Sergio Rizzo, Corriere della Sera 16/02/2010, 16 febbraio 2010
DA FIVIZZANO AL POTERE. LA GALASSIA DI DENIS UOMO-CHIAVE PDL
Ricco, è ricco. Qualche anno fa Denis Verdini ha fatto irruzione con 846 mila euro nella top ten dei deputati più facoltosi guidata da Silvio Berlusconi, dietro a Nicolò Ghedini, Giulio Tremonti, Gaetano Pecorella... I fedelissimi, insomma.
Come abbia fatto a entrare nella guardia pretoriana del Cavaliere è presto detto. Ce lo ha portato il suo compaesano Sandro Bondi. Com’è andata ha spiegato lo stesso Verdini: un giorno del 2002 si sono ritrovati vicini di banco per una vicenda assolutamente fortuita. Il presidente della Camera Pier Ferdinando Casini l’aveva espulso dall’aula incolpandolo di aver votato anche per il suo collega di partito Sabatino Aracu. E quando è rientrato è finito al primo banco. Con il risultato che adesso Fivizzano, paese di 9.174 abitanti in Provincia di Massa Carrara, può vantarsi di aver dato i natali a ben due dei tre coordinatori del Popolo della libertà. Entrare però è un conto, restarci un altro. E se Verdini non soltanto ci è rimasto, ma è diventato sempre più ingombrante, un motivo ci sarà.
I soprannomi si sprecano. Alberto Statera ha raccontato su Repubblica che lo chiamavano anche «il berluschino toscano » . Ma a quanto pare è più conosciuto come «il gioioso tagliatore di teste». Avendo l’ingrato compito di scremare candidature e poltrone, dentro il partito di Berlusconi non si è fatto molti amici, prima e dopo le elezioni. Almeno però, come ha detto lui stesso un giorno, è riuscito a mettere il cento dentro il dieci. Come ha fatto? Semplice: usando l’edizione aggiornata e corretta del vecchio manuale attribuito al democristiano Massimiliano Cencelli, che per almeno trent’anni aveva regolato la lottizzazione, dai posti di governo agli strapuntini di sottogoverno. Ribattezzato, per questo, nientemeno che «manuale Verdini». E pazienza se per quel manuale qualcuno che aspirava a un ministero s’è dovuto accontentare di un semplice posto da sottosegretario. Aggiungete che è stato l’inventore dei gazebo e ha dato un contributo fondamentale a far passare le liste bloccate, il meccanismo elettorale in base al quale deputati e senatori non sono eletti ma nominati, e capirete perché oggi Verdini per il Cavaliere sia imprescindibile.
C’è da dire che non veniva dal nulla. l’editore dell’inserto toscano del Giornale della famiglia Berlusconi. Alla fine degli anni Novanta è diventato anche azionista al 15 per cento del Foglio di Giuliano Ferrara, una quota inferiore soltanto a quella del 38 per cento posseduta dalla moglie del premier Veronica Lario, al secolo Miriam Bartolini. Da vent’anni, poi, è ai vertici del Credito cooperativo fiorentino di Campi Bisenzio. E a molti sarebbe passata la voglia, dopo quello che gli è capitato. Un’accusa di molestie a una cliente, dalla quale l’onorevole Verdini (nel 2001 era già deputato) è stato prontamente scagionato: i testimoni confermarono che si trovava in chiesa, a un funerale.
Soprattutto, però, dalla sua ci sono i meriti politici acquisiti sul campo. Perché quelli nessuno glieli può togliere. Certo, non si può dire che sia uno stakanovista di Montecitorio. Dall’inizio della legislatura ha marinato addirittura il 57% delle votazioni. Senza provare eccessivi rimorsi. «Non brillo per presenze», ha ammesso. Ma sul territorio è un vero mastino. A Siena, per esempio, ha scavato gallerie più abilmente di una talpa nel tentativo di far franare il potere diessino.
Quando il precedente sindaco ex Pci Pierluigi Piccini si è ripresentato nel 2006 contro il suo vecchio partito, con una lista civica che prendeva il nome del circolo culturale la Mongolfiera insieme all’ex capo del Sisde Vittorio Stelo, è corsa la voce che dietro di lui ci fosse proprio Verdini. «Piccini, con Tremonti e soprattutto con Berlusconi, ha un obiettivo chiaro: scalare la città e il Monte dei Paschi», insinuava il segretario della Quercia Franco Ceccuzzi, futuro deputato. Piccini smentiva ma la voce correva. E più smentiva, più correva. Anche perché qualcun altro la lasciava correre. Voci velenose, come quelle che lo indicavano come un personaggio legato ad ambienti della massoneria, anche queste smentite dal diretto interessato con l’annuncio di querele. Fra veleni e sospetti, il potere diessino alla fine ha retto. Ma nella rossissima Siena qualcosa il plenipotenziario azzurro ha portato comunque a casa. Un posticino nella fondazione del Monte dei Paschi, ossia la scatola che controlla la grande banca senese, per Enrico Bosi, ex giornalista della Nazione ed ex consigliere regionale di Forza Italia. Se non ci fosse il manuale Verdini...
Sergio Rizzo