Armando Massarenti, Il Sole-24 Ore 14/2/2010;, 14 febbraio 2010
TWAIN E LE CASCATE INFORMATIVE
Un corollario della più famosa delle battute di Mark Twain – «la notizia della mia morte è alquanto esagerata» – è quella che definisce«il giornalista»come «colui che distingue il vero dal falso... e pubblica il falso».D’accordo,non è così irresistibile, ma rende l’ideadeltenore di buona parte degli scritti, per lo più inediti, contenuti in questo aureo libretto sulla Libertà di stampa, pieno di episodi paradossali e grotteschi di cui è protagonista lo stesso scrittore, nei panni dell’opinionista o del direttore di improbabili testate. Ma quei paradossi sono anche spie di verità che oggi ci appaiono ancora più attuali di allora.
Si prenda il primo di questi scritti, in cui «la libertà di espressione» viene definita come un «privilegio dei morti», una prerogativa di cui da vivo nessuno realmente gode. Tantomeno i giornalisti. Un’iperbole, un’esagerazione? Sì, ma che contiene un’intuizione profonda, oggi assai chiara a psicologi, scienziati sociali, teorici dei giochi, studiosi del web. La libertà di parola, dice Mark Twain , è un privilegio simile all’omicidio: questo «è a volte punito; la libertà di parola lo è sempre ”quando viene esercitata. Il che è raro». Siamo sempre sul piano della battuta, ma non è umorismo fine a se stesso, né l’espressione di un facile,per quanto controcorrente, moralismo. «Questa riluttanza a esprimere opinioni impopolari è giustificata: il prezzo da pagare è molto alto, può comportare la rovina economica di un uomo, può fargli perdere gli amici, può esporlo al pubblico ludibrio e alla violenza, può condannare all’emarginazione la sua famiglia innocente e rendere la sua casa un luogo desolato, disprezzato ed evitato da tutti». questo che ci rende tutti molto più conformisti di quanto vorremmo. E molto meno sinceri. Ma non facciamo i moralisti. Cerchiamo piuttosto di capire perché questo accade così sistematicamente. «Il risultato naturale di questa condizione – scrive Mark Twain – è che, consciamente o inconsciamente, prestiamo più attenzione ad accordare le nostre opinioni con quelle del nostro vicino e a mantenere la sua approvazione, piuttosto che a esaminarle con scrupolo per vedere se siano giuste e fondate».
Ciò non vale solo per le opinioni, ma anche per valori, norme, comportamenti. Prendiamo una classica situazione scolastica. L’insegnante, alla fine di una lezione, chiede se ci sono domande. Tutti sono abbastanza confusi, ma nessuno alza la mano. Tutti hanno paura di fare brutta figura, ma, soprattutto, ognuno sta pensando di essere l’unico ignorante e confuso e sta sopravvalutando le capacità altrui. partendo da situazioni come queste che i teorici dei giochi hanno studiato l’insorgere di norme, comportamenti, opinioni che sembrano maggioritarie e condivise, ma che in realtà sono frutto di illusori rispecchiamenti. Le norme perverse che fanno insorgere la corruzione, per esempio, non suscitano quasi mai la convinta approvazione da parte di chi le abbraccia. Osservando bande giovanili, scuole, prigioni, chiese, si è capito che questi gruppi sono tenuti insieme da una variegata condivisione di valori, che vanno dai comportamenti violenti delle bande giovanili ai divieti di giocare a carte, di bere alcol o di avere rapporti extraconiugali predicato dai gruppi religiosi. Si è notato che però, entro questi gruppi, ogni individuo pensa che i propri pari siano attaccati a quei valori e comportamenti molto più di quanto lo sia egli stesso. I membri delle bande giovanili, intervistati singolarmente, spesso prendono le distanze dai propri comportamenti antisociali. Ma poiché non osano criticare pubblicamente i loro compagni, questi li considerano perfettamente in linea con le usanze del gruppo. Allo stesso modo, in una comunità in cui si sia sviluppata una certa propensione al razzismo, si è potuto vedere che buona parte dei membri nutre molti meno pregiudizi di quanto appaia; ma, pensando gli altri come più razzisti di quel che sono, tutti tendono ad aderire agli stessi pregiudizi. «Il movimento antischiavista – scrive acutamente Mark Twain ”, quando ebbe inizio nel Nord, tre quarti di secolo fa, non suscitò nessuna simpatia. La stampa, il clero e la grande maggioranza delle persone rimasero indifferenti. Questo accadde per timidezza, per paura di esprimersi e diventare impopolari, non perché si approvasse la schiavitù o non si avesse pietà per gli schiavi». Il fatto è che, in realtà, «nel cuore di ogni uomo si cela almeno un’opinione impopolare sulla politica o sulla religione, e in molti casi se ne trova ben più di una.Più l’uomo è intelligente,maggiore è la quantità delle opinioni di questo tipo che ha e che tiene per sé. Non c’è individuo – compreso il lettore e me stesso – che non nutra convinzioni impopolari, che coltiva e accarezza, ma che il buon senso gli vieta di esprimere ». Mark Twain a questo punto consigliava di scriverle in un diario perché a beneficiarne fossero almeno i posteri. Oggi i teorici dei giochi ci dicono che a volte bastano poche informazioni ben assestate per risvegliare timide ma virtuose «maggioranze silenziose », o per rovesciare le più scroscianti e conformiste «cascate informative».