Sara Bovio, Tuttoscienze - La Stampa 17/2/2010, pagina 25, 17 febbraio 2010
LA LUMACA CHE MANGIA IL SOLE
Rappresenta la perfetta fusione tra regno animale e vegetale: è una lumaca fotosintetica di nome Elysia.
verde e somiglia ad una foglia, ma è un mollusco di mare con la capacità unica di sintetizzare la clorofilla e di convertire, come fanno le piante, l’energia luminosa in energia chimica attraverso la fotosintesi. La scoperta è di un gruppo di ricercatori dell’Università della Florida del Sud guidati da Sidney Pierce, che studia la specie Elysia chlorotica da oltre un ventennio. Nel recente studio, pubblicato sulla rivista «Symbiosis», i ricercatori hanno dimostrato per la prima volta che un animale può sintetizzare la clorofilla a e hanno scoperto che questa lumaca ci riesce «sequestrando» i cloroplasti e alcuni geni all’alga Vaucheria litorea di cui si nutre. Con la produzione del pigmento la lumaca ottiene due vantaggi: il colore verde che le permette di camuffarsi meglio dai predatori e la possibilità di sopravvivere anche se il cibo scarseggia, attivando la fotosintesi.
Elysia appartiene all’ordine dei molluschi sacoglossi, chiamati anche lumache di mare succhialinfa, dato che si nutrono perforando le cellule delle alghe e succhiandone i liquidi interni. «In questi liquidi - spiega Pierce - sono immersi i cloroplasti, gli organuli sede delle reazioni fotosintetiche, che durante il passaggio nel tratto digerente della lumaca vengono inglobati per fagocitosi all’interno delle cellule del sistema digerente». Al contrario degli altri sacoglossi che sopravvivono solo per pochi mesi senza cibarsi, Elysia può continuare a vivere fino a un anno, portando a termine il suo ciclo vitale. I suoi cloroplasti, infatti, grazie al continuo afflusso di nuova clorofilla, continuano a funzionare perfettamente, rifornendola dell’energia necessaria. «Per verificare - continua Pierce - che il mollusco non utilizzasse semplicemente una riserva della clorofilla prodotta dall’alga, abbiamo tenuto le lumache separate dalle alghe e fornito loro aminoacidi marcati con carbonio radioattivo. Dopo l’esposizione alla luce è iniziata la produzione di nuova clorofilla marcata radioattivamente».
I ricercatori hanno pensato di indagare anche nel genoma della lumaca, dato che i cloroplasti delle cellule vegetali contengono solo una modesta quantità di Dna, tanto che molti composti che entrano in gioco nella fotosintesi sono codificati e prodotti dal Dna principale della cellula vegetale e, poi, migrano nei cloroplasti. Elysia doveva quindi possedere già incorporati nel proprio Dna i geni dell’alga e, infatti, dal confronto tra i due genomi gli scienziati hanno individuato sequenze identiche per quattro enzimi espressi durante la fotosintesi.
Ma come sono riusciti i geni dell’alga a inserirsi nel genoma dell’animale? «Sappiamo - spiega Nicholas Curtis, uno degli autori dello studio - che all’interno delle lumache vivono dei retrovirus endogeni, che in teoria possono fare da vettore per ”spostare” il materiale genetico. Tuttavia in questo mollusco stiamo individuando un numero elevato di geni di origine algale tanto che risulta plausibile che il trasferimento abbia coinvolto pezzi di interi cromosomi. Può quindi esistere - prosegue Curtis - un meccanismo di fagocitosi simile a quello che permette alla lumaca di inglobare i cloroplasti, anche se in questo caso sono incorporate lunghe sequenze di Dna algale che poi si fondono con il nucleo delle cellule della lumaca. Si tratta, però, ancora di ipotesi su cui dobbiamo ancora lavorare».
Quello che è certo, invece, è che i geni dell’alga sono stati trasferiti in senso orizzontale secondo un processo noto con la sigla HGT (Horizontal Gene Transfer). «Normalmente - spiega il ricercatore - i geni vengono trasferiti in senso verticale, cioè dai genitori ai figli attraverso la linea germinale. In questo caso il trasferimento dei geni, invece, è avvenuto in senso orizzontale tra due organismi eucarioti multicellulari, che non solo non sono parenti, ma appartengono a due regni diversi». Secondo Curtis, «questo risulta essere l’unico caso documentato di trasferimento orizzontale naturale di geni tra due organismi multicellulari, in quanto l’HTG è comune solo tra organismi unicellulari più semplici come i batteri o i virus o tra i batteri e alcuni eucarioti. Una volta che avremo individuato come avviene in modo naturale questo tipo di passaggio di geni tra organismi che sono eucarioti multicellulari come noi, potremo provare a utilizzarlo negli esperimenti di ingegneria genetica per sviluppare nuove terapie geniche sull’uomo».
Questo meccanismo di trasferimento genico ha profonde implicazioni sui tempi dell’evoluzione della specie. «Nei meccanismi classici di evoluzione - chiarisce Curtis - i nuovi caratteri vengono acquisiti dopo milioni di anni. In questo caso, invece, appena l’animale conquista i geni per la fotosintesi diventa improvvisamente meno dipendente dal cibo e questo rappresenta per la lumaca un grande vantaggio nella competizione con i suoi simili. Affinché questa trasformazione risulti utile a tutta la specie, i geni devono però integrarsi nella linea germinale in modo che i figli abbiano gli stessi vantaggi dei genitori e ciò si è dimostrato vero nel caso di Elysia».
Osservando le nuove generazioni, gli scienziati hanno scoperto che le lumache nascono prive dei cloroplasti, ma già provviste dei geni utili per la fotosintesi che, evidentemente, sono ereditati dai genitori. Se esistessero altri esempi di trasferimento orizzontale di geni tra le specie, la storia filogenetica della vita non sarebbe più rappresentata dal classico albero con biforcazioni che sono il risultato di un trasferimento genetico verticale dai genitori ai figli, ma da un vero e proprio mosaico, dove le specie ereditano orizzontalmente tasselli genetici già sperimentati con successo da altre specie.
Sara Bovio