Mario Pappagallo, Corriere della Sera 17/02/2010, 17 febbraio 2010
SCOPERTO IL SEGRETO DELL’INVECCHIAMENTO: E’ UNA DIFESA DELLE CELLULE
Come e perché le cellule invecchiano? E con esse i vari organi e il loro insieme? uno dei più avvincenti (da studiare) puzzle della biologia. Un altro tassello, quasi risolutivo, è stato scoperto da un’équipe internazionale dell’università inglese di Newcastle, Institute of Ageing and Health, e di quella tedesca di Ulm. stato predisposto un modello informatico che ha permesso di studiare l’invecchiamento cellulare, in coltura e nei topi. Ecco lo stress cellulare, l’usura della vita, che danneggiano il Dna. Il rischio conseguente è l’innesco di un cancro o di alterazioni alla base delle grandi patologie del cuore, del metabolismo, del cervello. Scatta un sistema di difesa automatico che ferma la divisione cellulare (meglio fermare quel dna malato) e porta all’invecchiamento o all’eliminazione della cellula stessa (apoptosi). Il primo input sono messaggi di allarme verso i mitocondri, le «centrali elettriche» della cellula: tra i prodotti di scarto della produzione di energia ci sono i radicali liberi, l’ossidazione. La loro eliminazione mantiene giovani, il loro accumulo fa invecchiare. I telomeri, le estremità dei cromosomi durante la divisione cellulare, si accorciano: la loro lunghezza rappresenta l’età delle cellule. Fino alla morte. Mantenerne la lunghezza invariata sarebbe l’elisir di lunga vita. Addirittura eterna, come accade nelle cellule tumorali coltivate in vitro.
Lo studio ha messo al loro posto i tasselli del puzzle e la ricerca è stata pubblicata dalla rivista Molecular Systems Biology. Il puzzle mostra i mitocondri che vanno in tilt e l’«invecchiamento» che ne deriva. Fino all’eliminazione delle cellule dal Dna stressato. Di qui le «rughe» dei tessuti che esse costituiscono, dalla pelle al cuore. E’ possibile ipotizzare un elisir di lunga vita? «Non a breve – risponde Tom Kirkwood, direttore del centro di Newcastle ”. Ma è aperta la strada verso farmaci più efficaci nella cura, e soprattutto nella prevenzione, di importanti malattie degenerative. Come il diabete o quelle cardiovascolari».
Lo studio anglo-tedesco va a rafforzare quelli italiani sul ruolo del gene P66shc (pubblicazioni del 1999 su Nature e del 2005 su Cell. «Sei anni fa dimostrammo che gli anni di vita dei mammiferi sono geneticamente determinati, incidenti a parte: nell’animale, inibendo l’attività del gene P66, la durata di vita aumenta del 30%», spiega Pier Giuseppe Pelicci, coordinatore del gruppo milanese che porta avanti queste ricerche. Pelicci è convinto di avere tra le mani la soluzione: più molecole sembrano in grado di bloccare il gene. L’obiettivo è sbloccare l’età «scritta» nei geni di tutti noi se preservati senza insulti: 120 anni in media. Quel 30% in più che P66 toglie. E’ lui, infatti, che regola i cicli fondamentali delle cellule nell’uomo e in tutti i vertebrati: dalla morte (apoptosi) alla nascita di nuove cellule. E’, in pratica, il gene regolatore del rinnovamento dei tessuti. Il prezzo biologico che paghiamo per questo ricambio vitale è proprio l’invecchiamento. Ed è lui che quando avverte una mutazione pericolosa nel Dna attiva il bottone rosso dell’invecchiamento e dell’autodistruzione. L’unico modo per non favorire un cancro o una grave patologia.
Mario Pappagallo