Varie, 18 febbraio 2010
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Dagan Meir
• (Meir Huberman) Novosibirsk (Russia) 1945. Ex capo del Mossad (2002-2010) • «[...] ama la pittura, i viaggi in Estremo Oriente, la cucina italiana e “i capi terroristi morti” [...] negli anni ’80 [...] comanda “Yakal”, l’unità di intelligence che opera nella fascia di sicurezza. Vorrebbe fare concorrenza al Mossad, ma l’Istituto — come lo chiamano — resiste. [...] nel 2002 [...] Sharon, preoccupato dall’intifada e dalla sfida iraniana, chiede una svolta. Richiama in servizio Dagan, con il quale ha “lavorato” a Gaza, e gli affida il Mossad. L’ordine è preciso: azione. Sotto la precedente gestione di Ephraim Halevy — più diplomatico che spia —, il servizio era diventato tutto analisi e tecnologia perdendo, secondo i critici, la capacità di colpire a lungo raggio. La scelta di Dagan non convince i James Bond da scrivania: “Non è un uomo di intelligence, è troppo soldato”. Incurante dei giudizi, con in tasca l’approvazione di un uomo pragmatico e duro quale Sharon, il capo del Mossad manda in pensione oltre 200 agenti, intensifica il reclutamento di giovani di origini arabe per poterli meglio infiltrare nei Paesi vicini, crea quattro sotto-divisioni con l’obiettivo di incrementare le “operazioni sporche”. Gli omicidi mirati. È così che il Mossad elimina alcuni rappresentanti Hezbollah in Libano e un qaedista coinvolto in un duplice attentato in Kenya. [...]» (Guido Olimpio, “Corriere della Sera” 16/2/2008) • «[...] Nato [...] da ebrei fuggiti in Unione Sovietica per salvarsi dai plotoni d’esecuzione delle Einsatzgruppen naziste, [...] ha avuto un’esistenza da nomade apolide per cinque anni, fino a che nel 1950 sbarcò in Israele. [...] La sua prima medaglia [...] l’ha conquistata togliendo una granata appena innescata dalle mani di un terrorista arabo. [...] Nipote di un fondatore dell’orchestra filarmonica israeliana, Meir Dagan è odiatissimo dall’intellighenzia israeliana di sinistra che lo ha sempre osteggiato. [...] Ilana Dayan, noto volto del giornalismo israeliano, lo ha definito “assassino di arabi”. Decine di dipendenti del Mossad hanno rassegnato le dimissioni dopo la nomina di Dagan. La cui brutalità si dice che inizi proprio con i sottoposti. Sono celebri i suoi raid nelle sedi del Mossad. “Cosa hai fatto per me di recente?”, urla Dagan agli ufficiali. Quando nel 1997 Meir Dagan emerse come uno dei possibili capi del Mossad, il Sunday Times lo chiamò senza tanti giri di parole “il cacciatore di arabi”. A Gaza e in Libano, Dagan ha comandato trenta soldati israeliani, spesso travestiti da arabi, che avevano il compito di assassinare terroristi islamici nei campi profughi. Dagan aveva contribuito alla nascita, molti anni prima, del reparto “Ciliegia”. Si tratta dei militari che si travestono da arabi e che sono in grado di operare in profondità nei villaggi di Gaza e Cisgiordania. Esercito, polizia e servizi di sicurezza hanno oggi i loro team formati da agenti “arabi”. Nome in codice dell’operazione di Dagan, “Sansone”. Dagan arruolò chiunque parlasse arabo e smascherò le tecniche usate dai feddayin, come il fatto di indossare le scarpe al contrario per camuffare l’ingresso in Israele o portare un compagno sulle spalle per ingannare sul numero di terroristi penetrati. Quando Dagan fu nominato consulente di Benjamin Netanyahu per l’antiterrorismo, un ufficiale del Mossad disse al Times che “la combinazione Bibi-Dagan porterebbe Israele alla catastrofe”. [...] i due sono di nuovo assieme. Si sono conosciuti combattendo nelle forze d’élite Sayeret Matkal, le migliori al mondo, specializzate nelle operazioni a rischio. [...] A detta del popolare giornalista Emanuel Rosen di Channel Two, Dagan è l’uomo giusto per distruggere le strutture jihadiste perché “taglierebbe con le sue mani le gole dei terroristi, anche con un apriscatole”. Uno dei colpi più eclatanti della sua gestione è stato l’omicidio dell’imprendibile leader di Hezbollah Imad Mughniyeh, saltato in aria a Damasco. Quel Mughniyeh anche noto come “lo Sciacallo sciita” e su cui l’Fbi aveva messo una taglia di cinque milioni di dollari. [...] Durante la guerra del 1967, il soldato Meir Dagan saltò in aria su una mina egiziana, restando invalido. Oggi cammina con fatica. Ma quella ferita, ripete Dagan, “è la prova che ho una spina dorsale”» (Giulio Meotti, “Il Foglio” 18/2/2010).