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 2010  febbraio 17 Mercoledì calendario

UN’ALTRA STORIA, VISTA DA TRIESTE

La Storia e le storie. Quella di tutti e quelle di ognuno, in cui essa prende corpo e volto. Gli antichi non conoscevano una netta distinzione tra lo storico e il narratore; Tacito fa parte della letteratura latina. Non si tratta di negare l’oggettività dei fatti, dissolvendola nelle interpretazioni, come voleva Nietzsche, o nei «grandi racconti», come dicono alcuni suoi epigoni francesi; lo storico, diceva Manzoni, accerta i fatti e lo scrittore racconta come gli uomini li hanno vissuti.
Giorgio Negrelli è uno storico, soprattutto delle dottrine politiche, e in quest’ambito ha scritto testi di prim’ordine sul pensiero democratico e sulla Destra storica, sulla realtà e sul mito di Trieste nei rapporti fra Comune e Impero, sull’idea di Nazione, rivolgendo la sua attenzione pure a temi letterari, come in un saggio su Canetti.
Nel suo splendido Manuale di storia’ che va dall’età di Costantino alla caduta del Muro di Berlino, non limitandosi solo alla civiltà occidentale – ha offerto un eccezionale panorama, analitico e insieme epico, di una storia plurisecolare, offrendo originali interpretazioni (per esempio sulle trasformazioni del potere) calate in un affresco che rivela la penna di un narratore. A un certo punto della sua esistenza ha sentito evidentemente la necessità di immaginare come gli uomini vivono ciò che accade nel mondo; ne sono nati alcuni vigorosi e poetici racconti, ancora inediti.
Essi spaziano da epoche favolose – il Medioevo, l’antichità rivisitata – alla realtà contemporanea, grigia e prosaica ma illuminata da pietas e poesia, come nel più bello tra essi, «La seduzione», intensa e delicata indagine del mondo famigliare e infantile. Rispetto al disteso e pacato presente storico dei testi storiografici, prevale in quelli narrativi un periodare mosso e spezzato, più vicino al parlato.
La letteratura triestina si arricchisce di un nuovo autore, radicato sotto il profilo etico-politico nella tradizione del socialismo liberale; anche nei suoi racconti si rispecchia la generosità di un uomo educato ai valori della libertà e della democrazia, succhiati col latte in famiglia (sua madre, militante giovanissima nella Resistenza, è stata impiccata dai tedeschi nel 1944), e mai indulgente al rancore.
Perché’ gli chiedo incontrandolo in una birreria triestina – dopo aver rappresentato e analizzato la realtà storico-politica, questo bisogno di inventare?
«All’inizio – risponde – è stata quasi una scommessa tra amici, la sfida scherzosa di scrivere qualcosa tra epos e mythos sul mondo degli zingari. Così è nato il breve testo che apre la raccolta. Epos e mythos caratterizzano pure il secondo, col suo rovesciamento e umanizzazione del mito di Perseo e Medusa, e il terzo in cui essi si sovrappongono, tra fantasia e allucinazione, nella solitudine di un prigioniero medievale. La solitudine, quale condizione dell’esistenza, percorre pure gli altri racconti, rivolti alla realtà del nostro vivere quotidiano. Immaginare è una via per interpretare meglio quegli aspetti della realtà che la ricostruzione storica trascura perché, dal suo punto di vista, non li ritiene rilevanti e che invece sono centrali per un individuo».
Parlare di sé o del mondo? – gli domando. Ti rivolgi alla narrazione quale alternativa alla realtà oppure per capire più a fondo la realtà stessa?
«Per guardare dentro se stessi e capire meglio ciò che si è; senza indulgere ad alcuna autobiografia ma avventurandosi in un gioco di metamorfosi che ci trasferisce nell’altro, e aiuta a comprendere meglio la realtà che ci circonda e dunque noi stessi; che ci trasferisce pure negli aspetti minuti, nelle azioni e negli affetti di una persona qualunque, nella sua visione del mondo per angusta che sia».
Un conto – gli dico’ è analizzare e magari giudicare, come fa lo storico, il che esige chiarezza, spiegazione, definizione; un altro conto è narrare, che implica invece calarsi nel groviglio della vita e delle sue contraddizioni, le quali spesso non si lasciano definire, ma solo raccontare.
«Lo sforzo – replica Negrelli – è sempre quello di capire persone, azioni, situazioni; lo fa anche lo storico, disposto pure egli, per capire la continua metamorfosi, a calarsi in altri uomini in condizioni e in tempi diversi. Non si tratta di giudicare – questo lo farà eventualmente il lettore – ma di costruire una realtà complessa; nel racconto, di ricostruirla dal punto di vista del personaggio che la vive e che l’autore accompagna con sorpresa, perché si tratta di una realtà aperta a differenti e non prevedibili soluzioni. Lo storico invece conosce già la fine».
Lo scrittore, come ogni uomo, non lo sa; per questo forse un agguerrito storico sente il bisogno di perdere quella conoscenza del finale e di diventare, raccontando, un uomo ignaro della propria sorte come tutti gli altri.
Claudio Magris