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 2010  febbraio 15 Lunedì calendario

ENNIO FLAIANO QUEL GENIO TRA "IL MONDO" E LA DOLCE VITA - QUELLA

nostra antica Roma era invero d i v e r s i s s i m a ( e spesso bellissima, come anche la letteratura e il cinema e Via Veneto, del resto) senza impegni né macchine e con pochi soldi. Giornate dopo giornatee notti fino all’ alba scrivendo senza destinazioni commerciali («per il proprio cassetto»), e vivendo in modo appunto antico e chic, cioè con poco o niente. Macché «nostalghia», nell’ obiettività dei «dati». Le archeologie dei saperi su Flaiano o Pannunzio difficilmente ne restituiscono immagini plausibili, oggi. (Quindicimila lire per un articolo sul Mondo ...). Film e giornali fatti da poche persone senza staff, ma informazioni accurate e strafalcioni pressoché assenti. La «grazia» sembrava esistere come la Natura, mentre la «leggerezza» veniva quasi ostentata con un’ apparente indolenza. Però, la qualità, e addirittura la produttività, erano evidentemente più alte che ai nostri giorni. Le noiosità e i convegni non esistevano. E neanche i tormentoni delle anticipazioni degli interventi alle tavole rotonde sul «taedium vitae». E magari qualche uggia magistralis, noia alternativa, fastidio sostenibile. Ma neppure le lamentazioni di vari attuali anziani circa i perduti Dogmi e Impegni e Complessi (psicanaliticio ideologicio canzonettistici) della loro gioventù "organica" e partititica e dunque comoda. Invece che giusti rimpianti per tante allegre conversazioni senza televisione, per l’ abbondante Eros senza Aids né droghe, per una letteratura " f r a m m e n t a ria" e non già minore ma nobilmente classica: per flâneurs autentici, tipo Karl Kraus e Jules Renard. (E naturalmente Adorno, Nietzsche, tanti "moralisti" e "massimaristi" francesi). Ecco: Ennio Flaiano (che avrebbe adesso cent’ anni), benché pescarese come D’ Annunzio, possedeva il sense of humour pronto e l’ amarezza fondamentale di tanto nostro Possedeva il sense of humour tipico del nostro profondo Sud profondo Sud. E mentre il concittadino Imaginifico sfoggiò sempre qualche marcia in più, per sbandierare la carriera internazionale, il piccolo maestro postumo dissimulava con pudore il freno di una tristezza antropologica oltre che personale, e i cambi di un’ autocritica lucidissima. Ma proprio quell’ ironia flaianea così deliziosa e irresistib i l e s p o n t a neamente in linea col più celebrato Witz o esprit europeo, finì per alternare l’ immagine «vulgata chez nous». Come se la fisionomia del battutista di arguzie prevalesse sul lavoro di un autore problematico fino all’ angoscia. Che sottovoce scriveva: «Considero lo scrittore come un personaggio ridicolo. La mia vocazione era quella di non identificarmi. La mia generazione che ha vissuto il fascismo e l’ arco democratico è assai curiosa. L’ idea della vita con cui siamo nati noi abbiamo dovuto cambiarla in ogni momento. Il successo era una cosa ignobile. Scrittori di successo erano Guido da Verona, Pitigrilli e Luciano Zuccoli. Scrivere un romanzo era ridicolo. Era una cosa indecorosa. Non stava bene, insomma. Il successo era temuto: che uno scrittore piacesse era la prova che non valeva niente. Dire "io scrivo" mi pareva sospetto. Per questo le mie tendenze sono andate alla satira. Ma scrivere è una fatica laboriosissima. Bisogna che la inventi ogni volta. E ora il ridicolo colpisce con forme diverse da quelle di una volta quando si rideva di una persona. Oggi colpisce con l’ indifferenza. Ogni giorno nel mondo si danno tanti giudizi che finiscono colla loro stessa imponenza a diventare ridicoli. Ma io sono uno scrittore perché non ho saputo realizzarmi in nessun’ altra maniera,e tutto quello che ho fatto certe volte lo guardo con sospetto...». (Dal primo volume delle Opere, nei Classici Bompiani. Volume postumo). Quel milieu è stato molto rievocato e divulgato. ancora il nostro passato prossimo: il secondo Novecento. Ormai addirittura «mitico»: ma come ne sorriderebbero, i menzionati. La redazione del Mondo, le pagine del Mondo, gli amici poi a Via Veneto: Mario Pannunzio, Ennio Flaiano, Patti e De Feo, Gabriele Baldini, G. G. Napolitano, Franca Valeri e Nora Ricci, Chiaromonte, Libonati, Wilcock... Ristoranti e trattorie: Cesaretto, Campana, Bolognese, Romana... E di qua, dalla A di Adriana Asti alla Z di Zeffirelli, con Bolognini, Laura Betti, Tosi, Tirelli, Trappetti... Di là, piuttosto Comisso, La Capria, Sandro Viola, Giovanni Urbani, Antonio Delfini... Tra l’ invenzione della Dolce Vita e le serate di Hollywoodsul-Tevere... Ei caffè!I due Rosati, Doney, Café de Paris, Canova... E tutti in movimento, sedentari ma non provinciali, fra le due sponde di Via Veneto e le estati in Piazza Navona e due generazioni di pittori, (vecchi "neo" e giovani "post" in Piazza del Popolo, con soprannomi ormai mitici e sempre aggiornati bons mots). Leggendo Il Mondo, L’ Espresso, Paragone, Tempo Presente, Nuovi Argomenti, Il Caffè, Il Verri ... Commentando Fellini, Visconti, Antonioni, Pasolini... Con Moravia e Soldati ogni sera in giro dappertutto, fra i due Guttuso e i due Piovene, Bassani, Garboli, Pier Paolo, e talvolta Gadda che spesso si negava. (E la mattina dopo, al telefono: «la Elsina ha gridato parecchio?»)... E opere in forma frammentaria non «narrativa da aeroporto» giacché sopratt u t t o D i a r i o non di eventi ma di Pensieri e di Idee. Quindi, riflettendo sullo Zibaldone di Leopardi: ed ecco perché, fatalmente, lavori per «definizione» postumi. Ah, l’ aver capito tutto, da tanto tempo; e (in fondo) inutilmente, davanti a un’ epoca sgangherata e sciattona che metteva ai margini Gadda, Praz, Palazzeschi, Comisso, Longhi. Dunque, tenendosi in disparte, anche per innato orrore versus una volgarità ove non c’ è spazio per l’ ironia, la melanconia, le disillusioni e i disincanti di una delicatezza ferita, profonda... Defilandosi rispetto a un’ attualità tutta-Kitsch, senza alcun compiacimento per qualsiasi camp ,... Anzi, con un understatement da Classico Minore. E addirittura con vari dubbi circa la Satira: in Italia, a Roma, ora... Così, in quella nostra lontana vita piuttosto povera ma comunque più dolce delle successive, e tanto spesso dissipata fra progetti e lavoretti e interessi dispersi, i coetanei erano certamente Calvino, Parise, Pasolini, Manganelli, Testori, Ottieri... Mentre Ennio Flaiano venne "adottato" da noi giovani debuttanti insiemea Savinioe Brancati e Bruno Barilli proprio perché i suo itinerari pieni di grazia stilistica non si svolgevano come divagazioni elzeviristiche ma tra luoghi e forme e figure e idee di vivo interesse culturale mai provinciale. Anche giacché il «nitore» tanto caro ai nostri anni Trenta più casalinghi sapeva ormai di «lindore» nei modelli scolastici e detersivi. E la ricerca di ogni semplificazione «a livello di» si potrebbe sempre avvertire come una costrizione conservatrice. E non quale una liberazione da sketch e spot, quando la Satira viene saturata dalle volgarità della realtà. ... E pensare che ai tempi della Dolce Vita ci si domandava: che mezzi rimangono, per protestare contro la nequizia dell’ epoca, a un «piccolo maestro» che non si è mai proposto di scrivere un’ Anna Karenina o delle Illusions perdues, però possiede quel dono di finezza incantevole che gli consente di arrivare in punta di piedi alla verità artistica nel giro b r e v e d e l l a «moralità di costume» o del racconto? Un predicatore ipocondriaco e visionario naturalm e n t e p i c chierà colpi su colpi (e la testa), con cattiverie mai viste e urla inverosimili. E rimane ovviamente la soluzione facile del rifiuto in blocco di una realtà che non si è disposti ad accettare... «Gli apocalittici da salmi in salmì», si ridacchiava in quel caffè. E anche «siamo ritorti nel pensiero continuo». Ma quando il classico minore è una persona civile e raffinata che accanto allo sdegno del moralista di fronte alla virtù conculcata (o semplicemente davanti allo spettacolo del buon senso e del buon gusto messi sotto le scarpe) non può fare a meno di dar retta a un suo diavoletto malizioso, lì sempre pronto a indicargli prima di tutto il lato buffo e la prospettiva ridicola. E come divertimento, sarà piuttosto amaro, mediamente: non si sente una gran gaiezza d’ animo, dietro il Diario di Jules Renard o i versi dell’ abate Parini o un pamphlet di Samuel Butler. Nei miei ricordi, Ennio viveva una sua Enneide romana tipo Orazio e Marziale anche a Parigi. Flâneries (flaienee) rigorosamente «dans le quartier». Abitavamo nello stesso albergo PontRoyal, si pranzava alla Brasserie Lipp, dove il "patron" Monsieur Cazes aveva sempre un tavolo per Monsieur Flaianò. Ai tavoli vicini, tanti vecchi cadenti, come Sartre e il regista Joseph Losey, e l’ attore Jean Tissier interprete con l’ eccelsa Marie Bell di una farsaccia vittoriana, La voleuse de Londres, una sciagurataggine tipo Opera da tre soldi con lui prefetto di polizia che provava orgasmi accarezzando poeticamente le mani di lei, ladra e impiccata in musica. Poi, pochi passi, per un whisky al bar notturno «Aux Petite Pavés», lì dietro in rue du Dragon, proprio sotto la ditions de Minuit, quanto di più lontano dall’ esprit flaianeo. A teatro, lui amava specialmente Suzanne Flou e Delphine Syrig. Pièces di Audib e r t i , B i l l e doux... A tavola, come quando a Roma si pranzava con la fant a s t i c a K i k i Brandolini e Giovanni Urbani, Flaiano era un convers a t o r e i n d i m e n t i c a b i l e . «Sì, sì, con la fantasia! L’ osservazione realistica, lasciamola ai "dialettali" coi loro copioni illeggibili e le loro realizzazioni stupende. Eduardo, Testori. Oppure al cinema: vanno benissimo, e sono "mezzi" molto più adatti. Per esempio, Rocco e i suoi fratelli, va così bene come film; ma provate a immaginarvelo a teatro, e vedrete che si casca subito nell’Arthur Miller. "E naturalmente, accanto alla fantasia, dev’essere sempre presente la critica, che è poi autobiografia... e con la realtà ha un rapporto soltanto segreto... "Questa Roma è incredibile... L’ambizione fondamentale dei giovani che arrivavano qui, ancora negli anni Trenta, era sempre quella di scrivere un libro: il libro!... Inutile negarlo: mentre quelli che vengono qui oggi, lo vediamo bene, hanno soprattutto l’aspirazione a vivere una certa vita... Come del resto i francesi nuovi, che pensano al primo film, mai al primo libro, e certo corrono dietro ai produttori, ma non si sognerebbero mai di fare un po’ d’anticamera dall’editore Gallimard... "Per questo, in mezzo alla massa di gente piena di aspirazioni materialistiche proprio nel campo della letteratura - e perfettamente soddisfatte delle proprie inchieste giornalistiche, del pezzo brillante, del colonnino che luccica - è piuttosto consolante trovare ogni tanto qualcuno che pensa ancora al libro con una certa serietà, con impegno... il rapporto col libro... sempre più misterioso e lontano... A una certa età, poi, sembra che veramente tutto sia già stato scritto... un fatto misterioso... Mai uno scherzo da prendere alla leggera... E se poi il libro riuscisse proprio come voleva l’autore, in tutto (dir tutto, esprimere tutto...), per essere coerente, lui, alla fine, dovrebbe almeno uccidersi. "Ma per fortuna: dei romanzieri detestabili, quelli preoccupati soltanto della "trama", ha già provveduto il cinema a liberarci. E questo è utilissimo: perché intanto serve come valvola per le cattive tentazioni; e poi dura pochissimo. Basta vedere come ogni film drammatico si avvia lentamente a diventare comico... E dopo un po’ di tempo, non è neanche più ridicolo... già diventato incomprensibile... "Ma questa Roma... Tutto diventa immediatamente esagerato: la gola, la sensualità, i vizi, lo scetticismo... Anche l’autocensura. E si può arrivare a pensare che di tutto, in fondo, si può fare a meno... ". Poi. "Una notte, poco fa, stavo a Fregene guardando i satelliti galileiani col cannocchiale, quando è arrivato il Gassman... ". © Alberto Arbasino - ALBERTO ARBASINO