Michela Proietti, Corriere della Sera 16/02/2010, 16 febbraio 2010
SEPARAZIONI RECORD IN PIEMONTE: DAL GIUDICE 4 COPPIE SU 10
«Per far funzionare una coppia bisogna mordere l’aglio e dire che è dolce». La nonna della torinese Luciana Littizzetto spiegava così l’elisir di lunga vita per un matrimonio. «Che orrore pensavo quando ero giovane, ma adesso capisco che è vero, certe volte bisogna lasciar stare, non rompere» dice la comica torinese.
Evidentemente però, di quell’antico buonsenso, in Piemonte non ne è rimasta traccia: secondo i dati diffusi dal ministero della Giustizia relativi al primo semestre del 2009 e pubblicati ieri dal Sole 24 Ore, sono proprio i conterranei della Littizzetto ad avere la minor «tenuta» quando si parla di unioni. Nel Centro Nord ci si separa di più che al Sud e la «performance» peggiore è proprio quella del Piemonte (associato alla Val d’Aosta nella rilevazione), con 418 istanze di separazione ogni mille nozze: in pratica, una separazione ogni tre matrimoni. I più longevi sono invece i lucani, con 138 domande ogni mille matrimoni, ma anche siciliani (223 istanze), calabresi (191) e campani (189) si impegnano nel mantenere unita più a lungo possibile la coppia.
La forbice tra Nord e Sud stavolta premia il Meridione: la tempra sabauda vacilla per prima davanti alle difficoltà matrimoniali. Torinesi meno «falsi e cortesi», più chiari e disincantati. Stabilire come si è passati dalla stoica comprensione all’insofferenza moderna, non è semplice per gli stessi interessati. «Deve essere accaduto qualcosa nel frattempo che non è stato messo a fuoco – dice con ironia lo scrittore torinese Giuseppe Culicchia. «Un po’ come quando il vecchio sceriffo, nel libro di McCarthy Non è un paese per vecchi si ferma a riflettere su cosa è successo nella scuola dove prima gli studenti al massimo attaccavano il chewing gum sotto il banco e ora ci sono i metal detector. Qualcosa di inspiegabile, ma fondamentale, è accaduto».
Perbenismi tramontati, sentimenti immolati in nome della libertà, vecchie solidità ormai archiviate come tradizioni del passato. Di tutto un po’. Ma soprattutto l’affermazione sempre meno timida di un carattere più pragmatico che altrove. «Se penso ai libri di Pavese, all’attaccamento alla proprietà della gente delle sue Langhe, ritrovo il tratto caratteriale di tanti piemontesi: un materialismo figlio della voglia di fare e di produrre, dove il possesso delle cose diventa più importante del resto. Io che sono metà siciliano e metà torinese posso dirlo senza essere accusato di partigianeria: al Sud il motto di don Vito Corleone, "La famiglia prima di tutto", non è ancora passato di moda».
Michela Proietti