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 2010  febbraio 19 Venerdì calendario

LA BORSA DEL FUTURO TUTTA CASA E ALGORITMI (3

articoli) -
Ieri erano in quaranta nella sede di Iw Bank a Milano, per ascoltare Giuseppe Belfiori. Tutti trader online, piccoli investitori che «giocano in Borsa», come si diceva ai vecchi tempi, i loro soldi col computer di casa. Ingegnere, master alla Bocconi, di mestiere Belfiori progetta algoritmi per il trading automatico con la sua Ft Support. Tra i prodotti Wimserver, un pacchetto che consente anche al piccolo «giocatore» di utilizzare, dal computer di casa, algoritmi matematici per comprare e vendere in automatico azioni, opzioni, futures, etf e quant’altro l’innovazione finanziaria mette a disposizione per fare soldi.
O almeno per provarci. Dopo il boom del trading online tra la fine degli Anni 90 e l’inizio del decennio successivo, l’applicazione ai piccoli di strumenti per far vendere e comprare azioni al computer anziché schiacciare un bottone ogni volta è l’ultima frontiera. «Direi che ad oggi circa il 50% dei piccoli trader utilizza questi sistemi - spiega Belfiori -, gli utenti sono raddoppiati negli ultimi 18 mesi». Più che la voglia di fare soldi il motore sembra essere quello di prendersi meno rischi. «In genere passa a questi sistemi o il trader esperto che ”diversifica” o il principiante che ha iniziato da solo ed è rimasto scottato», racconta Belfiori. E allora meglio lasciar fare a chi sa fare, anche una macchina. Peraltro è un lavoro che le macchine fanno da tempo: almeno dalla metà degli Anni 80. Con molti inciampi. Il primo, storico, è quello del crollo delle Borse 1987. Allora furono proprio i computer i principali indiziati. Alcuni grandi fondi d’investimento operavano con queste macchine: a fronte delle perdite iniziarono a vendere e mandarono ancora più giù gli indici fino al grande crash e alla paura di un ritorno del ”29.
Poi gli algoritmi vennero raffinati e per vedere una replica del crac del ”29 i mercati hanno atteso altri 20 anni. In mezzo il caso di Lctm, hedge fondato da due premi Nobel per l’economia e maghi della matematica come Robert Merton e Myron Scholes. Utilizzava i modelli matematici di Merton, Scholes e Black per prevedere gli andamenti dei prezzi delle azioni. Crack spaventoso, che fece tremare i mercati mondiali e venne salvato da un intervento d’emergenza della Fed. Poi capita anche che venga messa una toppa prima che il buco si palesi. quanto accadde all’ora di pranzo di tre anni fa al Nyse. Gli operatori si videro arrivare sui monitor centinaia di migliaia di ordini di acquisto e vendita, partiti e cancellati simultaneamente, ingolfando l’attività della Borsa su 975 titoli della principale piazza mondiale. Quello che era successo, ricorda il Financial Times, si è scoperto un mese dopo. Un algoritmo sviluppato da Crédit Suisse per il trading proprietario (fatto con i soldi della banca e non con quelli dei clienti) aveva un «baco» di programmazione. La banca svizzera è stata multata, ma gli algoritmi resistono. Il paradosso è che in tempi di mercati globali l’ultima sfida si gioca proprio sulla vicinanza fisica. Nyse Euronext sta investendo 500 milioni di dollari, scrive ancora l’Ft, per costruire due centri di calcolo grandi come due campi di calcio. Ci finiranno dentro i computer che gestiscono gli ordini di acquisto e vendita, ma anche (in affitto) quelli dei broker che usano gli algoritmi per operare in Borsa. La partita del trading automatico si gioca infatti su millisecondi e avere solo un cavo molto corto tra l’ordine che parte e quello che arriva può fare la differenza. Ma il sistema perfetto non esiste, ricorda un trader. «A me viene in mente la ”random walk theory” e mi sembra sempre la più appropriata»: l’andamento di un’azione è prevedibile quanto la camminata di un ubriaco. Malgrado tutti gli algoritmi, molto poco.
Gianluca Paolucci

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L’ALGORITMO NON SALVERA’ IL MONDO -
L’idea su cui si regge la «Trilogia galattica» di Isaac Asimov, forse il più noto romanzo di fantascienza del XX secolo, è che il futuro possa essere previsto con esattezza, purché la gente non sappia che lo si sta facendo. Un sistema complesso di algoritmi permette a un gruppetto di saggi di prevedere la decadenza del sistema, e di prendere provvedimenti se non altro per limitare la durata del Medioevo stellare.
Complimenti ad Asimov, che escogitò questa trovata nel 1942, lo stesso anno in cui entrava in funzione il primissimo - e limitatissimo - calcolatore elettronico. Però l’esperienza mostra che il futuro non si può prevedere, neanche con i computer di oggi, le cui potenzialità nessuno scrittore di fantascienza aveva mai immaginato.
Si regge ancora su un’illusione di questo tipo, il ritorno agli algoritmi dopo la botta presa con la crisi finanziaria? No, rispondono gli esperti, noi non cerchiamo di divinare il futuro, costruiamo modelli che rispondono ai movimenti di breve periodo del mercato, movimenti che possiamo ragionevolmente schematizzare sulla base dell’esperienza. Ma è proprio qui l’errore, ha sostenuto lo storico dell’economia Lord Robert Skidelsky in una conferenza a Roma l’altro giorno: «Nella storia, lo stesso cavallo non corre mai due volte», dunque è vano ritenere che gli esperti di cavalli possano fare scommesse meno azzardate sull’esito di una gara.
Forse Skidelsky è troppo radicale, obiettano economisti e statistici; però, certo, illudersi di dominare il futuro spezzettandolo in «brevi periodi» ricorda molto il fallace paradosso secondo cui Achille non sorpassa mai la tartaruga. Se nel breve periodo tutti si comportano allo stesso modo, secondo modelli ispirati alle stesse convenzioni, gli equilibri del mercato sembrano più stabili finché non arriva l’evento inatteso che li mostra invece più fragili.
Con algoritmi complessi, prima della crisi, le banche erano convinte di aver esattamente misurato i rischi ai quali si esponevano; alcune di esse per l’appunto sono fallite, altre si sono salvate a spese dei governi.
Però l’illusione di dominare gli eventi con le equazioni è dura a morire; ritorna, come è tornata sui mercati la speculazione, quasi che nulla fosse successo. I sistemi elettronici non erano perfezionati, si starà dicendo qualcuno; si proverà con software più complessi. Che si possano così avvistare i «cigni neri» - gli eventi ritenuti praticamente impossibili ma che poi si verificano, come li ha chiamati lo scienziato e finanziere Nassim Nicholas Taleb nel bestseller che molti citano - è tutto da vedere. Chissà se hanno chiesto la sua consulenza. Anche sfruttando al massimo la potenza dei nuovi computer, ciò che si otterrà sarà di seguire con più velocità i movimenti gregari dei mercati. Ma, come insegna lo speculatore-filosofo George Soros, sui mercati si vince soprattutto con l’astuzia di tirarsi fuori dal gregge un attimo prima che la tendenza inaspettatamente si inverta.
Sempre che di mercati si tratti: perché l’innovazione finanziaria sembra di nuovo prepotentemente condurre verso situazioni confuse distantissime dal modello ideale del mercato dove tutti possono informarsi sulla qualità delle merci e ne contrattano pubblicamente i prezzi. Il mercato dei Credit default swaps dove si scommette sulle probabilità di bancarotta di interi Stati si realizza attraverso accordi confidenziali; e i mercati delle contrattazioni ad alta frequenza potrebbero assomigliare a quei giochi di destrezza dove quasi nessuno riesce a seguire con gli occhi la carta che vince e la carta che perde.
Per l’appunto l’altro ieri Christine Lagarde, ministro dell’Economia francese, ha proposto di creare un’infrastruttura comune europea che faccia emergere tutte le informazioni su che cosa si scambia, dove e a quale prezzo. Ma esiste anche il problema di che cosa si scambia. Permettereste a un estraneo di stipulare un’assicurazione sulla vostra vita? No, perché poi vivreste nel sospetto che vi metta il veleno nel caffè. Però, in una riuscita battuta di Soros, i Credit default swaps sono proprio questo.
Stefano Lepri

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INTERVISTA A PIERGIORGIO ODIFREDDI -
Certo, gli algoritmi ci sfuggono di mano: a quella velocità di calcolo, anche se siamo a impartire il primo comando al cervello elettronico, presto non siamo in grado di controllare le decisioni. Non è una novità, mi pare: già per il crac di Wall Street dell’87 finirono sotto accusa gli algoritmi fuori controllo». Il matematico Pier Giorgio Odifreddi non ha dubbi in materia: le macchine sono troppo veloci per l’uomo. Anche se intelligente è un’altra cosa.
Allora non è vero che i computer sanno solo quello che gli dicono gli uomini.
«In astratto è vero. Il problema è che non è prevedibile come useranno le istruzioni ricevute. Si chiama problema della fermata, l’ha posto Alan Turing, nel 1937: dato un certo numero di istruzioni a un programma, non è possibile prevedere se il programma si fermerà o se continuerà all’infinito».
Allora non è così saggio affidarsi agli algoritmi. E non solo in finanza.
«Una delle prime decisioni automatiche errate potenzialmente disastrose della storia si deve al sistema di difesa Usa, che segnalò un attacco sovietico inesistente».
La guerra non c’è stata. Che fecero gli Usa?
«Una telefonata a Mosca: state attaccando? Tornarono alla buona vecchia chiacchierata per verificare».
Bisognerebbe inventare algoritmi che facciano una chiamata?
«Già fatto. Dopo quell’episodio 70 logici e matematici prepararono una serie di software che verificano il funzionamento degli algoritmi, riducendo le possibilità di errore».
Le macchine prendono il controllo. Ma non sembra questione di intelligenza.
«Il primo a immaginare di giocare a scacchi contro una macchina fu lo stesso Turing, nel 1952. Solo che il computer era troppo lento: e allora fu lui a giocare come una macchina. Faceva con carta e penna i calcoli dell’ algoritmo».
Come finì?
«Perse. Ma oggi i computer, con gli algoritmi, battono l’uomo».
Sono intelligenti.
«No, vincono per forza bruta. Analizzano le possibilità di miliardi di mosse possibili. I giocatori ne prevedono cinque, dieci, poi decidono anche sulla base di altri elementi. Simulano l’intelligenza, cioè puntano a ottenere lo stesso risultato di un uomo, più che emularla: in quel caso dovrebbero imitare i procedimenti del pensiero. un’altra cosa».
Come si fa a capire se un computer pensa?
«Lo stesso Turing ha dato la risposta: un sistema è intelligente nel momento in cui chi lo interroga non sa più se a rispondere è un uomo o una macchina. Il che ci ci riporta agli scacchi: ho conosciuto il grande campione Kasparov, uno dei primi battuti dai computer. Era convinto che dietro quelle prime macchine ci fosse anche un uomo, e non era così».
Quelle macchine sono intelligenti, allora.
«No. I meccanismi di decisione artificiale vanno bene di fronte a un numero di soluzioni calcolabile con un numero finito, cioè quando è questione di velocità. Come negli scacchi. Decidere resta un’altra cosa. I tornei tra computer sono molto interessanti, ma nessuno ha cancellato le partite tra uomini».
Marco Sodano