Giuseppe De Rita, Corriere della Sera 16/02/2010, 16 febbraio 2010
TUTTO IL POTERE AI CAPI LOCALI: E’ IL NUOVO PARTITO «CONFEDERALE»
Negli ultimi mesi, di fronte alle oggettive costanti difficoltà del Partito democratico, ho avuto spesso la tentazione un po’ narcisistica di ripubblicare, a passata memoria, un mio articolo apparso sul Corriere del 4 febbraio 2006. Vi esprimevo la certezza che quel partito sarebbe nato male, visto che non aveva un retroterra ideologico, una specifica identità (democratico… Poi?), un blocco sociale di riferimento, un programma, una idea di nuova forma-partito, una logica di organizzazione interna (le primarie… E poi?).
L’entusiasmo con cui si procedette a crearlo mi sembrava nascondere una quasi certa fuga nel nulla. Quella voglia di autocitazione si è lentamente attenuata, non solo perché il narcisismo decade, come l’eco; ma perché la situazione politica è radicalmente mutata, per opera di un accelerato processo di sfarinamento di ogni realtà o ipotesi di tradizionale forma-partito; un processo che colpisce tutte le formazioni politiche in campo (anche l’apparentemente granitico Pdl) e che è destinato ad accentuarsi in modo spietato in occasione della prossime elezioni regionali. Se andiamo a vedere cosa è successo e sta succedendo nella loro preparazione, troviamo una inattesa novità: vincono i «cacicchi», capi e capetti locali, quelli che lo sono già effettivamente e quelli che pensano di avere abbastanza carisma per diventarlo. I leader nazionali abbozzano, visto che anche quando cercano di contrastarli con candidati alternativi devono battere in ritirata (capita a Bersani come a Berlusconi) rivelando una congenita debolezza delle opzioni centrali rispetto al potere espresso dalla periferia. Non è una dinamica destinata a rientrare. Quando fra un anno le forze politiche cominceranno a pensare come presentarsi alle elezioni del 2013, si troveranno di fronte alla prospettiva di dover puntare più su una confederazione di leader locali che su una compatta immagine e macchina di partito nazionale. Dovranno cioè costruire la loro macchina da guerra mettendo insieme governatori regionali forti, sindaci forti, battitori liberi forti (se farà scuola il caso Bonino). Certo una figura di riferimento unitario dovranno garantirsela (a sinistra devono trovarla, e a destra forse pure) ma sarà solo una figura di marchio, brand, logo: non sarà un capo partito tradizionale; non potrà esercitare una leadership di vertice; avrà un potere più relazionale che gerarchico; gestirà un collettivo politico non un apparato organizzativo. Verosimilmente non potrà venire dall’ormai usurato notabilato della politica e forse neppure un novello protagonista della fantomatica società civile potrebbe essere riconosciuto e legittimato da tutte le diverse periferie. Servirà solo uno che ci metta la faccia e che sconti la frustrazione di non poter essere un comandante. Sotto di lui una organizzazione più leggera che nel passato, che abbia un doppio ruolo: quello di sostenere la rete relazionale dei capi periferici, facendone il veicolo per le opportune convergenze programmatiche, nazionali e internazionali; e quello di elaborare linee di cultura collettiva (servono, anche nella generalizzata crisi delle ideologie) in cui le realtà locali possano riconoscersi. infatti nell’ordine delle cose che chi farà da riferimento unitario ai cacicchi locali (magari potrebbe essere addirittura uno di loro, come talvolta avviene negli Usa) abbia bisogno di non apparire troppo coinvolto dai radicamenti territoriali. Comunque è verosimile che non ci sia più spazio per la forma-partito come l’abbiamo conosciuta in tutto il secondo dopoguerra. La sua crisi che nel 1992-93 era apparsa come una acuzie, picco di malattia da cui si poteva uscire con una conferma del modello (magari adeguatamente ridisegnato con primarie e predellini) si è rivelata il detonatore di un passaggio davvero radicale: da partito totalizzante a partito nei fatti federale. Per una delle sommerse ironie attraverso cui evolve spesso questo Paese, stiamo facendo maturare non uno Stato federale ma dei partiti confederali; e i secondi renderanno probabilmente superato il primo. Come sempre la realtà sopravanza la volontà, anche la più determinata.
Giuseppe De Rita