Gabriele Marcotti, La Stampa 18/2/2010, pagina 47, 18 febbraio 2010
ROONEY, MAGIE DI UN FENOMENO SUPER NORMALE
Il periodo d’oro di Wayne Rooney e i tabloid è durato pochissimo. Due anni, dal momento in cui si è affacciato al grande calcio al momento in cui ha deciso di lasciare parlare il campo. Niente sfilate di moda, niente risse nei pub, niente donzelle pronte a raccontare le sue avventure extra-coniugali alla stampa popolare (naturalmente dietro lauto pagamento). L’unica scappatella risale al 2004 quando, diciottenne e single, si recò in un bordello, passando mezz’ora con una prostituta quarantenne e pagando 50 Euro. Acqua e sapone rispetto a certi calciatori inglesi. E, se è vero che anche lui ha la sua bella WAG al seguito, la bionda Colleen, anche lei non è una che rientra negli schemi. Non è un ex modella, non gira scosciata e, per i suoi 21 anni ha organizzato una festa la cui foto di gruppo ha fatto discutere. Perchè? Beh, perchè le sue amiche del cuore erano «normali». Fin troppo. Una sovrappeso, una brufolosa, una con le lenti spesse e i denti storti. Cioè le sue amiche «vere», dell’infanzia, non una serie di semi-veline acquisite assieme ai soldi e la celebrità (del marito).
E pensare che i presupposti per una vita da «Gioventù Bruciata» non mancavano. Rooney è nato e cresciuto a Croxteth uno dei quartieri più duri e malfamati di Liverpool, una specie di Bari Vecchia in riva al fiume Mersey. E, come prevedibile, dalla malavita organizzata è riuscito a sfuggire solo in parte. Sul suo futuro hanno litigato i suoi primi due agenti, uno dei quali, Paul Stretford, ha denunciato l’altro accusandolo di ricatti ed estorsione, con tanto di colpi di arma da fuoco diretti alla casa di Stretford e pallottole recapitate a casa-Rooney. Adesso è passato a un agente nuovo e Stretford gli sta facendo causa per 20 milioni di Euro. Segno che, da certi giri, è difficile uscire del tutto. Tutto ciò, unito ad una timidezza quasi patologica (celebre una sua apparizione ad una serata di gala della BBC a dispensare monosillabi con tanto di cravatta slacciata e chewing gum in bocca) ha spinto la stampa inglese a prevedere per lui un futuro da Gascoigne o George Best: grande talento rovinato da incoscienza, debolezza mentale e cattive compagnie.
E invece no. Tanto è «normale» Rooney extra-calcisticamente parlando quanto è speciale sul campo da gioco. Passato dall’Everton al Manchester non ancora diciannovenne ha esordito con una tripletta in Champions League. E da allora l’ascesa è stata costante. Parlano i numeri dei gol, tra campionato e coppe: 17, 19, 23, 18, 20, fino ai 24 di quest’anno (e siamo solo a febbraio...). Ma i numeri vanno messi nel giusto contesto. Già, perchè fino a quest’anno Rooney ha fatto soprattutto la «spalla» o da seconda punta (al servizio di Van Nistelrooy e Saha) o da esterno avanzato nel 4-3-3, lasciando spazio ai vari Tevez, Ronaldo e Berbatov. Quest’anno, via i primi due e caduta in disgrazia il bulgaro, la scena è tutta sua. Sir Alex lo ha trasformato in centravanti puro, l’uomo che deve concretizzare. Lui dice di sentirsi centravanti e di essere felice in trincea, molti (tra cui lo staff della nazionale inglese) lo vedevano meglio largo o un pò arretrato, ma va bene cosi. Con Sir Alex non si discute e finché segna gol in quantità industriale non c’è motivo di lamentarsi. Adesso ci si pone la domanda: Rooney merita di prendere il suo posto nell’Olimpo dei vari Messi, Ronaldo e Kakà? «Io non mi sento un giocatore come loro, non ho la loro creatività e non faccio numeri da highlight. Io cerco di essere più diretto, più semplice. Non ha senso fare paragoni, non perchè mi sento inferiore, semplicemente sono diverso da loro», aveva detto qualche tempo fa. E non solo diverso da loro ma anche diverso dagli altri campioni d’Inghilterra. Sia qualitativamente che - soprattutto - a livello di personaggio (o anti-personaggio). Chi l’avrebbe detto? Il ragazzo di Croxteth cresciuto tra spacciatori, ragazze-madri e boss di quartiere fa notizia per il fatto che non fa notizia.
Gabriele Marcotti