Marco Sodano, La Stampa 14/2/2010, pagina 3, 14 febbraio 2010
EURO A RISCHIO CRAC
La moneta unica europea è sull’orlo del collasso. L’opinione sorprende perché viene dagli analisti di Société Générale, una delle più gandi banche dell’area euro. Riuniti a Parigi, hanno detto che qualunque piano di salvataggio dell’economia greca saranno solo «cerotti» per coprire i difetti profondi della moneta europea. Gli scivoloni dell’euromoneta si susseguono - da novembre ha perso il 10% - e gli operatori sono preoccupati. In una nota agli investitori, Albert Edwards - stratega di Soc Gen dice: «La mia opinione è che gli altri paesi europei non potranno che dare un sostegno temporaneo ad Atene», rinviando un crac che comunque non sembra evitabile. Peter Mandelson, minitro britannico dell’economia, ha detto la stessa cosa giovedì: «Qualsiasi aiuto dato alla Grecia non farà che ritardare solo una rottura all’interno dell’eurozona».
Le promesse dell’Europa, che si dice «pronta a un’azione determinata e coordinata» per puntellare le finanze greche a brandelli non sono bastate: hanno anzi deluso gli operatori perché mancano i dettagli. Ma i mercati non sono convinti che i paesi più ricchi e quelli più in difficoltà riescano a mettere in piedi una strategia comune. Secondo Mats Persson, direttore della Europe Open think-tank, «La zona euro si trova ad affrontare una crisi vera e propria. Anche se la Grecia ricevesse una una tantum per il suo salvataggio non si risolverebbe il problema reale: le enormi differenze di competitività tra i membri più ricchi e più poveri della zona euro». C’è chi sostiene che Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna sono troppo deboli per resistere ai rigori di appartenenza della zona euro.
E di euro ha parlato anche Mario Draghi, che concluso il discorso parlando di Europa, anziché d’Italia. Un Mario Draghi europeista che a tratti ricorda la passione di uno dei suoi predecessori, Carlo Azeglio Ciampi: «Occorre che nell’Unione si formi la volontà comune di estendere alle strutture economiche, e alle riforme di cui necessitano, la stessa attenta verifica, lo stesso energico impulso che sono stati esercitati negli anni sui bilanci pubblici». Ieri sembrava che il governatore della Banca d’Italia avesse in mente un pubblico anche al di là dei nostri confini; come si conviene a chi aspira a dirigere la Banca centrale europea. Si comincia a distinguere meglio che cosa lo distingue dal rivale, il presidente della Bundesbank Axel Weber. Lo spunto è ovviamente nella crisi greca, che attira l’attenzione sui debiti pubblici di vari paesi e sui possibili punti deboli dell’euro. «L’euro è saldo» proclama Draghi, ma nello stesso tempo non ci si può nascondere che gli gioverebbe «un più forte governo economico dell’Unione».
Dieci anni fa, quando la moneta unica fu avviata, prevalsero al contrario «i cori entusiasti che celebravano la meta raggiunta insieme all’impegno a resistere a ogni ulteriore integrazione». Fin qui, però, si tratta di punti di riferimento; il mestiere di banchiere centrale è un altro. Nei giorni scorsi, alcuni osservatori avevano rimarcato che troppo di rado avevano sentito Draghi esprimersi sui tassi di interesse. Ieri lo ha fatto. Il dibattito attuale all’interno della Bce, come al solito schematizzato nella contrapposizione tra «falchi» e «colombe», verte sui tempi in cui ritirare le misure straordinarie anticrisi.
Le «colombe» fanno presente che alcune banche sono ancora in difficoltà; se nel fornire liquidità si dovesse abbandonare il tasso fisso, si potrebbero creare tensioni, spinte in direzione di un rialzo dei tassi prematuro rispetto alle delicate condizioni dell’economia. Draghi ribatte: se ci sono banche in «difficoltà di provvista» - «molto poche, e nessuna italiana» - troviamo strumenti speciali per aiutarle «senza condizionare la politica monetaria», ovvero senza ritardare la exit strategy.
Si potrebbe dire che è un «falco temperato» quello che si presenta a un pubblico competente. La Grecia, dice, deve innanzitutto tirarsi da sola fuori dai guai; lo possiamo dire noi italiani, che «nel 1992 eravamo in condizioni molto più drammatiche» e da soli ne siamo usciti. Ma tutti i paesi dell’area euro devono mettersi subito al lavoro.
Sta in una «tempestiva e credibile indicazione» di come i deficit pubblici saranno ridotti la miglior garanzia contro una risalita troppo rapida dei tassi di interesse. Il governatore vede una somiglianza di fondo tra i problemi dell’Italia e quelli di altri paesi europei. Da noi «la mancanza di riforme strutturali ha segnato la perdita di competitività del paese, che dura da un quindicennio».
La mancanza di riforme altrove (Grecia, Spagna, Portogallo?) «è all’origine delle attuali fragilità»; trovare strumenti comuni farebbe bene a tutti.
Marco Sodano