Francesca Montorfano, Corriere della Sera 17/02/2010, 17 febbraio 2010
PEGGY & SOLOMON PARENTI D’AVANGUARDIA – un ritorno atteso, quello di Peggy e Solomon Guggenheim a Vercelli
PEGGY & SOLOMON PARENTI D’AVANGUARDIA – un ritorno atteso, quello di Peggy e Solomon Guggenheim a Vercelli. Se i primi due appuntamenti avevano privilegiato i capolavori veneziani sottolineando le affinità di Peggy con l’immaginario onirico e fantastico dei surrealisti, la nuova mostra sarà da leggere come l’emozionante avventura dell’arte astratta, in tutta la ricchezza delle sue interpretazioni, dalle radici storiche e dalle prime avanguardie agli ultimi esiti e all’informale. Fu una passione che contagiò e avvicinò zio e nipote. Ma se ad unirli era la capacità di entusiasmarsi per le sperimentazioni più avanzate, a dividerli furono gli artisti che frequentarono e influirono sulle loro scelte, le loro idee sull’arte, il modo stesso di concepire una collezione. il 1937 quando Solomon apre a New York il Museum of Non-Objective Painting, primo nucleo del futuro Solomon R. Guggenheim Museum: musa ispiratrice è la giovane baronessa e pittrice Hilla Rebay, giunta negli Stati Uniti per sostenere la causa di un’arte nuova, pura e spirituale, basata sull’idea di astrazione come assenza totale di figura, quella europea dei cubisti, della scuola di Monaco, dei maestri del Bauhaus. Quasi illimitate sono le risorse a loro disposizione, storici i viaggi compiuti insieme in Europa per acquistare i lavori dei rappresentanti più ortodossi dell’astrazione, Vassily Kandinsky, Piet Mondrian, Robert Delaunay. Più libera, «trasgressiva» nelle scelte è invece Peggy, che si circonda degli artisti e intellettuali più diversi, come Marcel Duchamp, Herbert Read o Nellie van Doesburg (fu proprio Duchamp, come lei stessa raccontò, «a insegnarle la differenza tra l’arte astratta e quella surrealista») e nel 1938 inaugura a Londra la galleria Guggenheim Jeune, esponendo dopo i cubisti e i maestri dell’astrazione anche Max Ernst, Magritte e Tanguy e segnando così l’ingresso del surrealismo nelle sua collezione. A confermare la sua imparzialità tra le due correnti fu poi il gesto, diventato famoso, compiuto all’inaugurazione della nuova galleria-museo newyorkese Art of This Century, nel 1942, quando Peggy indossò un orecchino creato da Calder e uno da Tanguy. «Poche figure femminili, nel mondo dell’arte, potevano essere più diverse di Hilla Rebay e Peggy Guggenheim. Quanto la prima era sistematica e rigorosa, una vera e propria macchina da acquisti, tanto la seconda era intuitiva e creativa, aveva una visione più lungimirante, sapeva intercettare i capolavori emblematici delle varie tendenze», le descrive Luca Massimo Barbero, curatore della mostra di Vercelli. «Se di Kandinsky Solomon e Hilla ne comprano a centinaia, Peggy ne sceglie solo alcuni, ma tra i più rappresentativi della sua ricerca di una nuova libertà espressiva, come "Paesaggio con macchie rosse, n. 2" del 1913 o "Croce bianca" del 1922. Sarà ancora lei, in seguito, a mescolare all’eredità della grande scuola astratta delle avanguardie la nuova matrice del surrealismo, con la perdita della figura attraverso l’inconscio, da cui nel secondo dopoguerra maturerà l’informale». Proprio accostando e alternando in modo organico i capolavori delle due collezioni la nuova mostra di Vercelli vuole ripercorrere quell’appassionante dibattito tra figura e astrazione che è stato l’elemento distintivo, il vero fil rouge che ha attraversato la grande storia dell’arte del Novecento. Più di cinquanta sono le opere in mostra, a partire dai maestri che hanno posto le premesse alla nascita dell’astrazione, Cézanne con un capolavoro mai visto prima in Italia, «Strada in curva fra alberi», Delaunay con rarità come «Saint-Séverin n.3», Seurat con la rivoluzione del pointillisme e poi Matisse, Kupka, Franz Marc e l’espressionismo, Braque e i grandi protagonisti del cubismo, con la scomposizione e ricomposizione delle forme attraverso il colore. Ma altre suggestioni aspettano negli spazi dell’Arca, in un percorso che dalla ricerca lirica di Kandinsky e dalle prove della stessa Hilla Rebay arriva alle forme organiche di Jean Arp e Jean Hélion, alla semplificazione geometrica di Mondrian, della cui poetica’ quasi una mostra nella mostra – si potrà seguire l’evoluzione, fino alle visioni di Dubuffet, ai neri drammatici di Soulages e agli italiani più amati da Peggy, Edmondo Bacci e Tancredi, con quel movimento leggero come una danza. Fino a quel vortice di pittura che è la grande opera di Emilio Vedova, quasi tre metri per più di quattro, straordinario spazio emotivo in cui lo spettatore potrà abbandonarsi. Un altro spettacolo ancora è da ammirare nella chiesa di San Marco a Vercelli: un ciclo di affreschi con Scene della vita della Vergine dallo spiccato gusto ornamentale e la resa volumetrica già rinascimentale, che un attento restauro condotto da Pinin Brambilla Barcilon e Massimiliano Barbera ha oggi riportato alla luce. Francesca Montorfano