Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  febbraio 17 Mercoledì calendario

Lodeserto Cesare

• Lecce 23 agosto 1960. Prete. Ex direttore del centro di permanenza temporanea Regina Pacis di San Foca (Lecce). Arrestato a marzo 2005 sulla base della denuncia di dodici ragazze rumene, a settembre 2007 è stato condannato dal gup del Tribunale di Lecce a cinque anni e quattro mesi di reclusione per i reati di calunnia, minaccia per costringere a commettere reati e sequestro di persona nei confronti di alcune ragazze immigrate che erano ospiti del centro. Vive a Chisinau, in Moldova (più 16 mesi per violenza privata e lesioni aggravate) • «Il Centro. Lo hanno sempre chiamato tutti così [...] Il Centro e basta. Perché quell’edificio in riva al mare di San Foca, recintato e protetto come un’area militare, evocava rispetto, un po’ di timore e un’attenzione speciale. E poi perché è stato uno dei primi cpt, i centri di permanenza temporanea previsti dalle leggi sull’immigrazione, la Turco-Napolitano prima e la Bossi-Fini poi. Al Centro si è subito chiesto di far convivere il carattere temporaneo della permanenza e quello permanente della temporaneità. Lo slancio della solidarietà e il calcolo del business, se è vero che il Centro [...] è sempre riuscito a strappare convenzioni economiche più che favorevoli. Ciascun ospite, per esempio, costava sempre 45 euro al giorno, indipendentemente dalla circostanza, molto frequente, che potesse condividere l’ospitalità con 200 o 400 altri compagni di sventura. E le regole del Centro erano severe e uguali per tutti, e perciò necessariamente inique, in un recinto in cui poteva capitare che convivessero ortodossi e musulmani, maghrebini, albanesi e rom, moldavi, curdi iracheni e fuoriusciti del regime di Saddam, vecchi e giovani, rifugiati politici e prostitute, malfattori e persone oneste. Il Centro aveva sempre una risposta. Se non si chiedeva troppo. Se non si era troppo curiosi. Se non si voleva entrare senza preavviso, anche se parlamentari. E soprattutto se ci si affidava alla parola di don Cesare, il sacerdote che del Centro era il ”governatore”. Interviste, visite, domande anche banali agli ospiti del Centro e sul Centro, tutto doveva sempre passare prima al vaglio di don Cesare. Che all’inizio, per tutti o quasi, è stato un eroe della solidarietà, un prete di frontiera, un moderno salvatore di anime con tre telefonini e uno stuolo di collaboratori personali che nemmeno un leader politico. Ma che con il passare del tempo è diventato sempre di più ”il temibile segretario del vescovo di Lecce, monsignor Ruppi”, e questo secondo le pubbliche e private dichiarazioni di altri uomini di Chiesa, mica in virtù di un feroce rigurgito anticlericale dei soliti no-global. Più don Cesare aveva ”successo” con il tema immigrazione - duplicando l’idea del Centro anche a Mantova e in Moldova, ricevendo pubblici attestati di lode dalla destra e dalla sinistra politica, salvo poche eccezioni -, più diminuivano amore e stima per lui. La Caritas, soprattutto, e i sacerdoti a lei più vicini, hanno cominciato a metterlo in discussione. E poi il volontariato laico. Tutte polemiche ”politiche”, diceva sempre don Cesare, a cui non mancava mai la difesa appassionata di monsignor Ruppi. ”Anch’io sono contrario all’idea dei centri d’accoglienza - rispondeva don Cesare quando proprio lo si stringeva all’angolo -, ma visto che ci sono, ho scelto di lavorarci”. Le cose si sono complicate quando i pm di Lecce invece che alla ”idea” di centro si sono interessati al centro come caso concreto, e cioè al Centro. Sono stati gli anni della parabola discendente di don Cesare. Fino alle inchieste della magistratura su di lui [...] La prima volta, dice l’accusa, è stata quando don Cesare ha fatto pestare diciassette maghrebini che volevano abbandonare il Centro. Nella squadra ”punitiva”, anche il nipote del prete, Luca, al Centro come volontario, buon karateka e un pezzo di marcantonio come lo zio prete. La seconda quando avrebbe fatto transitare 350 mila euro sui suoi conti personali e, assieme allo zio Renato, ex maresciallo della Finanza, avrebbe tenuto una doppia contabilità, per ”distrarre” fondi destinati a opere di bene. In questa vicenda, venne accusato di peculato anche monsignor Ruppi, che poi fu prosciolto. La terza inchiesta è per alcune minacce di morte, fasulle dice l’accusa, che don Cesare si sarebbe autoinviate, per sms e per lettera, del tipo ”Sei morto”, e che gli hanno fatto ”riguadagnare” la scorta di polizia. [...]» (Carlo Vulpio, ”Corriere della Sera” 13/3/2005) • «[...] In Italia lo definivano ”prete di frontiera” perché gestiva un Cpt, il Regina Pacis di San Foca (Lecce), che pareva una polveriera. Da allora c’è chi lo considera un eroe al servizio dei deboli e chi un personaggio equivoco. [...] Dicevano anche avesse ”distratto” 1 miliardo e 900 milioni di lire, ma dalle accuse di peculato è stato assolto. Come da quelle di ”simulazione di reato”, il 22 gennaio 2009, in Cassazione. [...] ”Io non sono di frontiera, sono senza frontiere”. a Chisinau con mandato e stipendio della Cei e attraverso la fondazione Regina Pacis gestisce 9 centri, compresa una casa per bambini di strada a Tiraspol, in Transnistria, la repubblica auto-proclamatasi indipendente nel ”92 che non è riconosciuta da nessun governo al mondo. Un Paese descritto per anni come un paradiso dei traffici, dove gli occidentali possono entrare, a discrezione delle autorità locali, quasi sempre per non più di 3 ore. Tutti, tranne don Cesare. Ma come fa? ”L’ho chiesto al presidente della Transnistria, semplice”. Don Lodeserto è cittadino moldavo: ”Ho il passaporto, il presidente Voronin mi ha dato questo riconoscimento”. Un giorno, dice, l’ha convocato e ha chiesto: ”Padre, lei è qui per aiutare i cattolici o gli ortodossi?”, Presidente, lei governa nell’interesse di cattolici o ortodossi?, ”di tutti e due”, allora siamo uguali, ”beh, non proprio” ha chiuso Voronin. Non proprio, ma quasi. Perché don Cesare è una potenza. Parla con politici e governanti, siede nel Cda della Casa della Provvidenza, ha contribuito a creare una Camera di commercio Italo/Moldava. E con 25 dipendenti ha messo in piedi centri per ex prostitute, per giovani, per figli di genitori indigenti, una fattoria, un servizio che sforna 400 pasti al giorno. [...]» (Mario Porqueddu, ”Corriere della Sera” 2/2/2009)