Maria Luisa Agnese, Corriere della Sera 16/02/2010, 16 febbraio 2010
IL CAPRICCIO DELLA WINTOUR RISVEGLIA IL MADE IN ITALY - E
chissà che, alla fine di tutta la girandola, non dobbiamo ringraziarla la terribile Anna Wintour, potente direttrice di Vogue America nonché diavolessa della moda mondiale. Sì, perché è vero che in un primo tempo il suo «capriccio», e cioè la richiesta irricevibile di rivoluzionare il calendario sfilate per dare modo a lei di restare in Italia il minor tempo possibile, solo tre giorni, ha messo in ginocchio il mondo degli stilisti italiani che, a differenza dei più orgogliosi francesi, si sono piegati al diktat arrivando a concentrare anche 18 sfilate al giorno pur di avere il Diavolo veste Prada in prima fila ad applaudire – perlopiù blandamente – le loro fatiche. Ma poi, piano piano, le coscienze si sono risvegliate e quello che sembrava un saporito fenomeno di costume al limite del gossip è stato valutato nella sua reale portata di allarme per il sistema Paese, perché la moda non è uno scherzo, o un problema di umori emalumori, ma una realtà economica di eccellenza italica che coinvolge in un unico abbraccio grandi star e piccole industrie, e interessa una miriade di nicchie sparse a macchia di leopardo per l’Italia, fatte di pregio, artigianalità e innovazione, e che come tale va difeso, sostenuto, rilanciato. Un settore, quello della moda, che rappresenta il 4 per cento del Pil, in cui lavorano 57 mila aziende con circa 65 mila addetti, con una quota di export del 51 per cento.
Una presa di coscienza cominciata con Diego Della Valle che, per quanto da «outsider» (perché i suoi marchi non sfilano), ha gettato in campo il suo peso di imprenditore per ricordare che «il problema non è l’arroganza di chi chiede ma la debolezza di chi risponde. Ci si è messi d’accordo con quattro telefonate e ora 30-40 mila persone debbono subire questa decisione, da cui dipende a volte la loro stessa sopravvivenza». Una chiamata in causa delle aziende più forti, che hanno il dovere di sostenere il made in Italy allargato. «Se fossi il sindaco di Milano chiederei qualche spiegazione» concludeva della Valle, e il giorno dopo anche Letizia Moratti rispondeva infine all’appello per ricordare quanto sia necessario oggi più che mai onorare quel «fare squadra, fare sistema» che a dirlo sembra l’uovo di colombo ma, a metterlo in pratica, chissà perché, è assai più difficile.
Garantire, insomma, non solo i grandi ma anche i grandi (perché no?) nomi dell’indotto. Luisa Todini, presidente del Comitato Leonardo e Santo Versace, presidente della Fondazione Altagamma, i due organismi che difendono le eccellenze italiane, hanno parlato del bisogno di ritrovare l’orgoglio nazionale e la fiducia in se stessi, quelle caratteristiche che hanno fatto grande il made in Italy in passato, e che servono ora per affrontare, insieme, grandi emeno grandi, la sfida del futuro. Mentre il sindaco Moratti ha annunciato che il Comune di Milano sta lavorando a un calendario di eventi per le sfilate di settembre molto forti, «per consentire ai giornalisti stranieri di essere interessati a rimanere 7 giorni». Finalmente: in quei giorni la città deve essere attraente, capace di attrarre, ma non solo, di trattenere e intrattenere i professionisti che dal mondo arrivano per la moda. In uno sforzo a 360 gradi e corale.
E’ in questo senso che alla fine, forse, dovremmo ringraziare lo «schiaffo» di Anna, e la sua guerra dei tre giorni. Sperando che questa volta la lezione serva davvero.
Maria Luisa Agnese