Giovanni Stringa, Corriere della Sera 17/02/2010, 17 febbraio 2010
LE MONETE PRIMA DELL’EURO. LA DRACMA? AVREBBE PERSO IL 40%
Una svalutazione del 40% per la dracma ( greca). Un 20-25% in meno per l’escudo (portoghese). E un calo del 15% della peseta (spagnola). E’ quello che sarebbe potuto succedere negli ultimi mesi al valore delle tre monete mediterranee rispetto al marco tedesco, se l’euro non fosse mai nato e non avesse fatto da muro di contenimento all’attacco degli speculatori sul fronte Sud della moneta unica. Le stime sui numeri, uno scenario ipotetico, arrivano da Angelo Drusiani, esperto di mercato obbligazionario di Banca Albertini Syz. E la lira? Secondo l’analista avrebbe tenuto meglio negli ultimi mesi, visto che l’assedio della speculazione ha colpito soprattutto Grecia, Spagna e Portogallo, ma in precedenza avrebbe comunque potuto pagare in misura importante l’eccessivo indebitamento delle casse pubbliche italiane.
E di sofferenze mediterranee parla anche Moritz Kraemer, managing director di Standard & Poor’s rating services. Quattro voti in meno, fino a un giudizio decisamente basso, a un livello «non investment grade»: sono le stime di S&P’s, riportate da Kraemer, su quello che potrebbe succedere al rating del debito greco se Atene fosse costretta a lasciare l’euro. Per Portogallo, Spagna e Italia il declassamento sarebbe di 2-3 punti. Le stime sono però calcolate, precisa Kraemer, su uno scenario «benigno», vale a dire senza particolari crisi bancarie o politiche. Che, evidentemente, peggiorerebbero ulteriormente le cose.
A ruota, la tempesta ricadrebbe sui tassi. Se l’euro non fosse mai nato, Drusiani dà un’idea di quelli che sarebbero potuti essere, oggi, i tassi di riferimento per l’Italia: probabilmente tra il 6 e il 7%, contro l’attuale 1% fissato dalla Banca centrale europea a Francoforte. Con tutti i prevedibili effetti del caso sul costo del credito per le imprese e dei mutui per le famiglie.
Nel mondo dell’euro, invece, la differenza tra tassi si può misurare in termini di scarto tra il rendimento dei titoli di Stato nazionali e dei bund tedeschi, il benchmark per eccellenza. «In questi ultimi due anni – spiega Raffaele Carnevale, senior director di Fitch Ratings – lo spread del Btp a 10 anni sul bund tedesco è salito un po’, a volte anche oltre i 100 punti base, ma poi è anche risceso, e non si è mai posto un problema di credibilità e di rischio di rifinanziamento del debito».
Ma lungo lo Stivale non mancano anche i risvolti più controversi, se non contestatissimi, della moneta unica. Un esempio: gli esportatori abituati negli anni Novanta alle svalutazioni della lira che, almeno nell’immediato, davano slancio all’export verso la Germania, primo importatore di made in Italy. E, ancora: i normali consumatori. Dopo la mazzata di dieci anni fa, con molti prezzi sostanzialmente raddoppiati all’arrivo della moneta unica, oggi non si sarebbe ancora colmata la differenza tra il costo della spesa in euro e quello nell’ipotesi «no euro». Secondo Drusiani, il «gap» alla cassa potrebbe essere adesso intorno al 10-12% a favore dei portafogli con le vecchie lire.
Giovanni Stringa