FABRIZIO DENTICE la Repubblica 19/2/2010, 19 febbraio 2010
CARAVAGGIO LO SPLENDORE DI UN ARTISTA IN FUGA
Di M i c h e l a n g e l o Merisi, il Caravaggio, s’è detto e scritto in più istanze che dopo di lui la pittura non è più stata la stessa, o altrimenti che con lui comincia «la modernità». Nel quarto centenario della morte, una mostra a Roma, ideata da Claudio Strinati e curata da Rossella Vodret e Francesco Buranelli, vuol dirci il senso e la portata di così radicali asserzioni:e lo fa nel modo più lucido e persuasivo, esponendo alle Scuderie del Quirinale un compendio esemplare della sua arte. Non più di ventiquattro opere, scelte fra le più emblematiche e certe, in guisa da illustrare i modi e lo spirito dell’intera sua vicenda. Che durò sì e no diciotto anni, di cui gli ultimi quattro in fuga dalla giustizia, e pur anche, in fatto di quantità.
Perché l’uomo, col suo caratteraccio, segue il suo estro e «quando ha lavorato due settimane» (sappiamo da chi ben lo conosce e l’apprezza come artista) lui si stufa; e lo si vede, fosco d’occhi, capelli, umore e colorito, «andare a spasso per un mese o due con la spada al fianco e un servo dietro, da un gioco di palla all’altro, sempre pronto ad attaccar briga ed azzuffarsi...». E pazienza! Ma così, di tutto il suo lavoro resta sì e no un centinaio di pezzi, che bisogna andare a cercare dove stanno, in custodia di chiese e musei impermeabili a richieste di prestiti. Della cinquantina di tele altrimenti collocate in tutto il mondo, la mostra si è procurata la metà, privilegiando quelle che con più evidenza delineano l’avventura intima dell’artista e il suo tradursi in un dipingere mai visto fino allora. Fresco dell’apprendistato a Milano, negli occhi ancora tanta pittura lombarda, il Caravaggio arriva a Roma non si sa quando fra il 1591 e il ’92.
Ha vent’anni, non conosce nessuno, e deve arrangiarsi come può: aiuto mal pagato di pittori che hanno bottega, o qua e là dipingendo qualunque cosa gli vien chiesta: per modelli, la frutta che poi mangia, compagnucci di strada o di taverna, e se stesso nello specchio. Tutta roba che non costa... Finché non viene presentato a un cardinale che lo prende a benvolere e gli dà alloggio: dal che gli arriva un paio di clienti di riguardo e di gusto sveglio. da allora che il suo dipingere prende piena autonomia, e con essa decolla.
Siamo ormai nel ’93 o ’94, come datano i primi esempi in mostra. C’è dall’Ermitage di San Pietroburgo il Suonatore di liuto, dal Metropolitan di New York il Concerto di giovani, da Fort-Worth, nel Texas, La partita a carte coi bari. Dagli Uffizi arriva il torpido e celebre Bacco, dalla Galleria Borghese il Ragazzo con canestra di frutta, da Milano lo straordinario Canestro di frutta, mai uscito finora dalla Galleria Ambrosiana.
Dall’insieme già s’intravede quel che il pittore ha in mente e può diventare. Col rifiuto d’ogni gerarchia di generi e canone di «decoro» e composizione; il sovvertimento della mitologia in attualità plebea; l’ieri come l’oggi, l’altrove come qui, l’Olimpo come l’osteria... E la vita, su sfondi neutri, sempre in presa diretta, dovunquee da vicino: si stia facendo musica, o frodando un pivello giocando a carte. E c’è ancora un dipinto, a chiudere questa fase: ed è il Riposo nella fuga in Egitto della Galleria Doria: un incanto che sta in bilico fra il passato, il presente, e il futuro del pittore, con ancora memoria del Lotto e del Savoldo, lievità e trasparenze che presto andranno perdute, e quell’efebo rosso, di carnale bellezza, piovuto dall’alto in un brano di campagna romana col suo violino,a cullarei sogni della moglie del falegname.
La Giuditta e Oloferne di Palazzo Barberini, la grande Conversione di Saulo di proprietà privata, e la Cena di Emmaus di Londra contrassegnano un ulteriore avvicinamento alla pienezza dello stile maturo, che sarà raggiunto con le grandi commesse per le chiese di San Luigi dei Francesi (1600) e Santa Maria del Popolo (1601).
Questa pienezza, che fa di ogni dipinto un dramma colto nell’attimo più significante, dove la luce e l’ombra sono protagonisti quantoe ancor più dei corpi che le tenebre interrompono, e in cui lo spettatore non resta «fuori», ma con accorgimenti è come risucchiato, ha nella mostra per grandiosa testimonianza la Deposizione (1601-4) dei Musei Vaticani.
Successo, soldi, contentezza di quel che fa... il momento più roseo di una vita torbida e risentita: e ne sono espressione l’ilare e quasi pagano San Giovanni Battista della Pinacoteca Capitolina, l’Amor vincit omnia di Berlino: «Quasi un congedo ironico» (per Roberto Longhi) «dai simboli, allegorie e "Paraphernalia" del Rinascimento». Alla stessa fase appartengono il Sacrificio d’Isacco degli Uffizi, la Incoronazione di spine di Vienna, la Cattura di Cristo nell’orto di Dublino; ed ancora il Battista, in altre due versioni: un Santo, questo, ritratto in vari contesti tanto spesso da suggerire che il pittore, per più versi, lo senta affine come figura e destino.
Il bel tempo non dura. Tutti i quadri che seguono nel percorso espositivo sono quelli di un uomo in fuga: un uomo che in una rissa di strada, il 25 maggio del 1606, ha ucciso un tale che gli reclamava dieci scudi. La Cena di Emmaus di Brera, così diversa per gravità e costrutto dall’altra in mostra, è dipinta a Zagarolo, il rifugio di prima istanza, dove il Caravaggio si sente protetto dai Colonna. Di là, per sicurezza, scende poi a Napoli, dove comanda la Spagna e si ha riguardo per la sua fama. Qui il fuggiasco si rilassa, sentendosi apprezzato e in clima consono al suo teatro di realismo plebeo. Di un tal soggiorno, che dura più di un anno, son frutto tre capolavori, di cui il primo( Le sette opere di Misericordia) è proverbiale, ed un altro, la Flagellazione di Cristo, è presente in mostra.
L’Amore dormiente di Palazzo Pitti è invece dipinto a Malta, ulteriore rifugio; e rispecchia nella sua cupezza lo stato d’animo sempre più sconsolato e tetro dell’autore, che nella Decollazione del Battista, per la Cattedrale della Valletta, si esprime al massimo grado. Un tale umore porta anche a un litigio, per cui il pittore è imprigionato; ma, evaso, fugge in Sicilia, dove erra inseguendo commesse di città in città. L’Adorazione dei Pastori di Messina e l’Annunciazione di Nancy sono sussulti di uno stile ancora conforme alla Decollazione di Malta, appena ravvivato dal colore e calore del nuovo ambiente. Siamo agli sgoccioli di una vita tutta di luce e tenebra, come quella che lui dipinge: ancora pochi mesi, e sarà la fine, a Porto Ercole, dove, al confine con lo Stato pontificio, il Caravaggio si è consumato aspettando la grazia che gli è stata promessa ma non viene. Il Davide della Galleria Borghese (che chiude la rassegna), dove la testa recisa del Golia è un autoritratto, può esser letto come il manifesto di un dramma esemplare: quello dell’eroe che per cruccio e furori si distrugge.