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 2010  febbraio 15 Lunedì calendario

GUERRIGLIA A MILANO, LEGA E PDL: CACCIAMO TUTTI I CLANDESTINI - MILANO AHMED

Abdel Aziz el Sayed è stramazzato sotto l’impalcatura che protegge l’ingresso del numero civico 80 di via Padova. DAVANTI alla vetrina del baretto Hela 3 dove ti vendono pizza Margherita o panini kebab. allo stesso prezzo, 2 Euro e 50, è una "promotion" si legge sull’abbagliante insegna luminosa. La facciata di questa logorata (ma un tempo dignitosa) palazzina d’inizio Novecento è slabbrata, l’intonaco cade letteralmente a pezzi, ogni volta che piove è rischiatutto. Dal balcone del terzo piano spuntano i volti di tre ragazze, una è cinese, quella al suo fianco è sudamericana, la terza è una biondina slava, forse una russa. Occhi scuri e addolorati del vecchio Egitto si sollevano sino ad incrociare quelli delle tre donne, sguardi non più ostili ma solo carichi di tribolazioni e sofferenza. C’è una piccola folla che circonda le tre transennine del Nucleo Pronto Intervento del Comune piazzate dove Aziz è morto accoltellato. Proteggono uno spicchio di marciapiede con una grande macchia scura di sangue raggrumato, memoria di odio e rabbia, di scontro tra etnie diverse, tracce di guerriglia, di convivenze difficili: in questa zona che fa perno sul tratto centrale di via Padova - dalla rotonda tra via Giacosa e via Predalissi sino al ponte della ferrovia da una parte, dalle fermate metropolitane di Rovereto e Pasteur sino a via Leoncavallo dall’altra - si concentra infatti la maggior percentuale di immigrati di tutta Milano. Quattromila stranieri su una popolazione complessiva di novemila persone, circa il 44 per cento e ben 1.311 imprese non italiane. Prove di integrazione ce ne sono, come quella della popolare Orchestra multietnica di via Padova, l’ultimo videoclip su Internet si chiama Tunjà. «Vogliamo vivere in pace», si legge su un foglio di carta bianca appoggiato ad una delle transenne: «Aziz aveva diritto di vivere in pace», commenta un giovane arabo, «qui noi non abbiamo diritto a niente, neanche se chiamiamo il 113 ci rispondono...». Annuisce Ettore Scarabelli, dipendente comunale, che da nove anni vive al numero 63, proprio di fronte alla fermata del bus 56, pochi metri più in là del bar Hela: «Un giorno bussa disperata alla mia porta una cinese che vive al piano di sotto. Le avevano appena svaligiato l’appartamento. Aveva denunciato il furto al 113, la Questura non l’aveva ascoltata. Ho dovuto farla io la telefonata».

All’italiano Scarabelli, quelli del 113 prestano ascolto.

Nella vicinissima via Conegliano, che qui tutti chiamano la "via dei peruviani" e che è una piccola traversa di via Padova in direzione Loreto, la signora Olga Valdèz, peruviana, residente a Milano da oltre vent’anni, conferma: «Non interessiamoa nessuno, né noi sudamericani né gli arabi. Siamo abbandonati a noi stessi». Il suo ristorantino, "El Puerto Chalaco", al numero 5, è famoso per il pesce; la saracinesca di una delle due vetrine è abbassata, anzi, sgangherata: «Volevano scardinarla, spaccar tutto, per fortuna ha resistito». Per vendicare la morte di Ahmed gli egiziani hanno preso di mira negozi e locali sudamericani.

« sempre più duro resistere», racconta la titolare della pasticceria napoletana Fratelli Rispo, al 74 di via Padova. «Noi siamo qui da ventisette anni, la situazione si è aggravata negli ultimi tempi, siamo come assediati, la tensione è palpabile, non si fa nulla per cambiare». Verissimo, insiste la battagliera Valentina, 39 anni, che lavora allo sportello comunale per gli stranieri del comune di Pioltello ed abita al numero 95 di via Padova: «Italiani che se la pigliano con gli stranieri. Stranieri contro stranieri. Ogni giorno è così. Gli immigrati sono l’anello debole di una società che non è in grado di dar loro casa e lavoro. Io vedo solo le cose peggiorare: un omicidio su tre colpisce poveri, clandestini, irregolari. La colpa di questa situazione è nostra: chiediamo alla politica solo slogan e non di risolvere i problemi, per questo i politici hanno rinunciato a farlo».

Su un altro foglio si legge: «Comune. Vogliamo convivere come alla Scuola del Sole». Che si trova dall’altra parte della strada, al 69. La scuola nel Parco Trotter: materne, elementari e medie, 900 studenti, circa la metà figli di immigrati. Un’oasi di cultura e socialità. In un luogo della memoria milanese: nel 1922 nacque la scuola all’aperto del Trotter, quando a Milano il socialismo umanitario aiutato da una borghesia avanzata si preoccupava del futuro dei giovani.

La rivolta di venerdì sera ha mobilitato genitori, consiglio di Zona, l’associazione Città del Sole. L’ex presidente, Franco Beccari, membro del Consiglio di Zona per la lista Milano Civica, va dritto al cuore delle polemiche: «Questa amministrazione non fa interventi per favorire l’integrazione. Non agisce per debellare lo spaccio di stupefacenti che è sotto gli occhi di tutti. Non chiude i locali che vendono liquori oltre gli orari consentiti né si preoccupa dei negozi che tengono le serrande aperte giorno e notte. Sono le piccole cose concrete di ogni giorno che devono rassicurare la nostra comunità». Ciò che fa il Comune sono «interventi di facciata», interviene Alberto Ronchi, un genitore.

Torniamo in via Padova. La rappresentazione delle vetrine globalizzate spiega meglio di ogni altro discorso la trasformazione di questo vecchio quartiere di frontiera. Al numero 65 c’è un parrucchiere cinese: pensionati e casalinghe italiani ci vanno, costa la metà, solo che non si fidano degli shampoo made in Pechino e vengono con il loro.

Pizzeria Aurora: nome italiano, proprietà cinese. Asian African market, cingalese. Dong Fong e Dian Xuo, centro assistenza riparazione elettronica. Casa del Sapone e Macelleria Gian Paolo, italiani. Wu Xian, telefonìa.

Il leghista inossidabile Roberto, materassaio del numero 65, sbraita contro gli immigrati che tolgono spazio ai residenti italiani, tuttavia ha venduto la bottega perché gli conveniva e continua a lavorare in cortile.

Un senegalese si avvia con il suo carico di chincaglieria. Nelle gerarchie dell’immigrazione, gli tocca pagare il pizzo ai cinesi.

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