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 2010  febbraio 15 Lunedì calendario

PORTOGALLO, LE LACRIME DELL’EUROPA SBAGLIATA - LISBONA PERSO

nell’Oceano atlantico a seicento miglia dall’Europa, l’arcipelago di Madeira probabilmente ha motivi per lamentare l’irriconoscenza della madrepatria, il Portogallo, cui regalò il "sale dolce", lo zucchero, e un liquore assai apprezzato sui galeoni diretti alle Americhe. Ma il momento scelto per esigere quel credito non è stato il migliore.

LA SETTIMANA scorsa, mentre il premier Jose Socrates cercava di convincere i mercati che Lisbona avrebbe tagliato la spesa pubblica, così da riportare in quattro anni un deficit strabordante entroi parametri di Maastricht, il parlamento portoghese ha raddoppiato i finanziamenti a Madeira e alle Azorre.

Un esborso minimo, cinquanta milioni di euro. Ma un segnale pessimo alla finanza internazionale: l’evidenza che il governo socialista, persa la maggioranza assoluta nelle elezioni dello scorso settembre, ora è esposto ai colpi di mano orditi da centrodestra ed estrema sinistra, un’opposizione eterogenea ma piuttosto concorde nell’anteporre gli interessi propri e del proprio elettorato all’interesse nazionale. Il ministro delle Finanze, Teixeira dos Santos, promette che praticherà tutte le scorciatoie offerte dalla legge per vanificare il regalo a Madeira.

Ma il danno è fatto. Ormai è chiaro che il Portogallo sconta non soltanto i limiti strutturali di un’economia poco competitiva, ma anche una certa inadeguatezza della sua classe politica. Uno svantaggio che tanto i mercati quanto una scuola statistica considerano non meno rilevante dei parametri classici cui gli economisti ricorrono per pronosticare il futuro di un Paese.

Secondo uno studio recente dell’Ocse, il Portogallo è il Paese europeo che nutre minor fiducia nel parlamento (19%, contro il 64% dei danesi, l’estremo opposto nella Ue). Tanto scetticismo sembra giustificato perché grossomodo coincide con la classifica della World Bank sulla qualità di governance. Le società che più diffidano della classe politica e ritengono di essere malgovernate sono in genere quelle dell’Europa meridionale, Italia inclusa. Le più soddisfatte sono invece le società dell’Europa scandinava, cui gli indici dell’Ocse attribuiscono solidarietà interna, fiducia verso le istituzionie senso di appartenenza. E’ verosimile che queste virtù generino un rilevantissimo vantaggio economico: i Paesi che le praticano avrebbero maggior facilità nell’applicare in modo coerente regole collettive, politiche fiscali, lotta alla corruzione, renitenza agli sprechi. All’inverso, i Paesi meno `virtuosi’ pagherebbero i loro peccati con pesanti costi aggiuntivi. Di fatto, quell’Europa nordica è la più virtuosa anche nel rapporto deficit/Pil, che vede invece il Portogallo nel gruppo di coda, insieme a Grecia, Spagna e Irlanda, gli sventurati Paesi PIGS, `maiali’, l’acronimo un po’ razzista inventato da analisti finanziari anglosassoni. Se sottraiamo l’Irlanda, la cui crisi ha un profilo particolare, e aggiungiamo l’Italia, che è in una posizione migliore ma straborda anch’essa dai parametri di Maastricht, l’Europa in difficoltà finisce per coincidere con l’Europa della sfiducia e della frammentazione. Una lettura altrettanto non convenzionale della crisi portoghese la offre un economista italiano dell’università Nova di Lisbona, Francesco Franco. Il Portogallo, sostiene Franco, appartiene con l’Italia al gruppo di economie dell’Eurozona che un tempo riuscivano a recuperare competitività svalutando la moneta,e oggi, non potendo più percorrere quella scorciatoia, tagliano i costi licenziando, cioè producendo disoccupazione, che a sua volte produce deficit. I Paesi dell’Eurozona dovrebbero accettare questa realtà e concordare stabilizzatori sociali, spartendone i costi. Inventare un unico welfare, ammette Franco, e costringere il contribuente tedesco a pagarne i costi anche quando il beneficiario è un disoccupato portoghese, oggi non è nell’orizzonte del possibile. Ma se vogliamo evitare il ripetersi di queste crisi, la strada non può essere che quella. In alternativa, il Portogallo potrebbe curare i suoi vizi (insufficiente qualità dell’istruzione scolastica, sistema finanziario sottodimensionato, bilancia dei pagamenti eternamente in rosso, smodato debito estero). Meno facile ovviare ai limiti di una posizione geografica sfortunata. Il Paese si trova nella periferia sbagliata, nell’estremo ovest di un continente che sta spostando la sua logistica verso l’Europa orientale e sud-orientale, lì dove le imprese trovano mercati in espansione, manodopera a basso costo e spudorati sgravi fiscali.

Come la Spagna, anche Lisbona è corsa ai ripari sviluppando una vocazione doppia: europea, con la convinzione di quei Paesi che, usciti da una dittatura, trovarono nell’Europa comunitaria un approdo saldo al sistema delle democrazie; e atlantica, orientata verso le ex colonie. Il Brasile.

L’Angola, dove gli investimenti portoghesi ormai sono secondi solo ai cinesi. Il Mozambico. Mercati ideali, gli ultimi due, per merci prodotte a basso costo ma di qualità modesta. Lo sbocco europeo stimola invece l’industria portoghese verso specializzazioni tecnologiche, innanzitutto le energie alternative, dove il Portogallo ha raggiunto una qualità interessante. Tutto questo forma un’economiaa tratti dinamica ma più spesso sonnolenta, in sintesi dignitosa e compassata come la capitale, Lisbona. Il vantaggio del volare basse è che quando si cade ci si fa meno male. Nell’ultimo decennio il Pil portoghese è cresciuto dell’1,5%, e cioè meno che nel resto dell’Unione; ma ora registra una contrazione in percentuale più bassa della media europea ( - 2.6% contro - 4%). Quando è cominciata la recessione il governo ha cercato di mantenere tonica l’economia finanziando infrastrutture, come la ferrovia ad alta velocità Lisbona-Madrd, strategiche per sottrarre il Paese alla sua marginalità geografica. Ma la crescita della spesa pubblica l’ha costretto prima a frenare, poi ad un bilancio `austero’ per il 2010 che ha convinto a metà la finanza internazionale. All’inizio di febbraio il Tesoro è stato costretto a sospendere un lancio di obbligazioni a causa degli eccessivi tassi di interesse richiesti dal mercato.

Pochi giorni dopo, calmatesi le acque, la domanda ha superato di quattro volte l’offerta. Però solo un piano di Stabilità rigoroso, così come richiesto dalla Commissione europea a Lisbona e ad Atene, potrà evitare al Portogallo altri rischi. E quel piano deve approvarlo l’imprevedibile parlamento portoghese.