Roberto Giovannini (a cura di), La Stampa 17/2/2010, pagina 88, 17 febbraio 2010
DOMANDE
& RISPOSTE: COME SI FINANZIA LA POLITICA -
Riesplode la questione del finanziamento ai partiti. Quali sono le regole?
I partiti vengono finanziati dallo Stato, ma possono ricevere legalmente soldi anche dai privati cittadini o dalle aziende.
Come può un privato o un’impresa sostenere un partito?
possibile sia finanziare i partiti in generale che singoli candidati, contribuendo alla loro campagna elettorale, sia con danaro che fornendo beni o servizi (immobili, ecc.). Per somme fino a 100.000 euro c’è anche una detrazione fiscale del 19%.
Ma tutti i privati e le imprese possono dare soldi alla politica?
Sono escluse le società con partecipazione pubblica superiore al 20%, oltre che tutti gli enti pubblici. Devono iscrivere i finanziamenti in bilancio.
Ci sono limiti di importo?
No: le uniche limitazioni, in nome della «trasparenza», consistono nell’obbligo di notificare il contributo privato quando supera, nell’arco dell’anno, la somma di 50.000 euro. Donatore e beneficiario devono dichiarare tutto alla Presidenza della Camera, e sempre a lui i partiti devono dare un rendiconto completo dei danari ricevuti.
Da quando c’è il finanziamento pubblico?
Dal 1974, con leggi poi spesso modificate, che assegnavano risorse per il funzionamento e come rimborso per la campagna elettorale.
Ma non c’era stato un referendum, nel 1993, che lo aboliva?
Sì, ma è stato aggirato. Il contributo pubblico formalmente non riguarda più le spese di funzionamento dei partiti, ma sulla carta serve per «rimborsare» le spese elettorali. Va da sé che poi i partiti utilizzano quei fondi per il loro funzionamento.
E oltre al rimborso delle spese elettorali, ci sono altri contributi?
Sì. Sono previsti contributi statali agli organi ufficiali di informazione dei partiti (giornali e radio) e alcune agevolazioni fiscali: la possibilità di detrazione d’imposta per le erogazioni di privati ai partiti, l’esenzione delle imposte per i trasferimenti ai partiti e per la registrazione degli statuti.
Come funziona il meccanismo dei «rimborsi» elettorali?
Si fa riferimento a quattro momenti elettorali: elezioni della Camere, del Senato, del Parlamento Europeo, dei Consigli Regionali. La legge suddivide lo stanziamento complessivo in quattro fondi rifinanziati ogni anno. Fondo per fondo, elezione per elezione, i partiti si suddividono i soldi stanziati sulla base del numero di voti ricevuti, e li incassano ogni anno.
E quanto «rende» un voto?
Ogni voto «rende» un euro. In pratica, ogni fondo (Camera, Senato, Europee, Regionali) vale un euro moltiplicato il numero degli iscritti alle liste elettorali. Si sale a 1,5 euro per i voti nelle circoscrizioni «Estero».
C’è una percentuale minima da raggiungere, per ottenere il «rimborso»?
Per la Camera, il partito deve raggiungere almeno l’1% dei voti (c’è una regola speciale per i partiti di minoranze linguistiche). Per il Senato c’è un complicato sistema regionale. Per le Europee, bisogna almeno eleggere un deputato. Per le Regionali, bisogna eleggere almeno un consigliere.
Ma se la legislatura si interrompe, i soldi si perdono?
Macché. Una legge del 2006 (governo Berlusconi) consente di continuare a incassare per tutti i cinque anni della legislatura. In pratica, oggi il contributo spetta - e fino al 2011 - anche a partiti non più in Parlamento, come Verdi o Rifondazione. Ovviamente poi ci sono anche i finanziamenti della legislatura 2008-2013.
Di quanti soldi stiamo parlando?
Per il 2006-2010 dal fondo Camera l’Ulivo prende 16 milioni l’anno, Forza Italia 12,3, An 6,3. Più o meno altrettanti dal Senato. In tutto, sono circa 100 milioni l’anno da dividersi fino al 2011, ovvero complessivi 500 milioni. Poi ci sono i fondi della legislatura in corso: altri 500 milioni. Il Pdl ne incasserà complessivamente fino al 2013 160, 141 il Pd, 35 la Lega, e via a scendere. Qualcosa spetta come detto anche ai partiti senza parlamentari che hanno però superato l’1%.
Ma non ci sono anche contributi aggiuntivi che vanno ai gruppi parlamentari?
Sì. Servirebbero per le spese di funzionamento del gruppo. La Camera eroga circa 33 milioni, il Senato altri 19. Anche queste somme sono suddivise tra i gruppi a secondo della loro consistenza.
a cura di Roberto Giovannini