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 2010  febbraio 17 Mercoledì calendario

1943, UN ANNO ORRIBILE RACCONTATO DA CHI LO VISSE

Per spiegare il disfacimento dell’esercito dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, qualche giorno fa un lettore ha scritto che gli ordini necessari non furono dati per motivi di opportunità. Non è così. Gli ordini furono dati, e tempestivamente. Il primo documento, l’«Ordine 111 C.T.», partì dallo Stato Maggiore dell’esercito il 10 agosto: il nemico non erano più gli angloamericani ma i tedeschi; e i piani di difesa dovevano perciò essere cambiati in funzione di contenimento delle truppe tedesche. Il secondo documento, la «Memoria 44op», partì il 2 settembre; stabiliva le misure da adottare di fronte ad una possibile aggressione tedesca. Importante la conclusione: l’applicazione delle disposizioni si sarebbe dovuta effettuare «a seguito di ordine dello Stato Maggiore» trasmesso con un fonogramma, ma poteva avvenire anche «di iniziativa dei comandanti in posto, in relazione alla situazione contingente». Questo fu il problema che si pose nella notte fra l’8 e il 9 dopo l’annunzio dell’armistizio. Lo Stato Maggiore dell’esercito era pronto a trasmettere il fonogramma previsto, ma Badoglio lo bloccò. Solo a mezzanotte e tre quarti un fonogramma fu inviato’ nonostante il veto di Badoglio – a tutti i Comandi che avevano ricevuto la Memoria 44op: «Ad atti di forza reagire con atti di forza». Tutto questo è stato pubblicato sulla Rivista militare, pubblicazione del ministero della Difesa-esercito, nei numeri del maggio 1945 e del marzo 1952 con la firma del colonnello Mario Torsiello, uno dei tre ufficiali che, tra le 0.50 e l’1.35 della notte fra l’8 e il 9 settembre, telefonarono l’ordine che poteva dare il via alla guerra contro la Germania. Alla stessa ora, tuttavia, il re si apprestava a partire per il Sud. Non solo lui; anche Pietro Badoglio capo del governo, Vittorio Ambrosio capo di Stato maggior generale, il principe ereditario Umberto; e nelle ore seguenti lasciavano Roma anche tutti gli ufficiali del Comando supremo.
Sergio Lepri sergio.lepri@rm.tws.it
Caro Lepri, devo spiegare al lettore perché il suo intervento occupi buona parte dello spazio abitualmente riservato alla lettera centrale. Dopo avere diretto l’Ansa (la maggiore agenzia di stampa italiana) per quasi trent’anni, e insegnato giornalismo a una generazione di giovani italiani, lei ha deciso di scrivere un libro sul 1943, il più brutto anno della storia italiana del Novecento. Come ha ricordato Dino Messina in un articolo apparso sul Corriere del 21 dicembre 2008, lei avrebbe potuto pubblicarlo presso un grande editore, ma ha preferito creare un sito, fornire al lettore una cronologia molto particolareggiata degli avvenimenti (un centinaio) a cui avrebbe dedicato un capitolo, mettere on line i singoli capitoli, amano amano che venivano scritti, e invitare i lettori a correggere, modificare, aggiungere. Mi sembra che all’origine di questo metodo vi sia contemporaneamente un gesto di umiltà e una intuizione geniale.
Per l’importanza degli eventi, dai bombardamenti allo sbarco in Sicilia, dalla ritirata di Russia a quella libica, dalla congiura del 25 luglio all’armistizio dell’8 settembre, dalla liberazione di Mussolini alla costituzione della Repubblica Sociale, il 1943 è stato l’anno di tutti gli italiani, a tal punto che non vi è sopravvissuto che non ricordi perfettamente dov’era e che cosa faceva quando l’Eiar (come si chiamava allora la Rai) annunciò la formazione del governo Badoglio e la conclusione dell’armistizio. Occorreva dare la voce a queste persone, sollecitarle a scavare nei loro ricordi, invitarle a offrire testimonianze che avrebbero allargato il quadro e riempito i molti vuoti di una storia non interamente ricostruita. In questo modo, caro Lepri, lei è diventato il regista di un’opera collettiva a cui tutti possono collaborare. Basta bussare alla porta elettronica di Sergio Lepri: www.sergiolepri.it.
Sergio Lepri