Francesco Spini, La Stampa 15/2/2010, pagina 2, 15 febbraio 2010
LA GANG CHE UCCIDE PER UN PESTONE
Un piede pestato in autobus, le scuse mancate. Gli insulti. A volte basta un niente: e un ragazzo egiziano, 19 anni, Ahmed, ci rimette la vita in via Padova, davanti al civico 80. E nel quartiere si scatena il delirio, anche perché i connazionali di Ahmed non capiscono che quel corpo lasciato lì sul marciapiede non è un segno di mancato rispetto, ma è funzionale ai rilievi di polizia. Ed è così che due sere fa, secondo le prime ricostruzioni degli investigatori, sarebbe scoppiato il gran caos di via Padova. Il giorno dopo, resta questo maledetto marciapiede, davanti al negozietto del kebab, con le incrostazioni bruciacchiate della tragedia e qualche segno di gessetto. Un lumino e qualche fiore ricordano la giovane vita stroncata che fu di Ahmed Mamdouh Abdel-Aziz el-Sayed Abdou, morto per una coltellata nel petto. Il giorno dopo, via Padova è un set. Postazioni tv ovunque per dire che nella notte sono stati fermati - e il Pm ha chiesto la convalida - quattro cittadini egiziani con l’accusa di «devastazione e saccheggio». Sono ragazzi di 19, 27 e 32 anni. Migranti non ancora di seconda generazione, ma neppure di recentissimo arrivo: sono quelli a metà strada, e che si ritrovano con più problemi di integrazione.
Dopo la serata di follia in cui sono state rovesciate in strada nove automobili, in diciassette sono state danneggiate, cinque negozi (per lo più latinoamericani) hanno subìto atti di vandalismo, sono state portate in Questura 37 persone (23 regolari), per lo più egiziani. Ma i responsabili di questo caos sarebbero non più di una decina. E per la cronaca, miracolo: nella devastazione e nel saccheggio non si sarebbe ferito nessuno, a parte i due che stavano con Ahmed.
Polizia e carabinieri cercano 5 sudamericani, tra i quali c’è l’assassino: dovrebbero far parte di una banda di latinos, detta «I Chicago». Nella conferenza stampa congiunta gli investigatori puntualizzano: «Non risulta che ci siano stati scontri tra cittadini africani e latino-americani». Risulta invece che l’episodio «è nato in modo casuale. Non ci sono elementi, al momento che facciano pensare al reale rischio di una escalation di violenza nel quartiere e non ci sembra adeguata la definizione di ”polveriera” che è stata fatta». In principio, dunque, i futili motivi che hanno portato alla morte del giovane: il piede pestato, anche se nel quartiere qualcuno parla di soldi o di donne. Fatto sta che la tragedia si sarebbe compiuta, secondo alcune ricostruzioni, tra un supermarket peruviano e il kebab del civico 80. Ahmed viene colpito davanti al primo negozietto di latinos. Ferito, corre verso il secondo alla ricerca di qualcosa per difendersi. Cade a terra. Muore. Comincia così la serata di follia di questa città nella città, dove Abdel era arrivato, da solo, sette anni fa.
A raccontarne la storia, occhi lucidi, è Kamel, il cugino: «Era partito dalla Libia con un peschereccio ed era sbarcato in Sicilia». Un po’ di scuola, poi lavoro da muratore, imbianchino, infine in pizzeria a Sesto San Giovanni. «Tre giorni fa aveva ritirato il nuovo permesso di soggiorno». Kamel vive con una ragazza peruviana, «mio cugino stava con un’italiana, una ragazza magra che fa la barista alla stazione Garibaldi. Ieri erano insieme sul bus. Forse il litigio è scoppiato per una parola di troppo su di lei». Tutti lo descrivono come uno pulito. «Non alzava mai la voce. Vestiva all’occidentale e aveva un piercing all’angolo della bocca». Talvolta si tingeva i capelli e si faceva chiamare «il biondo». Raccontano al bar dove l’han visto un’ora prima che morisse che viveva a Cimiano, cinque fermate di metro da piazzale Loreto, con un amico italiano. Si stava trasferendo altrove, forse proprio con l’egiziano che - assieme all’ivoriano ferito - era con lui al momento dell’aggressione. A visitare via Padova dove gli scontri ieri sono stati solo verbali tra italiani e migranti (tra insulti razzisti e qualche «Allah Akbar» di risposta), ieri c’era il vicesindaco Riccardo De Corato, promettendo più severità. Un pasticcere napoletano, Remigio, l’accoglie così, a urla: «Cosa ci viene a fare qui? Oggi venite tutti, martedì saremo di nuovo soli, come sempre».
Francesco Spini