Mario Cianflone, Nòva 24 19/2/2010;, 19 febbraio 2010
AUTO DESIGN
Il "pedal storm", il maxi richiamo multiplo di Toyota da oltre otto milioni di veicoli, per malfunzionamenti al comando dell’acceleratore e per i difetti al software dei freni della Prius, ha causato una tempesta mediatica che, da una parte fa sorgere non completamente fondati dubbi sulla qualità della Casa automobilistica nipponica e, dall’altra, offre lo spunto per comprendere quanto l’automobile sia sempre più un aggregato, molto complesso, di sistemi e sottosistemi meccanici ed elettronici ingegnerizzati e prodotti da pochi giganti specializzati. Che si avvalgono, a loro volta, di una miriade di piccoli fornitori di secondo, terzo e quarto livello.
L’industria dell’auto è composta da decine di marchi in capo a poche case di dimensioni giganti che a loro volte si avvalgono di un numero limitato di grandi supplier talvolta sconosciuti al grande pubblico come per esempio Johnson Controls, Trw o Ap Lockheed, ma anche noti come Brembo o Siemens. Le case automobilistiche sono dunque diventate system integrator: in pratica, assemblano macrocomponenti concepiti da altre aziende, talvolta sviluppati ad hoc, magari da team congiunti costruttore- fornitore, altre volte ideati dal supplier con elevati investimenti in ricerca e sviluppo e offerti sul mercato.
Per una casa automobilistica la sfida – e il caso di Toyota ne è l’esempio – è riuscire a controllare l’intera catena che va dalla progettazione "in house" al co-design coni fornitori, dalla definizione delle strutture, all’assemblaggio, ai test su strada. Solo gestendo la catena e i fornitori si può ottenere quella qualità totale che da sempre è stato il vanto di una Toyota e pervenire non soltanto a quella, comunque tanto decantata, qualità "percepita" che tradotta in soldoni vuol dire bell’apparenza, illusione di contenuti hi-tech e sotto la pelle quasi nulla: materiali scadenti e strutture progettate con l’obiettivo, sempre più pressante in tempi di crisi, di abbattere i costi.
A questo punto è lecito chiedersi dove sia depositata la conoscenza e il know-how tecnologico dell’industria dell’auto.In realtà nell’automobile moderna la conoscenza, e dunque anche le responsabilità in caso di errore, è condivisa con tutti i membri delle catena che porta allo sviluppo e alla commercializzazione di un oggetto complesso come un’automobile. In tutto questo processo la rete e l’information technology hanno un ruolo chiave, con soluzioni che spaziano dai software per la progettazione e la simulazione ad applicazioni (Plm) per la gestione dei ciclo di vita dei prodotti fino a sistemi (Erp, Scm e Crm) che consentono di governare l’intera filiera mettendo in comunicazione aziende e team diversi che lavorano virtualmente come se appartenessero a un’unica organizzazione.
I costruttori comunque non esternalizzano tutto, ma tendono a sviluppare in casa, avvalendosi anche dei propri centri ricerca, quei sistemi e quelle tecnologie che gli permettono di mantenere un vantaggio competitivo nei confronti degli altri. Lo sviluppo di un pianale, ovvero il cuore di un’autovettura, anzi di intere famiglie di macchine, è tipicamente appannaggio interno delle singole case, cosi come i motori, anche se in questo caso sono sempre più frequenti le alleanze tra concorrenti. Altre volte la tecnologia, come nel caso del MultiAir, il sistema di Fiat, simile al Valvetronic di Bmw, che permette di creare motori a benzina piccoli, ma potenti e verdi, è stata concepita dal costruttore insieme ai partner molto vicini anche economicamente.
Va anche ricordato che fino a pochi anni fa costruttori come Ford e Gm avevano i propri produttori di componenti che successivamente furono scorporati con operazioni di spin-off. Toyota non fa eccezione anche se spesso si comporta, in pieno stile nipponico, da zaibatsu, controllando fornitori chiave come Denso o Aisin Seiki. L’industria dell’auto – va sottolineato – è comunque storicamente tra le più conservative e poco propense a fughe tecnologiche in avanti, sia per preservare lo status quo del business sia per non incappare in errori gravi utilizzando soluzioni non sperimentate a sufficienza. Anche perché ad essere conservatore è anche l’automobilista. E l’innovazione?
All’innovazione concorre tanto la casa quanto quei grandi fornitori, che si contano sulle punte delle dita, in possesso di forti competenze e grandi risorse da investire in ricerca e sviluppo. Bosch, per esempio, ha contribuito a rivoluzionare l’automobile con innovazioni straordinarie e salva vita come l’Abs, introdotto più di 30 anni fa su berline Mercedes e Bmw e poi, progressivamente, rese disponibili per tutti. Altre volte grande idee straordinarie come il common rail, quel mix di elettronica e meccanica dell’iniezione del carburante che ha cambiato il diesel facendolo diventare pulito, performante e sportivo, sono state sviluppate dai centri ricerca delle case (Fiat in questo caso) e poi, con un certo grado di miopia, cedute ad altri.