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 2010  febbraio 16 Martedì calendario

1936: LE OLIMPIADI NAZISTE DI UN FHRER POCO SPORTIVO

Ho visto recentemente il film di Leni Riefensthal dedicato alle Olimpiadi di Berlino del 1936. Mi sono sempre chiesto non solo come la Germania abbia potuto preparare un tale dispendioso apparato a pochi anni dalla presa del potere di Hitler, ma soprattutto, perché il Comitato Olimpico Internazionale scelse la candidatura tedesca. In tal modo non fece altro che dare l’occasione al nazismo di sfruttare una scena che lo poneva all’attenzione del mondo.
Giovanni Ghio
giovannighio@ virgilio.it
Caro Ghio, la Germania si era candidata da qualche anno ed era stata scelta dal Comitato Olimpico Internazionale nel 1931, quasi due anni prima dell’avvento di Hitler al potere nel gennaio 1933. Tutti sapevano che sarebbe stata perfettamente in grado di accogliere i Giochi. La guerra e le crisi avevano messo a dura prova la sua economia e la sua società, ma il Paese era ancora, sul piano tecnologico e scientifico, uno dei più avanzati dell’Occidente. Ne dette la prova, tra l’altro, installando negli stadi quattordici unità mobili create da Telefunken e Daimler-Benz per diffondere le gare in venticinque sale di spettacolo.
Alle altre domande della sua lettera ha già risposto in buona parte Paolo Mieli in un lungo articolo apparso sul Corriere della Sera del 1° novembre 2009 in occasione della pubblicazione di un libro edito da Corbaccio su «Le Olimpiadi dei nazisti». L’autore, David Clay Large, ricorda che le associazioni ebraiche americane fecero del loro meglio per evitare la partecipazione degli Stati Uniti, ma si scontrarono con l’indifferenza del governo e con il pregiudizio antiebraico di larghi settori della società americana ed europea fra cui Avery Brundage, presidente del Comitato olimpico americano, e il presidente del Comitato svedese Sigfrid Edstrøm. In molti ambienti conservatori nazismo e fascismo sembravano in quegli anni la risposta migliore al comunismo sovietico e alla «inettitudine» delle democrazie parlamentari. Prevalse inoltre l’agnosticismo politico di una parte del mondo sportivo, deciso a evitare che qualsiasi altra considerazione impedisse l’organizzazione dei giochi.
In ultima analisi le Olimpiadi furono un successo organizzativo e giovarono all’immagine di una Germania organizzata ed efficiente che Hitler voleva dare del Paese sulla scena internazionale. Paradossalmente, tuttavia, Hitler, a differenza di Mussolini, non era sportivo. Mentre questi amava esibire il proprio fisico e guidare automobili, pilotare aerei, cavalcare destrieri e tirare di scherma, il piccolo caporale austriaco non voleva neppure fare esercizi fisici. Quando fu incarcerato, dopo il fallito putsch di Monaco (1923), e cominciò a ingrassare, un amico gli consigliò qualche esercizio sportivo. Indignato, rispose: « fuori discussione. (...) Un Führer non può correre il rischio di essere battuto dai suoi seguaci in qualche competizione, compresa la ginnastica o dei giochi qualsiasi». Ma in «Mein Kampf» raccomandò ai giovani un’ora di addestramento fisico al mattino e una al pomeriggio «in modo da coprire ogni tipo di sport e di esercizio ginnico». Dopo la conquista del potere nel 1933, comunque, non tardò a intuire che i grandi Giochi Olimpici di Berlino, programmati per il 1936, si sarebbero prestati a una grande operazione di regime. Come scrive David Clay Large, i tecnici del Comitato olimpico tedesco, con la regia di Leni Riefenstahl, prepararono minuziosamente il trasferimento della fiamma olimpica dalla Grecia a Berlino. Il problema non era soltanto logistico. Si voleva gettare un ponte tra la Germania e l’Antica Grecia, dare una base storica e spirituale al neopaganesimo che sarebbe stato da quel momento la vera religione del Reich.
Sergio Romano