Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  febbraio 15 Lunedì calendario

SU ATENE L’EFFETTO WALL STREET, ACCUSE A GOLDMAN - L’

Europa economica e la moneta unica sono sempre state oggetto di battute sarcastiche e atteggiamenti di sufficienza da parte dei banchieri di Wall Street, convinti che l’ euro fosse la finta valuta di un’ area fragilissima, afflitta da contraddizioni interne che nessuno voleva o poteva affrontare. La crisi greca che minaccia l’ euro avrebbe potuto essere, per loro, un momento di rivincita. Invece oggi anche la comunità finanziaria Usa è attonita davanti alla nuova slavina nella Ue. Lo è perché in un sistema finanziario sempre vulnerabilissimo le convulsioni dell’ euro possono avere conseguenze gravi anche per l’ America e le sue banche, ma anche perché le indagini sui comportamenti dei governi greci che si sono alternati al potere nell’ ultimo decennio fa emergere un’ altra «verità sconveniente»: Atene ha truccato i suoi conti pubblici col fattivo contributo di alcune delle più prestigiose istituzioni di Wall Street. Del ruolo giocato da grandi banche d’ affari si era già cominciato a parlare da tempo in Europa, e soprattutto sulla stampa tedesca. Del resto sappiamo già da parecchi anni che alcuni dei Paesi più indebitati dell’ area dell’ euro, Italia inclusa (ma qui parliamo soprattutto di enti locali), sono stati aiutati in passato da alcuni grandi istituti a migliorare l’ aspetto dei loro conti con varie operazioni di «maquillage» contabile (cartolarizzazioni e altri operazioni di finanza derivata). Secondo un’ inchiesta pubblicata ieri dal «New York Times», però, nel caso della Grecia la Goldman Sachs è andata molto oltre l’ «assistenza cosmetica»: a partire da dieci anni fa la banca ha fornito a quel governo alcuni degli strumenti coi quali è stata occultata una parte del debito pubblico. E ancora tre mesi fa, quando la crisi stava per scoppiare, una delegazione della Goldman guidata da uno dei suoi più alti dirigenti (il «president» Gary Cohn) è andata ad Atene a proporre uno strumento finanziario innovativo col quale «far sparire» il debito sanitario greco, trasferendone l’ onere in un futuro remoto: stavolta il nuovo governo socialista, deciso a far emergere le responsabilità dell’ amministrazione precedente, ha rifiutato l’ «escamotage». E la crisi è esplosa. Dalla ricostruzione del quotidiano emerge che alle enormi responsabilità dei governi greci e dell’ istituto statistico di Atene che non ha respinto le ingerenze dei politici decisi a edulcorare le cifre dell’ economia ellenica, vanno aggiunte quelle delle banche che fin dal 2001, all’ indomani dell’ ammissione della Grecia nell’ Unione monetaria europea, hanno aiutato Atene ad ottenere nuovi, ingenti prestiti. Operazioni mascherate da transazioni valutarie («currency swap») con le quale il governo greco ha creato una sorta di contabilità fuori bilancio analoga a quelle degli investimenti in «titoli tossici» delle grandi banche Usa che, due anni fa, ha spinto nel baratro l’ intero sistema finanziario di Wall Street. Mentre cerchiamo ancora faticosamente di uscire dalla recessione globale innescata da quella crisi, scopriamo che operazioni altrettanto destabilizzanti (non illegali ma certamente molto spregiudicate) sono state organizzate da banche affamate di provvigioni anche a livello di debito pubblico degli Stati. La transazione del 2001 col governo greco, secondo il «Times», ha fruttato alla Goldman Sachs 300 milioni di dollari. Colpisce che scelte così azzardate siano venute da quella che è stata sempre considerata la banca più affidabile e «illuminata», l’ istituto che ha allevato molti dirigenti poi divenuti brillanti uomini di governo, da Bob Rubin, mente economica della presidenza Clinton, a Henry Paulson, ministro del Tesoro di George Bush, che era amministratore delegato della Goldman ai tempi delle transazioni concluse col governo greco. Oltre a Goldman, il «Times» tira in ballo altre banche, soprattutto la JP Morgan Chase, l’ istituto storicamente più vicino al Tesoro Usa nei momenti più difficili: da quello del finanziamento delle guerre al salvataggio della Bear Stearns (rilevata nel marzo 2008 dall’ istituto guidato da Jamie Dimon, dopo le forti pressioni del governo e della Federal Reserve). Il giornale americano scrive che, oltre alla Grecia, anche Italia e altri Paesi si sono serviti delle prestazioni di queste banche a fini di cosmetica contabile, ma in concreto, nel caso del nostro Paese, cita solo un caso vecchio di 15 anni: un’ operazione di «currency swap» realizzata da Jp Morgan nel 1996 quando l’ Italia, avviata sul sentiero dell’ euro, aveva interesse a dare un’ immagine meno allarmante dei suoi conti. Ma erano anche tempi in cui, con un’ economia ancora basata sulla lira, poteva essere più giustificato il ricorso a strumenti derivati per proteggersi dai rischi di oscillazioni dei cambi.
Massimo Gaggi