CESARE GARBOLI, la Repubblica 16/2/2010, 16 febbraio 2010
COS GRETA GARBO DIVENTATA UNA META-ATTRICE
Non esiste un libro sulla Garbo che dia ragione o spiegazione ”tecnica’ della nascita del suo mito. Molti libri, molti studi, molte domande, molte ”introspezioni’, molti documenti; ma nessuno che abbia cercato di descrivere la ”grammatica’ della Garbo, il suo ”linguaggio’. Che attrice è? Ci si è chiesto se è stata una ”grande attrice’. Ma è proprio la domanda sviante. In primo luogo, era proprio un’’attrice’? E di che tipo? Testimonianze: (si trasformava, era ”posseduta’ dal personaggio appena sotto la macchina da presa). In realtà la Garbo ha fatto tutto da sola: era un’attrice rimasta a metà del cammino di apprendistato, come se gli studi fossero stati interrotti o meglio la ”scuola’ interrotta (le scuole di Stiller prima, e di Pabst dopo, e di nuovo di Stiller a Hollywood); sullo schermo portava se stessa, i suoi sogni, la propria incomunicabilità o incapacità di adattamento alla vita (l’inaptitude au bonheur, à la vie); i meccanismi del proprio narcisismo insaputo o indecifrato, vissuto da brava ragazza che non capisce che cosa le succede intorno; ha un enorme successo senza studio e senza applicazione; resta appiccicata al suo narcisismo che la riflette ”in positivo’ dandole il successo (la sua rovina: il miroir fra narcisismo e successo). Non è un’attrice e non fa l’attrice; ma non fa nemmeno se stessa: recita la sua frustrazione in modi abbaglianti. Non ”si recita’; ma recita le sue nostalgie, il suo disperato desiderio di essere e la consapevolezza della propria impossibilità a vivere fuori dalla teatralità. Non ”si recita’, ma recita la teatralità intrinseca ai sogni, a ogni sogno, a ogni vita immaginaria e non traducibile in una vita reale.
Malauguratamente, sciaguratamente, il meccanismo intimo (psichico) della Garbo collaborava involontariamente e si sposava alle esigenze di vendita di sogni della MGM e dell’industria hollywoodiana. La tragedia intima di una donna ”persa’ diventava un tecnicismo di attrice (involontario) e presiedeva al di là di ogni speranza o immaginazione alla formulazione di una diva, alla nascita del mito. I sogni venduti dalla Garbo erano, attraverso la sua recitazione, che era poi la sua ”presenza drammatica e misteriosa’ sullo schermo (indecifrabile), sogni veri; i suoi films, brutti come films, erano attraversati da una tragedia autentica, più ”autentica’ della qualità formale di un buon film. Tutto nei films della Garbo è di qualità scadente o mediocre, di cartapesta: ma tra i films della Garbo e la Garbo c’è un salto di qualità: la Garbo vi sta dentro e, più che illuminare i suoi films, li fa esistere, li fa stare in piedi. La Garbo ”ingombra’ i suoi films, ma ingombra delle messinscene di cartapesta che vengono vanificate dal suo passaggio e dalla sua apparizione, e quindi si sopportano perché non possono essere che di cartapesta: né più né meno dei luoghi in cui siamo soliti situare i nostri sogni e le nostre vicende immaginarie. Insomma la Garbo è una meta-attrice: e come tale va studiata. Sullo schermo non si comporta da attrice e nemmeno da se stessa; non recita dei personaggi e non recita sé medesima; recita la propria dannazione a esistere solo in una vita immaginaria, ciò che non è esattamente il ”teatro’. La G.
recita un equivoco; recita il narcisismo, il meccanismo (tragico) del narcisismo. Recita la teatralità con cui si vivono intimamente i sogni che sogniamo a occhi aperti. Questo talento non è un talento riconoscibile come quello di una qualsiasi altra attrice: è un talento più misterioso, rimasto infatti fino a oggi indecifrato e indefinito (’est un mystère’, ”elle fascinera tout le monde, mais restera un enygme’, intervista del 1928). Nessuno capì (e ha mai capito, dei suoi registi e produttori, figurarsi i dirigenti della Metro) che la Garbo possedeva questo talento e nessuno seppe affinarglielo. Così la G. diventò prigioniera di un talento incomprensibile e oggettivamente incompreso. A un certo punto non poté che smettere. Aver fatto sempre e tutto da sola, senza mai saperlo e senza mai accorgersene: se non nelle energie perdute, nelle forze stremate. Ciò che dunque ha creato il mito della Garbo è stata proprio la sua solitudine tecnica: è stato un tecnicismo indecifrabile che non si iscriveva (non si iscrive) nei codici di recitazione vigenti nelle scuole ”istituzionali’. Nel condurre un’esistenza dominata e ossessionata dalla ”solitudine’, la G. non ha fatto altro che riprodurre sul piano esistenziale il dato essenziale della sua vocazione incompresa di attrice: la solitudine tecnica della sua recitazione, l’unicità indecifrabile del suo linguaggio. La G. ha vissuto da sola un’esistenza incomprensibile perché ha avuto la sciagura di esprimere sullo schermo la vocazione alla vita immaginaria e insieme l’insoddisfazione di ogni vita immagiLO SCRITTO inedito che qui presentiamo, gentilmente concesso dalla rivista Paragone, fa parte di un quaderno autografo di che reca nella prima pagina la data del 27 dicembre 1981. La destinazione finale di questo scritto non è nota, ma è evidente che non si tratti di una versione definitiva. Si direbbe piuttosto un insieme di appunti che forse avrebbero preso un giorno la forma di un articolo, o del capitolo di un libro. Il testo è stato mantenuto com’era, inclusi gli aspetti palesemente provvisori, come il nome della Garbo citato talvolta solo con l’iniziale, o l’uso delle virgolette, che in diversi casi sembrano avere una funzione "interlocutoria". L’unico interventoè consistito nell’omettere alcune annotazioni a margine e in calce al manoscritto.
naria: la nostalgia dell’amore, come luogo della realtà. La G.
’amante’, posseduta dalle gioie e dalla felicità debordante del sentimento sconosciuto e insieme dal presagio e dalla consapevolezza dell’invivibilità dell’amore, non è altro che la G. disperatamente consapevole dell’impossibilità e dell’inadattabilità di una vita reale di cui si ha nostalgia come di un paradiso inaccessibile: il paradiso che è il luogo dove i sogni non si realizzano perché non ci sono; dove i sogni cadono; dove i sogni si realizzano non perché si esprimono, o possono essere espressi, ma perché cadono.