Andrea Morigi, Libero 16/2/2010, 16 febbraio 2010
PER BONIFICARE VIA PADOVA E LE PERIFERIE BASTA COPIARE IL ”MODELLO WASHINGTON”
C’è almeno un modello di successo a cui ispirarsi, per salvare via Padova e le altre banlieue milanesi. Anche a Washington, quando trent’anni fa si sono accorti che a pochi passi dal Congresso degli Stati Uniti e dalla Casa Bianca erano cresciuti i quartieri-ghetto, hanno dovuto trovare un rimedio. C’è voluto un po’ di tempo, ma poi li hanno svuotati. Nessun rastrellamento, niente violenze e meno che mai espropri. Ci ha pensato il mercato, supportato da un piano di riqualificazione urbanistica. I prezzi degli immobili erano crollati e l’area da risanare era divenuta appetibile per le società di real estate. Dopo aver acquistato in blocco terreni e palazzi fatiscenti, sfrattavano gli inquilini, in partnership con le istituzioni che assicuravano loro una nuova e più dignitosa sistemazione, evitando, rigorosamente, ogni ombra di segregazione, dato che il distretto di Columbia è governato da democratici, spesso afro-americani. Poi si facevano saltare per aria i vecchi obbrobri, salvando monumenti e testimonianze storiche, e si ricostruiva tutto daccapo. Nel giro di qualche decennio, quella che è stata chiamata l’opera di ”rivitalizzazione” ha trasformato la capitale americana, la classe media è tornata a vivere in centro, dove si sono rivalutate le abitazioni, mentre le periferie sono rimaste a misura d’uomo e sono state via via dotate di servizi più moderni.
Tutti progetti complessi e a lungo termine che, anche se trovassero attuazione, richiederebbero comunque altre misure, non solo repressive e d’emergenza.
Nel frattempo, la società tribale rischia di prendere il sopravvento e di distruggere le zone del capoluogo lombardo minacciate dalla guerriglia urbana. Per questo l’Italia non può più fare a meno di un modello di convivenza, che non può prescindere dalle etnie e dalle comunità che insistono sul territorio. Se bastasse premiare l’imam moderato della moschea di via Padova, Mahmoud Asfa, con l’Ambrogino d’Oro, come ha fatto il sindaco Letizia Moratti, o sottoscrivere un patto di legalità fra la Provincia di Milano e i Latin Kings, come è accaduto nel 2007, la soluzione sarebbe già a portata di mano. Anche nelle bande e nelle aggregazioni religiose c’è un interlocutore a cui affidare una responsabilità specifica nel processo di integrazione, purché non si ripetano gli errori compiuti da altri Paesi europei, che hanno concesso spazi istituzionali a frange estremiste non violente senza tuttavia tenere conto della loro incompatibilità valoriale con la civiltà occidentale. Il terrorismo non si batte favorendo la radicalizzazione. Se, per sconfiggere la minaccia alla sicurezza, si consentissero la predicazione degli estremisti e la separazione, la situazione prima o poi finirebbe per esplodere. E, anche chi avesse sinceramente in animo di stringere un’alleanza con la società che lo ospita, non potrebbe che arrendersi scoraggiato se fosse lasciato solo.
Un segnale ragionevole di collaborazione, in questo senso, lo ha lanciato invece il ministro dell’Interno Roberto Maroni, istituendo la settimana scorsa un Comitato per l’Islam italiano, dal quale ha escluso i fondamentalisti cooptando al loro posto musulmani moderati con i quali sono possibili il dialogo e la costruzione di un progetto comune di cittadinanza. I risultati arriveranno, se ci si muoverà tutti in una sola direzione.
Andrea Morigi