Francesco Verderami, Corriere della Sera 19/02/2010, 19 febbraio 2010
VERDINI, LA SUA VERITA’ IN UN DIARIO «IL SISTEMA C’E’ MA NON E’ ILLEGALE»
– «Riccardo è un amico, con lui ho condiviso tante cose nella vita. Figurarsi se adesso mi metto a rinnegare la nostra amicizia». «Riccardo» è l’imprenditore Riccardo Fusi coinvolto nell’inchiesta sugli appalti del G8. Chi non intende «rinnegare l’amicizia» è Denis Verdini, indagato a sua volta dalla procura fiorentina per la stessa vicenda, e che per ora ha deciso di raccontare soltanto a se stesso la propria verità, sotto forma di diario. Perché il coordinatore del Pdl non vuole al momento parlare con la stampa, «non rilascio interviste mi dispiace», dunque è solo sbirciando quelle pagine che si può ricercare la sua versione dei fatti.
L’«io scrivente» esordisce descrivendo i suoi rapporti con «il mio amico Riccardo», Fusi appunto: «Con lui non sono arrabbiato né mi sento tradito o tirato in mezzo. persona di cui mi fido, un vero imprenditore, con tremila lavoratori alle dipendenze. Mica robetta. Capisco che mi ha creato un guaio clamoroso, sono indagato per aver sostenuto una nomina che poteva interessarlo. Questo ha indotto i magistrati a pensare che ci fosse una specificità, ha fatto supporre un reato. Ma non è così e comunque non nasconderò mai che a Riccardo in questi anni ho presentato il mondo, tutti quelli che mi chiedeva di conoscere. Mai però per interessi personali, mai per una lira».
In molte pagine del diario Verdini ha conservato ritagli di giornale, articoli sottolineati a matita, e diversi appunti, dello stesso tono: «Un domani chiederò conto delle falsità. Sono pulito». Deve aver litigato con i suoi legali prima di andare spontaneamente dai pm di Firenze, se qualche foglio appresso si legge: «Avvocati sconsigliano incontro al buio. Io invece voglio andarci, anche senza conoscere le carte, senza sapere cosa abbiano in mano su di me». Più sotto, un considerazione sull’incontro: «Penso che (i magistrati, ndr) abbiano apprezzato il gesto, penso di aver chiarito tutto profondamente. So di non aver fatto nulla di male. Psicologicamente mi considero già fuori dalla vicenda».
Le date si sovrappongono. Altri articoli di giornale. Una pagina del Riformista, con l’intervista al finiano Granata che dice: «Se fossi in Verdini mi dimetterei da coordinatore » . Commento vergato a stampatello: «Non mi passa neanche per l’anticamera del cervello». E ancora: «Per chi è cresciuto in Toscana e conosce l’aspra franchezza dei fiorentini, certe cose sono roba da asilo infantile».
Sotto c’è un rimando a una data precedente. C’è scritto «SB», le iniziali di Berlusconi, e una frase tra virgolette cerchiata in rosso e blu: «Mi dispiace che ti abbiano coinvolto in questa inchiesta. Sbattitene, Denis. Ma non gonfiare il petto, perché resto io la vittima degli assalti giudiziari». Un commento, stavolta è Verdini che parla di se stesso: «Lavorare stanca, invece a me diverte. Non sento lo stress e sono contento di lavorare per Berlusconi, che è il fulcro di tutto. Se milioni di persone guardano al nostro partito è solo grazie a lui».
Il coordinatore del Pdl è un autentico grafomane, il Cavaliere è la sua prima vittima, se è vero che quasi ogni giorno viene sommerso dai report di Verdini sullo stato dell’arte nel partito. Annotazione. «Solidarietà da Ignazio (La Russa), Sandro (Bondi), Fabrizio (Cicchitto), Maurizio (Gasparri)». Manca qualche nome, per esempio Gianfranco. C’è tuttavia una sorta di motto, che forse serve da training autogeno: «A testa alta». E un altro articolo di giornale, quello «affettuoso» di Giuliano Ferrara, che sul Foglio dice di non poter mettere una mano sul fuoco per «Denis». Breve chiosa: «La mano sul fuoco ce la metto io per me stesso».
Fuori Verdini non vuole mostrare «incertezze», dentro però deve avvertire «un forte turbamento», almeno così scrive: «Le intercettazioni sono una vera maialata. La trascrizione delle telefonate restituisce un tono freddo. Tutto diventa piatto. Le conversazioni invece, se ascoltate, hanno in generale un altro spirito. Io nelle mie non mi ci riconosco, ricordo che i colloqui con Riccardo (Fusi) avevano un altro spirito. Ma vanno sentite, non lette. E se ci sono rimasto male io a leggerle sui giornali, immagino la gente. Ma come difendersi? Sembra di stare davanti all’Inquisizione». In famiglia dev’essere andata diversamente. vero, c’è scritto «disagio», ma subito dopo il punto esclamativo Verdini aggiunge: «Il nostro legame è solido. Godo di buona stampa, almeno in casa... Hanno pensato più a me che a loro».
«Turbamento», «disagio» e infine «debolezza». Una pagina del diario tutta sottolineata: «Dato che sono stato coinvolto nell’inchiesta non potrò dar sfogo al mio garantismo. l’unico aspetto che mi fa sentire debole: non poter denunciare la strana concomitanza dell’inchiesta con le prossime elezioni». Verdini non dice di considerarlo un disegno politico, ma lo s’intuisce. Di nuovo un articolo di giornale tra le pagine del diario. Titolo: «Ecco il sistema di potere». Commento: « Scoperta dell’acqua calda. Quando c’è discrezionalità si apre la porta a un sistema. Il punto è se è legittimo o illegale».
E Verdini non si sente parte di una «cricca». Lo scrive, come a volersi ribellare. In quest’ultima nota c’è la sua verità sulla vicenda: «Riviste le agende degli appuntamenti. Incontrato Bertolaso una sola volta. Sentito al telefono una sola volta. Questa sarebbe la grande organizzazione criminale? Penso che l’inchiesta sia frutto di un errato modo di condurre le indagini, che’ come ormai accade da molti anni – sono centrate sulle intercettazioni. Le intercettazioni costano un patrimonio e molto spesso non sono corrispondenti alla realtà. come osservare le cose dal buco di una serratura: la visione è ristretta. Perciò parziale».
Francesco Verderami