Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 15/02/2010, 15 febbraio 2010
PERCH COS DIFFICILE INSEGNARE L’ AMOR DI PATRIA
Sono un quindicenne e scrivo per domandarle se in Italia esiste ancora quel valore importante che ci lega, il senso patriottico. I miei nonni si sentono, nonostante le vicende negative che caratterizzano il nostro Paese, legati all’ Italia: per essa darebbero anche la vita nonostante la loro anzianità. Quando me lo hanno detto, io mi sono domandato: «Che cosa li spinge a dire che morirebbero per un Paese con tanti problemi come il nostro?». E così ho iniziato a chiedermi che cosa darei io per la Patria. Non sono pronto a dirlo perché a scuola queste cose ormai non ce le insegnano più; non ci insegnano ad amare l’ Italia; non ci insegnano a sentirci tutti fratelli sotto la stessa bandiera. Secondo lei che cosa si dovrebbe fare per riportare alla luce un valore come «l’ amor di patria», come lo definiscono i miei nonni?
Marco Rapaccini
rainbowsix27@ hotmail.it
Caro Rapaccini, l’ amor di patria si apprende nelle scuole, oltre che nelle famiglie, ed è il risultato del modo in cui gli insegnanti raccontano la storia nazionale. Nel 1878, l’ anno della morte di Vittorio Emanuele II e di altre sventure nazionali (fra cui due attentati anarchici), il maestro di aritmetica di una scuola italiana dette ai suoi alunni questo compito: «Per la morte del magnanimo re è stato proposto d’ innalzare un monumento per offerte, raccogliendo lo scudo del ricco e il centesimo del povero. Fissandosi la spesa di Lire 3.240.000, quanto dovrebbe offrire l’ uno per l’ altro ciascuno dei 27 milioni di abitanti d’ Italia?». Tutte le maggiori città italiane, da quel momento, cominciarono a fare progetti per la costruzione di un monumento equestre al padre della patria. L’ episodio è raccontato da Umberto Levra in un libro pubblicato parecchi anni fa dal Comitato di Torino per la storia del Risorgimento italiano («Fare gli italiani. Memoria e celebrazione del Risorgimento»). Mi rendo conto che iniziative scolastiche di questo genere sarebbero oggi impossibili. So che la retorica della patria, se offerta agli allievi da una cattedra scolastica, sembrerebbe assurda e risibile. Ma ho sperato per molto tempo che la scuola sarebbe riuscita a raccontare la storia nazionale con una giusta combinazione di rispetto per i fatti, entusiasmo per i successi ottenuti, pietà e spirito critico. Sarebbe assurdo oscurare le pagine peggiori, dalle guerre civili alla disfatta, dagli scandali al terrorismo e alla criminalità organizzata. Ma sarebbe altrettanto assurdo non raccontare ai giovani che nei centocinquant’ anni della sua storia l’ Italia è diventata anzitutto una potenza occidentale e successivamente, nonostante la sconfitta, un membro fondatore della Comunità europea e la sesta o settima economia mondiale. accaduto invece che, soprattutto dopo gli anni Sessanta, cominciasse ad apparire nei libri di testo una visione ideologica della storia nazionale: il ritratto di un Paese continuamente diviso fra un «bene» generoso ma impotente, e un «male» invincibile. Accade anche, per fortuna, che gli italiani abbiano di tanto in tanto un sussulto di orgoglio nazionale. Ma questo succede generalmente quando leggono sulla stampa straniera un giudizio negativo sul loro Paese. Dimenticano che quel giudizio negativo è generalmente «made in Italy» e viene esportato da qui nel resto del mondo.
Sergio Romano