Grazia Longo, La Stampa 16/2/2010, pagina 22, 16 febbraio 2010
GLI ASPIRANTI AVVOCATI SCIVOLANO SUL PATE’ D’ANIMO
Nell’immaginario collettivo dici avvocato e pensi a Perry Mason. L’idolo televisivo degli Anni 50 che nelle arringhe smascherava il vero colpevole con un’irresistibile dialettica e vinceva ricorsi e appelli a suon di carte bollate scritte in punta di penna.
Acqua passata. Gli aspiranti avvocati - almeno quelli italiani - scrivono come, se non peggio, degli alunni delle elementari napoletani che ispirarono il libro «Io speriamo che me la cavo». L’esame di abilitazione è ancora in corso, sono appena terminate le prove scritte ed è venuto fuori di tutto. Un trionfo di strafalcioni. A partire da «abbiamo» scritto con l’acca - habbiamo -, a «correzzione» con due zeta, a «paté d’animo» invece che patema, «plurale magistratis» al posto di maiestatis.
Per non parlare delle frequentissime «e» senza accento quando ci sarebbe voluto, «c’è ne» invece che «ce n’è» e un proliferare di «un’altro» scritto con l’apostrofo. Uno scivolone dietro l’altro che ha provocato una drastica selezione dei candidati. Oltre 20 mila hanno partecipato al concorso ma solo un terzo arriverà agli orali. In una delle 7 sottocommissioni di Torino, impegnate a correggere gli elaborati dei candidati baresi (l’abbinamento docenti-studenti è estratto a sorte contro ogni sospetto di favoritismo) c’è un noto penalista torinese, scandalizzato da tanta ignoranza.
«Nel bagaglio tecnico del futuro principe del foro non può mancare la padronanza dell’italiano scritto - osserva -. Va bene che l’arma principale degli avvocati, che nei tribunali devono combattere sfruttando ogni possibile artificio dialettico, è l’eloquenza, ma errori così enormi non possono essere tollerati. Personalmente, quindi, ho stabilito che non può essere ammesso agli orali chi ignora la nostra lingua. Ecco perché boccio».
E non è certo una questione di stile. «Al di là delle difficoltà espositive, che rivelano scarso interesse per la nostra lingua, le gaffe principali sono di natura ortografica, grammaticale e sintattica. A livello di scuola elementare. Una volta, le vecchie maestre sanzionavano con la matita blu, errori come l’apostrofo tra le parole ”un” e ”altro”. Un collega mi ha detto di aver dovuto respingere un candidato quando ha letto per la terza volta il verbo ”habbiamo” nel suo compito».
E che si tratti di un trendy nazionale è confermato anche da un illustre componente della commissione centrale - con sede a Roma - costretto a convivere con le lamentele dei colleghi sempre più esterrefatti e amareggiati per la scarsa preparazione dei candidati. Dice: «La creatività non ha limiti, in un compito un candidato ha scritto che la posizione di due legali, uno difensore, l’altro di parte civile era ”agli antilopi”, invece che agli antipodi. Analizzare le cause è complesso, e comunque vanno ricercate molto indietro nel tempo fino alle scuole obbligatorie, ma è impossibile non registrare scorrettezze tanto plateali».
Anche per il commissario torinese il problema ha radici antiche, nonostante non manchino responsabilità pure tra «i burocrati del ministero che hanno prodotto tracce d’esame abborracciate e cervellotiche». In ogni caso gli strafalcioni delle tre prove scritte (diritto penale, diritto civile, atto processuale) sono lì a gridare vendetta di fronte alle regole base della lingua italiana.
Non solo. Gravi carenze si riscontrano anche nei meccanismi del diritto. Un esempio è «applicazione della personalità» in luogo di «esplicazione della personalità». E a guardare l’ultimo concorso per magistrati, non è andata meglio. Su 43 mila domande presentate, 4 mila candidati hanno superato le prove scritte: la sorpresa sta però nel fatto che solo 342 dei candidati hanno superato l’orale, non coprendo nemmeno i 380 posti che erano stati messi in palio.
Ebbene, sono state raccolte 12 pagine di strafalcioni. Numerosissime le «e» senza accento e le «a» senza l’acca, tanti i candidati che hanno scritto i due temi con le abbreviazioni «cellularesche» (cmq per comunque, x in luogo di per). Ma non è detto che lo stupidario degli aspiranti magistrati consoli chi vuole indossare la toga come avvocato.
Grazia Longo