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 2010  febbraio 15 Lunedì calendario

MERCEDES, LA "GOVERNATORA" CHE RISANER LE FINANZE DELL’ARGENTINA

La nomina di Mercedes Marcò del Pont, una economista di cinquant’anni, alla guida della Banca centrale argentina, secondo la maggior parte degli osservatori, segna una forte discontinuità rispetto al passato. La scelta è arrivata a sorpresa, annunciata dalla presidentessa Cristina Kirchner la mattina del 3 febbraio, dopo che la candidatura di Marco Blejer era stata accantonata probabilmente per un rifiuto dello stesso e una soluzione tutta interna alla banca accantonata in poche ore.
La nomina rappresenta una discontinuità poiché Marcò del Pont si autodefinisce una economista appartenente alla scuola "desarrollista", essendosi formata alla Development Research Foundation, un think tank fondato da Octavio Frigerio, figlio di Rogelio Frigerio, ultimo leader del Mid (Integration and Development Movement), un partito la cui piattaforma era focalizzata sul supporto allo sviluppo economico basato sull’"Import substitution" e su altri interventi dello stato nell’economia. Nella sostanza Marcò del Pont crede che la banca centrale non debba semplicemente fare il cane da guardia all’inflazione, muovendo le leve monetarie per impedire un surriscaldamento dei prezzi al consumo. Crede invece che l’autorità monetaria debba assecondare lo sviluppo economico attraverso una ben mirata politica dei tassi e lasciando in secondo piano il controllo dei prezzi e del tasso di cambio. Proprio per questo suo pensiero "non ortodosso" rispetto al comune agire dei banchieri centrali del mondo occidentale è stata scelta da Cristina Kirchner, poiché è l’unica che potrà in un futuro prossimo assecondare le manovre del governo argentino. Manovre o strategie che emergono chiaramente da elementi di fatto che hanno già accompagnato la nomina di Marcò del Pont. Il Congresso argentino sarà infatti chiamato molto presto a discutere un progetto di riforma della Carta Organica della Bcra (vale a dire lo statuto della banca centrale) e allo stesso tempo è stato istituito un Consiglio economico che affiancherà la stessa Banca centrale nelle decisioni di politica monetaria. In questo Consiglio economico siederà Amado Boudou, il ministro dell’Economia in carica, ed è in questo passaggio che molti commentatori vedono minacciata l’autonomia e l’indipendenza della Banca centrale.
Trasposto in Italia, è come se Giulio Tremonti siedesse in un consiglio che affianca la banca centrale guidata da Mario Draghi nelle decisioni cruciali di politica monetaria che non possono prescindere dalla politica economica del governo. E i sospetti nei confronti del governo Kirchner, in questo caso, non sono mal riposti. Il braccio di ferro consumato da metà dicembre con Cristina Kirchner che rimuove a colpi di decreti legge l’ormai ex governatore Martin Redrado, ha come vero oggetto del contendere il tesoretto accumulato dalla banca centrale sotto forma di riserve monetarie in dollari. Tesoretto triplicato negli ultimi anni grazie alle vendite crescenti degli esportatori di materie prime, grano e soia in particolare, che cambiano i dollari incassati in pesos avendo come controparte la Banca centrale. Poiché l’Argentina ha un deficit pubblico cronico che non riesce a riequilibrare, data l’impossibilità a ricorrere ai mercati finanziari internazionali dopo il crack del 2001, date le elezioni politiche che si svolgeranno nell’autunno del 2011 e che richiederanno uno sforzo finanziario non indifferente soprattutto in termini di spesa pubblica che l’attuale governo vorrebbe garantire, ecco che il tesoretto di 49 miliardi di dollari in riserve valutarie è un boccone troppo ghiotto per non essere utilizzato.
Così, quando Redrado si oppone alla creazione del Fondo del Bicentenario che dovrebbe essere finanziato con 6,5 miliardi di dollari prelevati dalle riserve e destinati a saldare il capitale e gli interessi sul debito estero del 2010, la reazione della Kirchner si fa improvvisamente violenta. Emette un primo decreto a cui Redrado si oppone facendo ricorso alla magistratura che gli dà ragione e blocca tutto. La palla rovente passa al Congresso che in via eccezionale, viste le ferie estive, incarica una commissione formata da tre persone che deve dirimere il caso. Ma Redrado a quel punto offre le sue dimissioni sul piatto prima del responso della commissione ergendosi giustamente a paladino della difesa delle riserve nazionali che sono di tutti i cittadini. La strada è dunque spianata e la Kirchner con un nuovo colpo di scena può dunque nominare l’economista "desarrollista" Marcò del Pont con il mandato parallelo di riformare lo statuto della Banca centrale.
Tuttavia, in tutto questo percorso molto accidentato, emergono non poche contraddizioni che rischiano di compromettere la credibilità internazionale dell’Argentina, già scesa a livelli minimi dopo i fatti del 2001. In primo luogo è stato fatto notare, anche da giornalisti opinionisti locali, che per sei anni di governo kirchnerista (prima Nestor e poi Cristina) la convivenza con Redrado non aveva creato alcun problema. Anzi, lo stesso Redrado si era mostrato accondiscendente su alcuni temi delicati come un tasso di cambio elevato e la manipolazione delle statistiche sui prezzi al consumo. Nella sua conferenza stampa d’addio Redrado ha aggiunto di aver impedito la nazionalizzazione della compagnia petrolifera Ypf, di proprietà della spagnola Repsol, su cui i Kirchner volevano mettere le mani così come hanno fatto con Aerolineas Argentinas. I problemi sono sorti, ovviamente, nel momento in cui si è cercato di toccare le riserve valutarie, un’onta per qualsiasi banchiere centrale. In secondo luogo qualcuno ricorda che la Marcò del Pont due anni fa aveva presentato un progetto di modifica della Carta Organica volto a istituire un sistema di coordinamento tra l’esecutivo e la Banca centrale, progetto che fu respinto dai Kirchner.
Per tutti questi motivi sono in molti oggi a pensare che l’annunciato "coordinamento" tra i due organi sia in realtà una via per "subordinare" la banca centrale alle necessità del potere politico e, nello specifico, un modo per canalizzare le riserve valutarie al servizio delle necessità fiscali. Come noto, infatti, a fronte di un deficit pubblico alto che verrà confermato anche nel 2010, il governo argentino ha promesso di diminuire il proprio debito e di saldare i conti ancora in sospeso con il Club di Parigi e con gli obbligazionisti internazionali che nel 2005 non avevano aderito alla proposta di scambio offerta a suo tempo. Tra di essi vi sono tra l’altro 180 mila risparmiatori italiani esposti per 4,5 miliardi di euro che hanno intrapreso la strada dell’arbitrato internazionale per cercare di recuperare i loro denari. Ma la nomina di una economista che in passato si è dimostrata critica riguardo l’indipendenza della Banca centrale non ha di certo rafforzato la fiducia della comunità finanziaria internazionale, come anche recenti dichiarazioni del Fondo Monetario Internazionale hanno dimostrato. In poche parole, il rischio che sta correndo l’Argentina è quello di vedere la propria banca centrale trasformata in un’istituzione completamente subordinata al potere esecutivo in modo da poter garantire il finanziamento della spesa pubblica in un periodo preelettorale sacrificando su questo altare le riserve valutarie e alimentando per questa via le pressioni inflazionistiche e le tensioni sul tasso di cambio. Il tutto unito a una perdita di fiducia da parte degli investitori internazionali che renderanno assai difficile per il governo argentino un nuovo accesso al mercato dei capitali di cui il paese avrebbe molto bisogno. Ma per tranquillizare tutti i malpensanti dalle stanze della Casa Rosada è stato fatto trapelare che Marcò del Pont si limiterà ad attendere la promessa "pioggia di dollari della soia" per calmare i mercati valutari e finanziare la spesa pubblica. Se basterà.

Mercedes Marcò del Pont è nata il 28 agosto 1959 nella pronvincia a nord di Buenos Aires da una famiglia catalana di commercianti che arrivò in Argentina nel 1785. Si è laureata in economia nel 1982 all’Università di Buenos Aires e nel 1987 ha conseguito un master alla Yale University Economic Growth Center in International and Development Economics. Negli anni ”90 è stata consulente per la città di Buenos Aires su problemi di statistica e di incentivi agli investimenti, producendo anche una serie di studi sugli effetti della globalizzazione a livello locale. Sposta con tre figli, cattedra all’Universidad Nacional de Lomas de Zamora tra il 1999 e il 2002, si è unita all’economista dello sviluppo Aldo Ferrer all’Università di Buenos Aires. Per un breve periodo advisor del ministro della Produzione Josè de Mendiguren (dal gennaio al marzo 2002). Generalmente non viene considerata una persona favorevole al mercato, si è schierata contro il "Wasgington Consensus" e nel 2004 pubblicò un libro intitolato "Crisis y Reforma Economica"