vorrebbero un Festival di 365 giorni, e se guardo il prezzo della mia camera posso capirli. Il direttore artistico Mazzi fa notare, con sibillina sagacia, che «fra tre e cinque c’è spazio per mediare» (azzardiamo: quattro?). E il direttore di Raiuno Mazza dice: «Il Festival che vorrei è quello di quest’anno: ma si figuri se mi metto contro il mio presidente». Il vostro cronista non riesce proprio a figurarselo.
Nel desolato panorama umano, fa persin simpatia questo sindaco che filosofeggia: «Sono cresciuto sognando di fare il sindaco per conoscere le vallette del Festival, ma invece che la Mazza (Valeria, Ndr) ho conosciuto Mazza (Mauro, Ndr)». La finezza del calembour è adeguata all’ambiente.
Improprio è invece che Mazzi, per caldeggiare il «recupero» di Morgan, si appelli alle virtù cristiane della Pietà e della Misericordia.
Non appartengono, le virtù cristiane, a un Paese che non ha più virtù, ma soltanto opportunismi, furberie e protervia.
E Sanremo è il santo protettore di questo Paese. Lo ha detto ieri Maurizio Costanzo. Però pensava di dire una cosa carina.
La Stampa, martedì 16/2/2010
MARINELLA VENEGONI (intervista Maria De Filippi)
L’anno scorso è stata l’ospite d’onore al Festival di Bonolis e ha fatto da madrina al «suo» vincitore Marco Carta, inaugurando un nuovo trend, quello che vede il festival di Sanremo come una sorta di finalissima tra talent show, tra il suo Amici e X Factor. Quest’anno torna, anche se un po’ più in sordina: la scusa e accompagnare il marito Maurizio, sul palco nella finalissima. M ain relatà il cuore di Maria va ai suoi ragazzi Valerio Scanu (in gara) e Alessandra Amoroso che duetterà insieme a lui venerdì.
Suo marito Maurizio è la new entry del Festival: moderatore del question time , ospite della Clerici nella finalissima. E lei, che farà?
«Non lo so, ma non salirò sul palco, io: un discorso è andare a trovarlo, ma se la cavi da solo. L’anno scorso mi sono sufficientemente spaventata. Lui sarà molto più impaurito di me ma non lo dirà; non penso sarà una passeggiata. Sanremo segna anche il suo ritorno in Rai, con tutto quel che comporta».
Lei come s’è trovata, l’anno scorso con Bonolis?
«Sembrava appunto un grande circo. C’è musica, tv, gossip: è anche il motivo per cui è la gara canora più vista. Il marchio è più importante anche degli ospiti più prestigiosi, è una vetrina cui è impossibile rinunciare, indipendentemente dalle attese».
Sanremo l’ha ispirata per «Amici»?
«All’inizio, non è che Mediaset abbia fatto un grosso investimento. Ma quando siam passati al serale, ho chiesto a Piersilvio lo Studio 5 che fu di Fellini, un coreografo di classe come Ezralow e un’orchestra di 42 elementi. Ho copiato insomma l’aspetto scenico di Sanremo. Ci sono voluti due anni, ma piano piano hanno capito: per crescere, c’era bisogno di quello».
E’ appena uscito «Amici 9», ultimo cd dei suoi ragazzi. Non ha mai pensato di sostituirsi ai discografici?
«Ogni tanto gli rubo il mestiere. A volte mi dicono di sì anche se non sono d’accordo con me, per loro il programma conta parecchio. Ho un gusto abbastanza popolare, io, mentre loro ragionano di marketing. Ma le cose sono cambiate, il cantante non scompare come una volta: ora lo vedi spesso in tv, che consuma e brucia ed è alla tua portata».
L’etichetta «Maria», allora?
«Non è nei miei progetti. Amici è come la scuola media, la discografia che li prende sarà l’università: sogno di esser per loro un punto di partenza. Alcuni ragazzi hanno 4 etichette che li vogliono, per esempio Pier Davide: ma quel che ha scritto lo aveva già scritto quando è venuto da noi, aveva già mandato a etichette che non gli avevano mai risposto».
Lei appena laureata ha trovato lavoro all’Afi, l’associazione dei discografici, a Milano. E’ nata lì la passione?
«Mi sono laureata in giurisprudenza con lode. Mandavo curricula, ma a società dove prendevano solo uomini. Mia madre si stufò e chiamò il suo primo amore, Franco Crepax, che era un discografico: un giorno glielo ho pure portato a casa ma lei si è arrabbiata moltissimo, preferiva rimanere nei ricordi. Ho fatto vari colloqui, poi mi hanno assunta all’Afi: ma non sentivo musica, ero nell’ufficio legale. Dopo un anno, ho conosciuto Maurizio proprio a un convegno antipirateria dell’Afi; mi propose di andare a lavorare a Roma con lui. Diedi le dimissioni con le gambe che tremavano».
I dischi di «Amici» vanno a ruba...
«C’è stato un salto di qualità di autori e produttori più qualificati della Bottega di Amici. La Caselli per Matteo ha convocato Tricarico, il pezzo di Loredana è scritto da Antonacci con il produttore Canova. La tv può creare un fenomeno, ma se poi non c’è quello uno che vuole, non comprano. Rispetto a 2 anni fa, l’ingresso della discografia ha cambiato tutto. E’ più alto il livello di chi arriva al casting e ci sono investimenti. Poi Carta ha vinto Sanremo, e quest’anno c’è Valerio Scanu».
X-Factor vi ha fatto del male?
«No, è un paragone che ha migliorato tutti. L’importante è la messa in onda in periodi diversi, così non ci si stanca».
Pensi, avesse avuto anche lei un caso Morgan...
«Per lui la fatica di questo periodo sarà tanta, ma la strumentalizzazione è andata oltre misura: sono sicura che l’anno prossimo tornerà a X-Factor. una presenza forte e dirompente. Ci dovrebbe essere un codice etico, per queste notizie private: se avesse parlato in tv, i giornali si sarebbero scagliati contro».
Il mondo si divide fra chi la ama e chi la odia...
«Forse perché sono consapevole di star davanti alla telecamera e quindi mi limito: vado per sottrazione, ma nella vita no. Detesto i sermoni ma non sono esente dal farne. Sono più passionale e istintiva di quel che sembro. Cerco di condurre per sottrazione, e non è vero che a me non cambia quando vince uno o l’altro».
La Stampa, mercoledì 17 febbraio 2010
LUCA DONDONI (Caso Morgan)
’Vedendo questo Festival sono contento di non esserci andato. Emanuele Filiberto è stato una vergogna. Quando l’ho sentito cantare (cantare?) ho nascosto la testa sotto il cuscino».
Antonella Clerici ha appena finito di declamare in diretta tivù alcuni versi della canzone di Morgan con sottofondo di pianoforte, rammaricandosi di non poterla far ascoltare al pubblico. A casa sua, Morgan sbotta: «Credo che qui a Monza organizzerò una fiaccolata insieme a chi si è vergognato come me. Le frasi della Clerici? Beh, devo mancarle molto perché nei suoi occhi ho visto tanta tristezza. Però ha anche sbagliato a leggere il testo della mia canzone: ha completamente saltato una riga importante. Poteva evitare. E poi, questo pistolotto sui vertici della Rai... che falsità. Era già tutto deciso».
Com’era prevedibile, il sussulto di dignità, nel caso Morgan, è arrivato da Morgan. «Adesso non ne posso veramente più - commenta amaro -. Sono due giorni che non riesco neppure a trovare il tempo per farmi gli affari miei, tante sono le telefonate dei giornalisti che vogliono sapere se verrò al Festival, se non verrò. Che barba!».
Tramite La Stampa, il cantante nel pomeriggio aveva mandato al Festival la lettera che pubblichiamo sopra e che bene esprime il suo disgusto per una vicenda in cui, a suo avviso, ha vinto soprattutto un ipocrita opportunismo.
Marco Castoldi, in arte Morgan, non è neppure amareggiato. Semplicemente, è stufo marcio. E si sente usato. «Vuole sapere la verità? Avevo già pronti anche gli spartiti per l’orchestra: in tutta segretezza i contatti con la direzione artistica del Festival continuavano e fino all’altro ieri sembrava addirittura che dovessi venire lì a Sanremo e far ascoltare la mia canzone fuori gara. Invece ieri in sala stampa Gianmarco Mazzi dice che il capitolo Morgan è chiuso e che la Clerici leggerà una lettera in diretta dove si dispiace ”artisticamente" per la mia eliminazione. Ma per favore. Per favore. Sono inc... nero. Ma dico: stiamo scherzando? Carne da macello va bene, ma fino a un certo punto».
una rabbia fredda, quella di Morgan. Si mette al computer, scrive, ma per lui la storia è chiusa. Come sarà questo Festival del quale avrebbe dovuto essere protagonista e di cui invece dovrà accontentarsi di fare da spettatore davanti alla tivù? «Ma chi l’ha detto che farò lo spettatore? Io ciò che ho da dire a quei signori glielo dico con la lettera e la facciamo finita. Poi spengo il televisore e faccio qualcos’altro».
Dopo, però, la curiosità dell’artista prevale sulla rabbia dell’uomo e Morgan accetta di vedere e commentare al telefono con il cronista la prima serata di Sanremo 2010, una serata che, al di là di ogni sua volontà, lo vede di nuovo tirato in ballo, dal fervorino a mezzo Rai che Antonella Clerici rivolge al Figlio Perduto del Festival.
« inziato il Festival - racconta Morgan - e mentre aspettavo che si scaldasse l’acqua del bagno mi sono messo a leggere un pamphlet del’Istituto Manzù. C’è scritto che nel Terzo mondo muoiono 35 mila bambini al giorno. Trentacinquemila! E voi che fate queste mestiere perdete tempo a occuparvi del problema Morgan? Capisce che è un paradosso? Stento a credere che sui giornali ci possa essere tutto questo spazio per me o per quello che qualcuno crede che io rappresenti e non una riga sulle vere tragedie del mondo».
«Lo so - prosegue -, qualcuno leggendo questa dichiarazioni penserà che voglio alzare il tiro e allontanare la valanga di inchiostro che mi è caduta addosso. No, non m’importa, io sono felice, felicissimo. Non sto affatto male e la mia vita artistica va a gonfie vele. Le prossime serate? Non le passerò certo a guardare il Festival. Preferisco studiare i libretti di istruzioni dei nuovi strumenti che ho comprato e sono molto complessi. Facciamo così: ora vado sul divano a leggermene uno e il Festival lo guardi lei. Poi mi racconta e le faccio un commento». Detto fatto. «Anzi - conclude Morgan -, mi faccia un favore. I versi della mia canzone La sera li citi correttamente almeno lei». Eccoli: «Quando ormai mi credevo disperso / con stupore immenso tutto ritorna per me ad avere un senso / O almeno si spera esce la sera, buona la sera». «Direi che basta così».
ALESSANDRA COMAZZI (Cronaca)
SANREMO
Scenografia maestosa, via le scale, fiori virtuali, ritorno al classico, profumo di tradizione, nonostante Antonella Clerici di rosso vestita arrivi su un’astronave, niente di meno ci aspettiamo da Raiuno nell’era di Avatar: un ricordo di 2001 Odissea nello spazio. Molti si ostinano a concentrarsi soprattutto sulle canzoni, che a un primo ascolto si rivelano mediamente orecchiabili, più «da Sanremo» del solito. Eliminati ieri Toto Cutugno che steccava, Nino D’Angelo (peccato) e il trio Pupo, Emanuele Filiberto, Luca Canonici, già fischiato durante l’esibizione. Ma il momento tanto atteso dalle cronache era tutto per Morgan. E Morgan sì e Morgan no, Morgan e la Terra dei cachi. Ogni Sanremo ha il suo tormentone iniziale: e così Clerici, intorno alle 23, ne ha parlato: «Sono lontana anni luce dal mondo della droga, la mia droga è la mia famiglia, un caffè macchiato la sera. Sono intollerante in confronti di questo vizio, soprattutto quando si trasforma in moda. Ma l’unica salvezza per chi come Morgan lancia un grido d’aiuto è la musica. Per questo io avrei fatto sentire la sua canzone, poi i vertici Rai hanno deciso diversamente. Così ne leggo un brano: «Quando ormai mi credevo disperso con stupore immenso tutto ritorna per me ad avere un senso. O, almeno si spera, esce la sera, buona la sera».
Bene, buona sera. E una buona serata è stata, questa prima del Festival, nonostante lunghezza, massacri pubblicitari. Lo sapeva pure la conduttrice che, parlando con la giuria, ironizzava sul telecomando del voto, «che non è quello per cambiare canale». Chissà gli ascolti. Pacata Clerici, una volontà di «signora mia» con gli strass addosso. Non ha mai urlato, aveva sempre detto che avrebbe presentato Sanremo come un qualunque programma, e ha eseguito. Sostenuta dalla puntuale e non stravagante regia di Duccio Forzano e dai sons e lumières spaziali di Gaetano Castelli scenografo. Penalizzanti però le luci.
Chissà se la lunga introduzione di Paolo Bonolis e Luca Laurenti era stata in fondo una gentile ma ferma manifestazione di sfiducia nei confronti di Antonella Clerici. Oppure una dimostrazione della linea di risparmio Rai. In questa casa non si butta via niente, quei due li abbiamo scritturati, tocca sfruttarli. Perché i sodali l’hanno fatta veramente infinita, la scena iniziale, con tanto di «tre buoni motivi per guardare il Festival di Sanremo», un grande classico del Senso della vita. I due cantano, (in inglese, curioso, per il Festival della canzone italiana), dialogano, partono al buio e fanno i brillanti. Si va talmente avanti che a un certo punto il conduttore del 2009 invoca la conduttrice del 2010: «Noi ci abbiamo gente in casa». Lei arriva, il «traghettamento» è avvenuto, si comincia.
E quindi ospiti, e canzoni, e palloni. Milan-Manchester andava in onda di là su Sky Sport, e di qua su Raiuno Antonio Cassano, «sono un pagliaccio», dialogava a più riprese con la bella bionda. «Son venuto qua per te perché oltre che essere bella sei anche molto brava», e veniamo a sapere che, entrambi, «prima di esplodere» contano fino a uno. Bravi. E che lui sarebbe meno emozionato al Santiago Bernabeu, «là è il mio campo, qui me la sto facendo addosso». Tenero. Tenera pure la «donna scozzese come tante», la Susan Boyle bruttina intonata che ha sconvolto gli inglesi per il contrasto tra voce e aspetto fisico. Che meraviglia, che cambiamento. Tutti in piedi per la realizzazione di un sogno, I have a Dream, veramente il sogno era un po’ più impegnativo, altri tempi. Era la sua prima volta in Italia: «Spero di potervi tornare presto, soprattutto per la gente». Ma allora lassù, in Inghilterra, qualcuno ci ama. Poi Dita Von Teese si spoglia ed è proprio un bel vedere.
La Stampa mercoledì 17/2/2010
LE PAGELLE
IRENE GRANDI 8
LA COMETA DI HALLEY. Volano briciole di "Bruci la città" (dev’essere il sequel). Ritmo martellante e sapiente melodia per l’aggressiva interprete che, nella banalità di una storia consumata, mostra di preferire la fuga nello spazio ai metaforici rubinetti che perdono.
VALERIO SCANU 6
TUTTE LE VOLTE CHE.Partono, come in un agguato, i "5 giorni" di Zarrillo. Ma Scanu conquista poi autonomia nel brano fresco, rutilante nei versi, coraggiosamente minimalista nell’interpretazione: l’emozione frena le ambizioni (e per il carisma tocca aspettare).
TOTO CUTUGNO: 5
AEROPLANI. Una malinconica, melodica e un poco disperata elegia che vola nei ricordi, alla riscoperta di un tenero sogno: far rivivere un amore già vissuto, compiacendosi di invenzioni già sperimentate in una lunga carriera alla quale nulla si aggiunge.
ARISA: 6
MALAMOREN. Leggiadro coro en travesti delle Sorelle Marinetti, più che comprimarie accanto ad Arisa in replica dal 2009. Furbizie da Trio Lescano campionato si appiccicano alle orecchie, come in un polveroso 78 giri. Un divertissement, leggero leggero.
NINO D’ANGELO: 6
JAMMO J. Una lambadina spigliata ma impegnata, con il determinante apporto della neomelodica voce di Maria Nazionale, e con un sano senso del battere. Si cantano gli eterni guai di Napoli, imprigionata fra stereotipi e problemi contemporanei.
MARCO MENGONI: 4
CREDIMI ANCORA. Vincitore di X-Factor n.3 e qui per diritto, s’infila fra Alex Baroni e Tiziano Ferro (copiosamente citato), in un brano esibizionista che fra discese ardite, risalite e frasi assurde (’Sarò lupo e rondine per gli occhi tuoi”) lascia attoniti e spossati.
SIMONE CRISTICCHI: 8
MENO MALE. Audace l’argomento, e poco sanremese: la malainformazione all’italiana. Viene risolto acutamente, per il popolo, con graffi di ironia su Carla Bruni e Sarko-sì e Sarko-no, in un ritmo indiavolato pop-punk buono pure per una notte in discoteca.
MALIKA AYANE:9
RICOMINCIO DA QUI. L’eleganza dell’interprete e l’originalità della voce, si accompagnano a una melodia aerea e guizzante che si allontana dal melodramma e punta alla modernità, in uno dei tanti sogni di fuga di questo Festival. L’arrangiatore di Björk ha ben lavorato.
PUPO, EMANUELE FILIBERTO
& LUCA CANONICI: 3
ITALIA AMORE MIO. Manifesto tradizionalista (ed elettorale). Dio, Patria, Famiglia. Mandolini. Ricordi d’esilio improbabilmente impastati con "Over the Rainbow", in format di canzone tv, con irresistibile entrata del tenore, rimpinzano una polpetta indigesta (e trash).
ENRICO RUGGERI: 7
LA NOTTE DELLE FATE. Anche Ruggeri punta a un ritmo compiaciuto dentro una melodia appiccicosa che canta (con esperienza consumata) la capacità femminile di sognare ancora vette inesplorate, attraverso i fulminei ritratti di tre ragazze d’assalto di oggi.
SONOHRA:4
BABY. Così vecchi nella loro gioventù, i due fratelli veronesi ricordano le Paola&Chiara del debutto in una ballatona con energiche schitarrate, che contiene un repertorio di banalità amorose Anni Cinquanta ("Baby, ovunque sia il tuo nome t’amo").
POVIA: 6
LA VERIT. Lettera ai genitori, di una ragazza che non c’è più: si sa che è Eluana ma grazie al cielo non viene nominata. Il cantastorie si sarà stufato di fare il fenomeno; agguanta la cronaca e la trascina dal parlato al rock sinfonico, senza sbroccare.
IRENE FORNACIARI & NOMADI:6
IL MONDO PIANGE. Nella ballad che subito rivela la mano sicura di papà Zucchero, Irene mostra doti gradevoli e più morbide di interprete, prima di scatenarsi con le tonsille. Ma con i Nomadi e la voce di Sacco quasi silente, c’è l’effetto coitus interruptus: un vero peccato.
NOEMI: 8
PER TUTTA LA VITA. Anello di congiunzione fra talent-show e lavoro in proprio, con la sua voce non inutilmente eccentrica Noemi sfodera grinta e capacità in un pezzo che vuol uscire da schemi abusati: eppure si ricorda con facilità, ed è amarognolo ma non piagnone.
FABRIZIO MORO: 5
NON UNA CANZONE. l’inno dell’impossibilità di uscire dalla dimensione bamboccione, ma il testo accorto è tramortito da un tremendo ”la-la-la-la”. Il rap-reggae musicalmente si perde nel tappeto elettronico e nella inevitabile eco del successo di ”Pensa”.
La Stampa 17/2/2010
Alberto Mattioli (Le due ospiti: Dita e Susan)
Questo Festival condotto da una donna non è il Festival delle donne. O almeno non del modello muliebre che la televisione italiana ci sbatte in faccia un giorno sì e l’altro pure, giusto per alimentare «il dibbbattito» su uso e soprattutto abuso del corpo femminile: la bonona strizzata nel minivestitino con il seno in bellavista, gli spacchi inguinali e il cervello, concesso e non dato che ci sia, scollegato da tutto il resto. Insomma, quest’anno a Sanremo le donne ci sono, ma diverse.
Intanto, stante la conduzione al femminile, mancano le vallette. Certo già l’anno scorso Paolo Bonolis si era accontentato di un Luca Laurenti stanziale, affiancandolo con qualche bella di passaggio, ma mai come stavolta la brava conduttrice è sola soletta. Poi, diciamolo: la Clerici sarà anche una bella donna, ma la sua femminilità è tutto meno che aggressiva. Né il vestito rosso dell’inizio, eccessivo anche per Jessica Rabbit, né il dimagrimento annunciato dal suo sarto Gai Mattiolo («Dalla 48 alle 42!») ne fanno una vamp. Inutile: ce la immaginiamo sempre con una pentola in mano come un’Ave Ninchi del 2010 e speriamo che quel che ci bolle dentro non sia uno dei ragù di gatto cari al suo ex socio Bigazzi.
Anche le ospiti della prima serata confermano quest’inversione di tendenza. Susan Boyle, la bruttina intonata che è diventata famosa vincendo un reality perché cantava bene, è una 48enne senza nessuna attrattiva tranne le voce. arrivata a Sanremo (da Montecarlo, perché ormai l’ex casalinga disperata è una diva), ha cantato un brano fantasiosamente intitolato I dreamed a dream e se n’è andata. Cattolica, dice che «spero un giorno di visitare il Vaticano, sede della mia fede religiosa». Sai che brividi.
L’eros l’ha fornito Dita von Teese, regina del burlesque (il burlesque sta allo spogliarello come l’alta moda al prêt-à-porter) parcheggiata a fine serata quasi notte per ragioni di fascia protetta. Alla vigilia, grande suspense per la maxicoppa di vetro alta un metro e mezzo e pesante 200 chili: era bloccata ad Atlanta dal maltempo. Lei ci si è poi immersa come un Martini vivente, ma con i capezzoli coperti da un piccolo pezzo di plastica perché siamo pur sempre su Raiuno, democristiana nel Dna. Però, a ben pensarci, anche l’ex madama Manson (sette anni di matrimonio: la bella e la bestia, davvero) non è la solita smutandata. Propone anzi un erotismo raffinato, cerebrale, feticista, fatto più di piume di struzzo, languide movenze, pizzi e allusioni che di massicce esposizioni di epidermide. molto più scandaloso come demolisce i feticci del politically correct: «Ditemi cosa c’è di più liberatorio che guadagnare 20 mila dollari in dieci minuti». O: «Non esistono donne brutte, ma solo donne pigre».
Stasera, poi, approderanno all’Ariston sedici-ballerine-sedici del Moulin Rouge, metà nel classico costume bellépochiano alla Toulouse-Lautrec e metà con immensi cespugli di piume giallorosse in testa. Sono state ostense in anteprima ieri davanti a una sala stampa allupata. Però, anche qui, siamo lontani dallo stereotipo della bonona. Intanto queste ragazze sanno ballare. E poi sono tutt’altro che maggiorate: gambe chilometriche, ma vite sottili e seni tranquillamente circoscrivibili in una coppa di champagne (caratteristica raccomandatissima anche dalla von Teese).
Sempre oggi arriva anche Rania di Giordania, certo bellissima ma sul versante intelligente-cosmopolita-poliglotta e per di più Regina vera. Per fortuna, si fa per dire, che a darci la nostra dose quotidiana di volgarità si aggirava ieri al Palafiori Patrizia D’Addario. Spiegando: « da quando avevo quindici anni che faccio l’artista». Come no...
La Stampa giovedì 18 febbraio 2010
ALESSANDRA COMAZZI (Cronaca)
Annuncio rotondo di Antonella Clerici, orgogliosa come forse lo fu Fabio Fazio quando introdusse all’Ariston Michail Gorbaciov: «Sua maestà la regina di Giordania Rania el Abdullah». Dice, la conduttrice, che non sa come comportarsi, si fa raccontare il primo incontro con il futuro re. Subito la traduzione non si capisce, poi aggiustano l’audio in corsa. E la regina, bellissima, elegantissima, ci può dire che: ama cucinare, fare i dolci con i figli suoi e del re, quattro, e ci dia ”sta ricetta dei biscotti, la sollecita l’Antonella. Lei precisa: «Trascorro le mattinate in ufficio, ho una vita abbastanza piena, ma non troppo diversa da quella di una qualunque donna che lavori». Permetta, maestà, di dubitarne. Ma Clerici non dubita. Si impegna lodevolmente in una campagna di alfabetizzazione dei bambini. «Dobbiamo unire le nostre forze perché solo attraverso la scuola, l’istruzione, i bambini possono riscattarsi». Pregiudizi sugli arabi: «Molti credono che tutti gli arabi siano musulmani, e che odino le donne. Ma l’Islam si basa sugli stessi valori del cristianesimo, la religione è stata manipolata da minoranze che stanno cercando di esportare un messaggio religioso distorto. Sta a noi combattere gli stereotipi, e questo si può fare anche con you tube. Bisogna diffondere tolleranza, comprensione, le persone comuni possono fare molto». Ecco, maestà, ci permetta di dubitare anche della sua caratteristica di persona comune. Ma Clerici non dubita. Tutti gli uomini la vorrebbero al loro fianco: suo marito non è geloso? «Abbiamo un rapporto di fiducia reciproca, un po’ di gelosia può essere utile ma non deve mai rovinare un rapporto». La saggia regina. Le cantano O sole mio, la bionda la saluta con «Shukran ma salama». Il pubblico la saluta tutto in piedi, le monarchie fanno sempre il loro bell’effetto sul pubblico. Salve, regina. Allora la conduttrice chiede a Garimberti, presidente Rai, com’è andata. «Più sono grandi, più sono semplici». Signora mia, non ce ne parli. Certo, di fronte alla bellissima regina, non c’è Michelle Rodriguez che tenga. Nonostante l’intervista fatta sotto forma di Avatar.
All’inizio di serata, volteggiava la piuma di Forrest Gump, volteggiava sotto la pioggia di Sanremo, volteggiava davanti all’Ariston e poi tra i velluti della platea. Una piuma metaforica e virtuale per collegarsi a quelle arancione e gialle delle bellezze del Moulin Rouge ma anche una strizzata d’occhio a Clerici. Arriva dondolando sull’altalena, vestita d’argento, lei e la sua taglia 42, dichiarata ma non creduta, a pensare male si fa peccato ma spesso ci si azzecca e comunque, si sa, la televisione ingrassa, però non ha ingrassato la regina. Antonella come il Forrest Gump di Tom Hanks, lieve e vittoriosa e candida di fronte alle difficoltà della vita e, più modestamente, di un Festival tornato «a essere specchio dell’Italia», e questo non è detto sia un bene.
Non solo la prima puntata della rassegna ha tenuto saldi gli ascolti, ma la conduttrice, che ieri si è pure seduta in braccio al direttore di Raiuno Mauro Mazza, ha molto colpito il pubblico, gli spettatori veri. Che ne discettavano per strada, nei bar e sui tram, come ai vecchi tempi. Chi ne diceva bene, chi ne diceva male, è adatta, non lo è, troppo sola, troppo fragile, troppo spaventata, niente affatto. Ma è chiaro un fatto: il Festival, anche grazie a questa conduttrice che ce la mette tutta per sembrare «una di noi» e che invece è una perfetta Colombina, un vero personaggio della televisiva commedia dell’arte, è tornato a essere argomento di conversazione. Ma vera, non soltanto amplificata dai media. E’ anche maliziosa, la Colombina, «adesso la dò», salvo poi precisare: «La pubblicità. Io faccio sempre delle gaffes». E ringrazia tutte le colleghe che le sono state vicine, donne solidali.
Serata difficile, chissà se gli ascolti terranno. Eliminati altri due primari «Artisti», Valerio Scanu e i Sonohra. Tra i giovani, passano Luca Marino e Nina Zilli. Le ragazze del Moulin Rouge, esempi di splendide femmine che non usano il corpo soltanto per mostrarlo ma anche per insegnargli a ballare in perfetto unisono con quello altrui, hanno potuto compiutamente esibirsi soltanto verso la fine della serata, hai visto mai che facessero scandalo. Con loro, anche la Blonde, a ballare il can can can con abito bianco rosso e verde. Prima, però, c’è stata una «favola», quella dei tre ragazzini di «Ti lascio una canzone, sì, il programma originale», frecciata al clone di Gerry Scotti «Io canto», in comune un gruppo di impressionanti bambini che cantano come adulti. E che hanno fatto declamare Granada a tutto l’Ariston.
La Stampa, giovedì 18 febbraio 2010
DALL’INVIATO A SANREMO
Se con questo Sanremo Antonella Clerici assurgerà definitivamente al ruolo di Madre della telepatria il merito è anche della metamorfosi del look. Ovviamente, per l’occasione presunta di gala sono spariti gli abitini casual modello «sono una casalinga come voi» sfoggiati alla Prova del cuoco, quando Antonellona in jeans e grembiule spignattava giuliva fra i saggi consigli di Anna Moroni-Nonna Papera e gli incoraggiamenti vernacoli del gatticida Beppe Bigazzi. Ma sono stati eliminati anche gli smodati abitoni multistrato, volutamente eccessivi, dunque ironici, sfoggiati all’Ariston precedente, quello del 2005: un incrocio fra Mazinga e una torta nuziale.
Per il suo Sanremo da primadonna, cambio di guardaroba. E di taglia: secondo Gai Mattiolo, lo stilista che veste nostra signora delle canzoni, «a novembre Clerici aveva una taglia 48, oggi porta la 42», benché, ammette, «abbondante». Miracolo. Roba da far invidia a Vanna Marchi, quando strillava in tivù di non esagerare con il suo bagnoschiuma dimagrante perché «donne!, quando toglierete il tappo della vasca sarete così magre che rischiate di essere risucchiate». Per la neosilfide, Mattiolo ha approntato undici «mises» cioè, spiega, «due abiti (uno lungo e l’altro corto) per ognuna delle cinque serate, contraddistinte ognuna da un colore, e uno di riserva». I colori sono stati l’argento «regale» ieri sera e il rosso «passione» martedì. Rossa anche la giarrettiera esibita a lord Antonio Cassano from Bari vecchia, la cui reazione è stata all’altezza: «Ammazza!». Del resto Mattiolo l’aveva detto, di volere una Clerici sexy e strabordante «come Jessica Rabbit». Invece martedì Dita von Teese, almeno per quei trenta secondi in cui è rimasta vestita, era griffata D&G e ieri Rania di Giordania era in Armani e Michelle Rodriguez in Scervino.
Però i vestitoni della Clerici hanno fatto veder rosso, è il caso di dirlo, a una collega di Mattiolo, Raffaella Curiel, icona della Milano minimalchic, che ieri ha lanciato l’offensiva: «Antonella Clerici è talmente spiritosa e bella che andava valorizzata meglio: il rosso è bellissimo e va tanto di moda, ma per lei quel vestito lì non andava bene. Ci voleva qualcosa di più sobrio ma molto raffinato». Colpi di spillo.
LE PAGELLE
BALLETTO DEL MOULIN ROUGE 8
In arancione la più simpatica apertura del Festival da anni (a parte Springsteen naturalmente, che resta primo in classifica per sempre). Un sexy elegante, merce rara al mercato contemporaneo.
IL TRIO DEI PICCOLI TENORI
inclassificabile
Si può rimanere colpiti dalle voci prematuramente potenti. Si può pure ammirare la dedizione, la passione. Ma poveri ragazzi, mandateli a giocare a rugby, non fatene fenomeni da baraccone.
MORGAN SU YOUTUBE 9
LA SERA. Non tutto il Festival è su Raiuno. La canzone di Morgan che unica come costruzione avrebbe potuto sfidare Malika Ayane, spopola su You Tube, affidata a una foto in bianco e nero.
LO STACCO DEL MAESTRO SABIU
Vedi Sigur Ros
La Clerici lo definisce "Sabiu settima", ma numerose segnalazioni giurano che lo stacco del maestro Sabiu si ispiri a Hoppipolla dei Sigur Ros .
NILLA PIZZI10
GRAZIE DEI FIOR A 91 anni, la regina per antonomasia della canzone italiana salirà con Carmen Consoli stasera sul palco, fasciata di bianco. Prosit Nilla, sei tutti noi.
NINA ZILLI: 7
L’UOMO CHE AMAVA LE DONNE La ritroveremo presto cantare nel film di Ozpetek: nel frattempo, si arricchisce il filone delle voci giovanili e spigliate (peccato le assonanze con ”Novembre” della Ferreri).
BROKEN HEART COLLEGE 5
MESI. Due ragazzini sono pochi per fare una boyband, ma possono già minacciare di essere la discendenza dei Sonohra; pure loro debbono crescere.
LUCA MARINO 5
NON MI DAI PACE Ballata con chitarra, echi del primo Grignani, suggestioni di primavera acerba. Si resta nell’universo adolescenziale con Luca, il boy-boy che da solo ambisce a fare una band.
MATTIA DE LUCA 7
NON PARLARE PIU’. La vocalità evoca Midge Ure, la ditta Caselli ci investe con Phil Palmer produttore. Molto ancora da fare, ma l’inizio è promettente.
JACOPO RATINI 5
SU QUESTA PANCHINA. Cantautore romano, quasi un Daniele Silvestri meno sarcastico e più leggero. Forse troppo (e comunque spazio al dubbio).
La Stampa, 18 febbraio 2010
Moralità
C’ è un problema. No, non le stecche di Cutugno.
E neanche lo scempio del Principino.
Il problema è forse Antonella Clerici. Di rosso o argento vestita, sembra come cristallizzata. Si toglie la giarrettiera, e per poco cade.
Balla sul riff dei Sigur Ros, e ricorda una massaia inciampata sui lustrini. Impara parole nuove, tipo ”metronomo”, illuminandosi di immenso. E nelle interviste va in letargo. Parlava (parola grossa) Cassano, e lei: ”Fantastico”, ”Meraviglioso”.
A prescindere. Cassano: ”Amo essere un miliardario”. Lei: ”Fantastico, ci piaci perché sei uno del popolo” (ma anche no). Con la Regina Rania, il ritmo era quello di Claudio Lolli che suona una mazurca alla Casa Pia. Qualcuno, di grazia, la scongeli.
La Stampa 18 febbraio 2010
GABRIELE FERRARIS (gli ascolti)
INVIATO A SANREMO
I casi sono due. O l’Auditel sbaglia, oppure Sanremo è come la Dc: non uno che ammettesse di votarla, ma ha governato per mezzo secolo.
Propendo per la seconda ipotesi, più consona allo spirito nazionale. Tutti a spergiurare che il Festival figurarsi se lo guardano, il Festival che schifezza, il Festival chi se ne frega; e intanto, sornioncelli, si sono guardati la prima puntata in dieci milioni e settecentomila, oltre il 45 per cento di quelli che martedì sera stavano davanti alla tivù.
Il Festival di Sanremo è ufficialmente risorto. E’ quasi ai livelli-record del Bonolis 2009: ma quest’anno Bonolis s’è visto solo all’inizio, poi c’era la Clerici. come fare gli stessi risultati dell’Inter con il Toro. Con tutto il rispetto per la Clerici e per Colantuono.
Ieri mattina quelli della Rai, che in quanto servizio pubblico conoscono i loro polli, avevano le facce dei notabili democristiani dopo le elezioni. Benché consci delle loro magagne, e a rigor di logica miracolati, sorridevano tranquilli, ripetendo che se l’aspettavano, avendo ben operato.
Mauro Mazza, direttore di Raiuno in quota (ex) An, è tanto contento perché l’età media degli spettatori s’è abbassata: siamo ancora sopra i 51 anni, ma in calo tendenziale. «Questo dà una prospettiva importante ai prossimi anni del Festival - dice -. Forse Sanremo è tornato a somigliare all’Italia di oggi». E’ vero, ma non è detto che sia un complimento.
E poi non esageriamo. Gli è andata bene, però Mediaset non ha controprogrammato: diciamo che non hanno voluto farli perdere? C’entrano i calcoli sul «periodo di garanzia», sicuro. Ma le tivù del premier non paiono proprio ansiose di guastare la festa della rete del nazionalalleato. Ciò spiegherebbe, in senso inverso, pure l’impegno di Raitre che va oltre il 10 per cento e si piazza seconda portando Bertolaso a Ballarò. E figuratevi che, dopo Raiuno e Raitre, la terza forza della serata non è stata Canale 5, bensì Sky. Piazzamento epocale, pur con il Milan di Champions.
Però il ritorno dei giovani è un fatto. E ha una spiegazione: la presa di potere dei talent show, che invadono l’Ariston con i loro prodotti, cantanti costruiti in video che attirano a frotte i ragazzi. Il direttore Gianmarco Mazzi si esibisce in un’acuta analisi: «Sanremo e i talent show hanno fatto la pace, sono due modi di esibirsi che possono andare d’accordo». La controprova è la strage degli impotenti, di quelli che non hanno séguito presso il popolo degli under qualcosa, e che finora erano sopravvissuti in virtù di un pubblico festivaliero agé e musicalmente «arretrato». Strage che colpisce i buoni (Nino D’Angelo) e gli scarsi (il canterino rampollo di una casa Savoia mai a livelli così imbarazzanti dal 1943), ma soprattutto i classici «arnesi da Festival», tipo Cutugno.
A proposito di casa Savoia: al di là dell’abissale insufficienza del brano, si ha l’impressione che i tre sventurati interpreti siano al centro di un regolamento di conti interno al centrodestra. La canzone sul piano artistico difficilmente è difendibile: ci prova Gianmarco Mazzi, arrampicandosi sugli specchi, ma lui è pagato per farlo, pur non credendoci. Italia amore mio è arrivata al Festival per rappresentare dei valori d’area, cari alla destra. Niente di male: è sempre accaduto, a Sanremo. Ma i valori di quale destra? Raiuno è un feudo dell’ex An, ma la bocciatura più feroce arriva dai finiani di FareFuturo: «Nemmeno a Sanremo c’è posto per la destra nazional-monarco-trombonesca di Pupo e del giovane Savoia. Sì, perché l’inno di questa nuova ”destra divina” da prima serata è stato sbattuto fuori dal Festival, a suon di voti demoscopici. E meno male».
Ma allora, Pupo & Principe & Tenorino chi li ha voluti al Festival? Uno pensa: ci sarà lo zampino di Mazza, colui che la vedova Almirante saluta - affettuosamente ricambiata - definendolo «un bravo giovane tanto caro a Giorgio». Ma il direttore di Raiuno non li difende certo con la lepidezza data in pasto ai giornalisti: «A me Pupo e Emanuele Filiberto piacciono quando conducono quel programma... com’è che si chiama?...». I Raccomandati, bravo giovane. Si chiama I Raccomandati.
La Stampa 18 febbraio 2010
ALBERTO MATTIOLI (parlano gli autori)
Simona Ercolani e Cesare Lanza sono i due più noti fra gli otto (otto!) autori di questo Sanremo che ha avuto buoni ascolti e cattive recensioni. L’incontro avviene in una stanzetta nel retrobottega dell’Ariston con l’agente Lucio Presta, deus ex machina del Festival e di mezza tivù italiana, che entra ed esce dal loculo. I due imputati di leso spettacolo hanno voglia di parlare. E si difendono come raccomandava il vecchio Clausewitz: contrattaccando.
Cosa fanno otto autori?
Ercolani: «Sa quando abbiamo iniziato a lavorare questo Sanremo?»
No.
E: «In agosto».
Lanza: «L’anno scorso con Bonolis, ma Simona allora non c’era, in giugno».
Vabbé, ma in pratica che fate?
L: «Ieri sera (martedì, ndr) due autori erano sul palco. Due seguivano la Clerici cronometrando i tempi, ricordandole le cose da dire e controllando che lo facesse. Due erano in regia, a star dietro a grafica, scaletta e simili. E due lavoravano alla puntata del giorno dopo».
E: «Per questo Festival lavorano 301 persone. E passa tutto da qui».
Inevitabile: caso Morgan.
L: «Intanto diciamo che il caso l’hanno creato i giornali: Max che ha pubblicato l’intervista, le agenzie che l’hanno diffusa e i giornali che l’hanno ripresa sguazzandoci. Noi non abbiamo mai detto nulla, mentre Morgan parlava dappertutto, anche a Porta a porta, che pure è un programma Rai».
E: «Noi Morgan a Sanremo l’avremmo chiamato. Poi si poteva discutere se in gara o no, se parlante o cantante, ma né come drogato né come maître-à-penser. Insomma, abbiamo in casa il caso di cui parla tutta Italia e non lo facciamo vedere? Noi lo volevano all’Ariston, la Rai no. E si è visto chi comanda davvero».
Insomma, la Rai ha sbagliato.
L: «Dal punto di vista dello spettacolo, sì».
E: «E poi io sono di sinistra e le bacchettate sulle mani non mi piacciono».
Ecco, lo spettacolo: latita. La Clerici sembra una signorina buonasera degli Anni Sessanta: autore Tizio, canta Caio, dirige Sempronio. Stop.
L: «Senta, si dice che io ho fatto molti programmi ”urlati”. Bene, sarà vero. Però i programmi si pensano in funzione di chi li conduce. Se io ho Baudo o Bonolis, faccio un certo Sanremo. Se ho la Clerici, ne faccio un altro: familiare, tranquillo, educato...».
E: «...e con le canzoni protagoniste».
Ma da decennni le canzoni non sono più la ragion d’essere di Sanremo. uno show tivù, via.
E: «Anche un film è un film. Però se la star è De Niro è un film, se è Eddie Murphy è un altro film».
L’impressione è che l’anno scorso con Bonolis si raccontasse una storia, in questo si affastelli ciò che passano il convento e le finanze Rai.
E: «Quest’anno raccontiamo una gara».
L: «Sanremo è un vestito. Lo cuci su misura per chi deve indossarlo. E la Clerici lo sta portando benissimo».
Potendo scegliere, nel 2011 chi vestireste?
L: «Bonolis e la Clerici insieme. Ma prima o poi, spero prima che poi, toccherà a Paola Perego, che è una grande professionista (ed è anche la signora Presta, ndr)».
E: «Maria De Filippi».
vero che gli autori tivù diventano tutti ricchi?
E: «So solo che Sanremo è uno dei posti dove lavori di più e, in proporzione, guadagni di meno. Sa quanto mi danno di rimborso spese al giorno? Cinquanta euro: cinquanta!»
L: «Tornassi indietro, scoprirei la tivù molto prima. Negli Anni Ottanta questa lungimiranza l’hanno avuta solo in tre: Costanzo, Zavoli e Piero Angela. Chapeau».
Per la tivù, personaggi come Presta sono una sventura o una fortuna?
L: «Presta è uno che la televisione la fa perché sa farla. Uno dei tre o quattro che ci sono in Italia».
Ma la Rai non dovrebbe averla in casa, gente così?
L: «Mmmm...»
Vabbé. Il programma di cui siete più orgogliosi?
E: «Sfide per Raitre».
L: «Il programma, non so. Gli episodi, quelli per cui mi hanno più criticato: le interviste di Bonolis a Tyson, Donato Bilancia e al condannato a morte americano che fu poi giustiziato pochi giorni dopo».
E quello che non rifareste?
E: «Uno, due, tre, stalla».
L: «Sempre con Bonolis, il programma di calcio Serie A».
Chi è il miglior uomo tivù italiano?
E: «Bonolis».
L: «Sono tre: Bonolis, Fiorello e Maria De Filippi che sta al nostro tempo come i neorealisti agli Anni Cinquanta».
Baudo condurrà ancora Sanremo?
E: «Credo che ormai ci sia stato un salto generazionale».
L: «Chissà. Ma il mondo, anche quello della tivù, cambia».
Essere cinici, nel vostro mestiere, aiuta?
E: «Aiuta nella vita».
L: «Un po’ serve. Ma io sono ancora uno che si commuove».
Questa è una notizia. E quando?
L: «Quando la gente non viene rispettata. E quando subisco una censura».
Ogni riferimento a Morgan è puramente voluto.