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 2010  febbraio 14 Domenica calendario

BERTOLASO HA SALVATO LA PROTEZIONE CIVILE. MA LA SPA SBAGLIATA


Il padre della Protezione civile, Giuseppe Zamberletti, ne ha viste tante, nella sua vita politica; e certamente non si scandalizza per il marasma in cui è preciptata la ”sua” creatura. Troppi marasmi ha visto, l’ex commissario Zamberletti, epperò sul ”caso Bertolaso” ha le idee chiare: «Premetto che ho molta stima per Bertolaso, che conosco bene. Bertolaso ha un grande merito. Dal 1999 al 2001 la legge Bassanini tentò di creare un’Agenzia sottoposta di nuovo al ministero dell’Interno. Era una legge che ci faceva tornare al passato. Io mi opposi fortemente a questa possibilità, e il merito di Bertolaso è di aver sposato in pieno la nostra filosofia della Protezione civile, e di averla rimessa in funzione».

«Questo è il suo merito storico, e nessuna glielo potrà mai togliere. Il guaio però è sempre stato che il governo ha usato la Protezione civile per cavare le castagne dal fuoco. E l’ha usata nei modi più disparati, dall’intervento su una strada pericolosa fino all’organizzazione dei grandi eventi. La Protezione civile si trova troppo spesso a essere coinvolta nella realizzazione di opere pubbliche di emergenza non avendo una struttura adeguata alle spalle, ma il suo ruolo dovrebbe proprio cessare nel momento in cui l’emergenza è risolta. Infatti i problemi sorgono sempre nella seconda fase, quando alla Protezione civile si chiede un compito che non è in grado di assolvere, ovvero quello di realizzare opere pubbliche. Sono perciò contrario alla costituzione della Protezione civile S.p.a. La Protezione civile ha altri compiti, che sono compiti di coordinamento durante le emergenze e le catastrofi naturali».
Giuseppe Zamberletti, nato a Varese nel 1933, è stato parlamentare, sottosegretario e ministro della Prima Repubblica; ma, soprattutto, il padre fondatore della Protezione civile come la conosciamo oggi. Dal 1925 al 1970 l’intervento del soccorso nelle emergenze umane e ambientali era affidato al ministero dei Lavori pubblici; nel 1970, invece, si decide, anche grazie all’avanzamento tecnologico delle comunicazioni, di far rientrare il dipartimento della Protezione civile nelle attività del ministero dell’Interno.
Il primo banco di prova per il democristiano Giuseppe Zamberletti fu il terremoto del Friuli del 6 maggio 1976, che causò la morte di quasi mille persone. Zamberletti fu nominato commissario straordinario, e coordinò i primi soccorsi avendo pieni poteri; infatti ”ordinò” al ministero dell’Interno di requisire 25.000 roulotte che, per la cronaca, furono restituite dai friulani senza neanche una lira di danni, anzi, lasciando all’interno mazzi di fiori a mo’ di ringraziamento.
Finita la prima fase dell’emergenza, Zamberletti chiese a gran voce di lavorare sulla previsione e sulla prevenzione, e quindi che si creasse una Protezione civile permanente, mai più costretta a lavorare nell’emergenza e nell’improvvisazione, ma, ancora una volta, s’ignorò quella richiesta, e quattro anni dopo, esattamente il 23 novembre del 1980, il deputato varesino fu costretto a fronteggiare in qualità di commissario straordinario una delle più grandi emergenze umane e territoriali del Novecento italiano. Quella sera, infatti, l’Irpinia, parte della provincia di Salerno e la Basilicata furono colpite a morte da un terremoto lungo un minuto e venti secondi, pari all’undicesimo grado della scala Mercalli. I morti furono quasi tremila, ma i soccorsi iniziali furono lenti, e le notizie si diffusero con colpevole ritardo, tanto che nei primi giorni si era convinti che l’epicentro fosse a Balvano, piccolo paese della Basilicata, e non nell’Irpinia, come successivamente si venne a sapere con stupore. Il fatto è che a Balvano ci fu il crollo di una chiesa che causò la morte di un centinaio di ragazzi, e tanto bastò per concentrare sul paesino lucano i primissimi soccorsi delle forze territoriali.
La sera del 23 novembre del 1980, era una domenica, l’onorevole Zamberletti era a Varese, perché l’indomani avrebbe dovuto presiedere una riunione di industriali varesini. In tarda serata gli giunse una telefonata del ministro dell’Interno Virginio Rognoni, che gli chiese di tenersi pronto, perché probabilmente il terremoto irpino «era quasi forte come quello del Friuli». All’alba, Zamberletti ricevette un’altra telefonata di Rognoni, il quale gli comunicò che era appena stato nominato commissario straordinario, e che quindi doveva avvicinarsi il prima possibile a Roma. Ma quel giorno gli aeroporti del Nord Italia erano tutti chiusi per nebbia, per cui Zamberletti fu costretto a farsi accompagnare a Genova, che era l’unico aeroporto aperto, ma una volta arrivato a Genova scoprì che nessuno dei passeggeri era disposto a cedergli il posto prenotato, per cui fu necessario l’intervento del Prefetto di Genova per tirargli fuori un posto su quel ”maledetto” aereo diretto a Roma.
Nel primo pomeriggio Zamberletti s’installò al ministero dell’Interno, e ordinò a tutte le forze possibili (dai vigili del fuoco all’esercito) di avvicinarsi immediatamente all’Irpinia; ma quest’ordine arrivò a quasi ventiquattro ore dal disastro, e per far arrivare sul territorio tutte quelle forze mobilitate ci sarebbero voluti alcuni giorni. Per cui, per interi giorni, sui luoghi del terremoto furono attivi solo i vigili del fuoco del posto e i primi volontari. Fu uno scandalo. L’Italia scoprì con disgusto di non avere una Protezione civile che potesse intervenire con rapidità in caso di grave emergenza ambientale e umana. Tutto era affidato, come un secolo prima, alla buona volontà dell’emergenza e all’improvvisazione del momento.
La notte del 24 novembre Zamberletti prese un aereo dell’aeronautica e si installò a Palazzo Salerno a Napoli, da dove coordinò i primi interventi. Anche il capoluogo partenopeo fu colpito dal terremoto, ma in misura minore rispetto all’Irpinia. Ancora il 26 novembre l’unico rappresentante delle istituzioni italiane che si era visto sul territorio, oltre al Pontefice, fu Sandro Pertini, che, esasperato dalle richieste, dall’indignazione della gente, dai lutti, tuonò clamorosamente contro il governo presieduto da Arnaldo Forlani. Ma tutta la classe dirigente prese atto che al Paese era necessaria una Protezione civile permanente, in grado di mobilitarsi immediatamente in caso di disastro o di emergenza. «Ci voleva la tragedia grossa per fare la Protezione civile» dice Zamberletti raccontando quella che è stata la sua esperienza più difficile, e che più lo ha segnato dal punto di vista umano. Anche grazie a una fortissima solidarietà internazionale, dai francesi agli americani, si concentrarono sui luoghi colpiti dal terremoto migliaia di volontari, ma nessuno riuscì a cancellare il disastro dei primi giorni di inerzia, che costarono la vita a non poche persone, che evidentemente potevano essere salvate. Zamberletti requisì di nuovo le roulotte, e coinvolse i sindaci del posto per far loro gestire la prima fase di ricostruzione coi prefabbricati.
Per testimoniare quella prima fase di efficienza - i disastri e le ruberie sarebbero arrivate in seguito - Zamberletti mi regala un libro fotografico di Simonetta Scalfari, moglie di Eugenio, che immortalò quei mesi nelle sue fotografie.
L’impegno di Zamberletti in Irpinia durò fino alla fine del 1981, quando tutti i sopravvissuti del terremoto ebbero un tetto sotto cui dormire. Ma quell’anno fu per Zamberletti un anno di dolore e di scoperte. Assistette a un funerale in un paesino dell’Irpinia in cui la metà dei sopravvissuti seppellì l’altra metà che non ce l’aveva fatta. Trascorse un intero anno volteggiando con l’elicottero sui paesi distrutti, parlando con i cittadini e con gli amministratori locali, e conoscendo persone straordinarie come il sindaco di Napoli Maurizio Valenzi, che un giorno gli telefonò arrabbiato e gli disse: «Commissario, devo vederti subito, qui le cose non vanno affatto!». Ma quando Zamberletti vide davanti a sé Valenzi, e gli chiese la ragione di quella lamentela, Valenzi gli rispose: «No, Zamberletti, le cose vanno bene. che non ce la facevo più. La mia stanza era piena di persone che urlavano. Avevo persone anche in piedi sulla scrivania. Avevo bisogno di prendermi un caffè per rilassarmi».
Zamberletti in quei giorni era scortato, perché erano giorni di camorra e di terrorismo, anche se l’ex commissario mi confessa che sequestrarlo o ucciderlo non sarebbe convenuto a nessuno, perché era molto popolare. E poi era circondato da dodici poliziotte - «perché le donne sono più serie degli uomini» - che verbalizzavano ogni suo incontro e ogni suo colloquio; e fu proprio quest’abitudine a impedire agli affaristi o ai camorristi di avvicinarlo. Alla fine, nonostante la lentezza degli inizi, il Sud colpito dal terremoto si rimise in piedi; e anche se nessuno volle lasciare il proprio paese, temendo diaspore mai più sanabili, il terremoto segnò comunque in profondità i paesi colpiti, che da quel giorno in poi non somigliarono più a quel che erano stati in precedenza. A partire dal 1982, nei due governi presieduti da Giovanni Spadolini, e nei successivi governi di Bettino Craxi, Zamberletti fu nominato ministro senza portafoglio della Protezione civile. E fu proprio grazie all’impegno di Zamberletti che nel 1992 si arrivò alla definizione di una Protezione civile autonoma, svincolata dai ministeri dei Lavori pubblici e dell’Interno, affinché operasse in autonomia sul fronte della prevenzione, della previsione e della prima fase della ricostruzione. Ci sono voluti però migliaia di morti prima di arrivare a questo risultato.
Zamberletti, con la voce grassa e il piglio deciso, mi offre, tossendo, una sigaretta. Lo guardo bene e mi accorgo che ho davanti a me un signore in doppiopetto della vecchia Democrazia cristiana. Gli chiedo se non gli faccia male fumare a settantasette anni. «Ora fumo poco. Ma in quei giorni del 1980 non mi regolavo. Ero famoso anche perché avevo sempre una sigaretta in bocca». Gente tosta come Zamberletti non ce n’è tanta in circolazione. E Guido Bertolaso viene da questa scuola, al di là degli scandali e delle polemiche di questi ultimi giorni.
Infine, Zamberletti lancia una proposta dalle colonne del Riformista: «Facciamo in modo che l’Italia possa prendere in mano l’Organizzazione per la Protezione civile dell’Onu, che attualmente è abbandonata a se stessa, e ridotta a un’organizzazione di appena tre uffici. Prendiamola in mano noi italiani. Abbiamo l’esperienza giusta per farlo».