F. Moscatelli, F. Spini, La Stampa 14/2/2010, pagina 5, 14 febbraio 2010
LA CASBAH DELLE 50 LINGUE
La terra di nessuno comincia dopo le luci di Buenos Aires e la «Piccadilly» triste delle insegne di piazzale Loreto. Ieri sera il traffico veniva fermato da due volanti della Polizia locale in lampeggiante blu: il supermarket della droga, stasera è chiuso, spiacenti. Chiuso per rabbia, esasperazione, violenza. Quella di sempre, che cova dietro le mura di questi palazzi invecchiati male, dove ti sembra che l’Italia non ci sia più e quasi non possa entrare. «Questa via è tutto il mondo», dice Mohammed, egiziano. Con i suoi tre amici se ne sta davanti al portone del civico 31, guardando la macchina appena rovesciata, in un mare di vetri. E’ la rivolta. «Qui trovi cinesi, cingalesi, rumeni, egiziani, marocchini - continua il giovane -, ma non siamo tutti così; ma molti bevono e ci sono sempre risse. Solo nell’ultima settimana abbiamo visto due o tre pestaggi».
I personaggi e gli interpreti di questa convivenza difficile tra stranieri e italiani e tra gli stessi migranti sono svariati: «Egiziani e rumeni contro sudamericani. Egiziani contro altri africani», alza le spalle Mohammed. Da Piazzale Loreto fino alla fine, la strada è lunga 4 chilometri, 50 nazionalità. Secondo l’ultimo censimento della Camera di Commercio 1311 imprese da queste parti parlano un’altra lingua.
E non è difficile accorgersene. Entri in questa via e cambiano le insegne, i profumi: tanti negozi sono cinesi. Nei primi chilometri incontri loro, soprattutto, i meglio vestiti. E poi cingalesi, gente del bangladesh. Da metà in poi inizia la parte dei nordafricani, con i loro kebab. E con la casa di cultura islamica, dove già si prega, e la voglia di trasformarsi in una vera moschea. Finora non se ne è fatto nulla, anche se il suo presidente Mahmoud Asfa ha ricevuto perfino l’Ambrogino d’oro (si è sempre detto contrario a un partito islamico), il progetto è bloccato da due anni. La voglia di integrarsi, in questa benedetta strada, ci sarebbe anche. C’è l’Orchestra di via Padova. Ha fatto un disco, 13,90 euro, sono musicanti che non guardano al colore della propria pelle o al passaporto per suonare insieme. Ed è il lato buono della convivenza, il segnale della speranza. Che deve lottare per emergere in una mare di degrado. Ci sono le discariche a cielo aperto, in via Padova. C’è il supermercato della droga, in via Padova. Ci vanno anche i ragazzi della buona società, salvo poi dirottare le serate su vie più allegre.
E c’è la difficoltà degli anziani superstiti in condomini talvolta del tutto colonizzati da extracomunitari, come il palazzo davanti a cui ieri è scoppiato il caos: qui comandano le bande nordafricane dello spaccio. Si fanno festini, che spesso finiscono nella droga, nelle bevute. E nelle risse. Chi parla italiano, spesso vuole scappare. Non si contano i cartelli «vendesi» sparsi per tutta la via. Non importa se poi ci si deve accontentare della metà dei soldi spesi tanti anni fa per comprare la casa che si immaginava diversa. Si vende e basta, quando si può. L’integrazione è un cantiere ancora aperto e molto difficile. C’è chi vuole smorzare i racconti dell’orrore che escono da questi 4 chilometri. Ma bastano quelli delle ragazze che non riescono ad uscire di casa la sera senza temere il peggio. Cercano con gli occhi i poliziotti di quartiere, i soldati che il governo aveva spedito da queste parti. Ma che troppo spesso non trovano.