Sergio Luzzatto, Il Sole-24 Ore 14/2/2010;, 14 febbraio 2010
MIRACOLI DI FEDE E SCIENZA
Quando mile Zola visita Lourdes, durante l’agosto del 1892, e riempie di appunti un quaderno di viaggio con l’intenzione di dedicare tutto un romanzo alla città dei miracoli cresciuta nei Pirenei, la "spiegazione filosofica" del libro a venire risulta già chiara nell’animo suo: «Non sono credente, non credo ai miracoli, ma credo al bisogno del miracolo per l’uomo». «Se le visioni di una ragazzina nervosa hanno fatto sbocciare una città dal suolo, hanno fatto piovere i milioni, hanno condotto qui popoli interi, è perché rispondevano all’immenso bisogno di meraviglioso che ci divora, alla necessità che abbiamo di essere ingannati e consolati ».
Due anni più tardi, pubblicando il romanzo intitolato Lourdes , Zola metterà in scena proprio questo. L’esplosione di un culto di massa dopo le apparizioni della Vergine, nel 1858, alla pastorella analfabeta Bernadette Soubirous. La fenomenale rivincita del sacro in un secolo e in una nazione che si erano potuti pensare di-sincantati. E Zola – fresco di trionfo letterario con la conclusione del ciclo sui Rougon-Macquart – conoscerà un rinnovato successo presso il pubblico della Francia laica, rappresentando Lourdes come la capitale di una gigantesca intossicazione collettiva. Pellegrinaggi "nazionali" abilmente organizzati da preti-imprenditori; mobilitazione ferroviaria per trasportare nei Pirenei, ogni anno, centinaia di migliaia di infermi; processioni verso la Grotta della fonte miracolosa, immersioni dei malati nelle vasche d’acqua benedetta, "constatazioni" mediche di guarigioni poco verificate e poco verificabili; commercio della più diversa paccottiglia religiosa: alla Francia anticlericale e scientista, Zola non farà mancare nulla...
Il soggiorno dello scrittore a Lourdes,nell’ultima decade di agosto del 1892, corrisponde alla fase istruttoria del futuro giudizio di condanna. Esplorando il borgo pirenaico in lungo e in largo, raccogliendo dati statistici sull’afflusso dei pellegrini, discutendo con i sacerdoti e con i medici, assistendo alle processioni del Santissimo Sacramento, penetrando nella Grotta della Vergine, Zola produce il palinsesto documentario sul quale terrà a costruire l’intreccio finzionale del romanzo, che a sua volta varrà a sostenere la polemica laica contro le guarigioni di Lourdes. Da qui l’interesse, e il fascino del testo pubblicato ora per la prima volta in italiano,
Viaggio a Lourdes . Ben più che uno sporadico carnet de voyage: un meticoloso dossier a carico della più fortunata tra le moderne industrie del miracolo.
Non che Zola mancasse di pietas per quanto
spingeva verso Lourdes le folle del suo tempo (e del nostro). Una sete di rassicurazione e di protezione. Un bisogno di sollievo della sofferenza. Il mistero del rapporto fra salute e salvezza. Ma Zola restava un ateo, deciso a scrutinare il miracolo attraverso le lenti della ragione. Dunque, ciò che maggiormente lo incuriosiva di Lourdes era il cosiddetto Bureau des constatations médicales : l’Ufficio delle constatazioni mediche istituito presso il santuario nel 1882, con lo scopo di suffragare clinicamente l’evidenza delle guarigioni miracolose. Era il "meccanismo delle constatazioni" quello che il positivista Zola voleva capire, e che lo scettico Zola si proponeva di smontare.
L’esercizio gli pareva d’altronde sin troppo facile, poiché il funzionamento del Bureau
non sembrava obbedire ad alcun criterio di monitoraggio scientifico. Il dottor Boissarie, primario della Grotta, aveva un bel darsi da fare tra registri e fascicoli, barellieri e sacerdoti, malati e miracolati. Come prendere sul serio un sistema che si rimetteva totalmente ai certificati medici con cui gli infermi arrivavano a Lourdes e alla sintomatologia (o alla scomparsa dei sintomi) dopo il pellegrinaggio alla Grotta o l’immersione nelle vasche, senza una visita preventiva, senza un’anamnesi clinica, senza una fotografia delle piaghe visibili?
«Le constatazioni ”notava acutamente Zola – sono inutili per i credenti, e sono insufficienti per gli increduli».
Anche per questo Lourdes era il regno del buon dottor Boissarie, ma non diventava la meta di veri luminari della scienza, cattedratici di Parigi o Lione o Montpellier: «Capisco perfettamente che grandi medici non vi si arrischino», concludeva categorico l’mile Zola del 1892.
Avrebbe fatto meglio a sentirsene meno sicuro. Dieci anni dopo, un grande medico si sarebbe arrischiato eccome di compiere il viaggio fino a Lourdes, e avrebbe suffragato con la propria firma l’evidenza di una guarigione scientificamente inspiegabile. Nel 1902 il ventinovenne Alexis Carrel, stella nascente della facoltà di Medicina dell’università di Lione grazie a studi originalissimi sulle suture vascolari, testimoniò presso il Bureau des constatations il risanamento con l’acqua benedetta di una giovane donna, Marie Bailly, ch’egli aveva incontrato moribonda sul treno per Lourdes, e alla quale aveva diagnosticato una tubercolosi peritoneale in stato terminale. Immaginando che una testimonianza del genere sarebbe bastata a rovinargli la carriera universitaria, Carrel cercò di mantenere segrete sia la sua visita alla città dei miracoli,sia l’apposizione della sua firma nella cartella clinica della donna risanata. Ma le voci circolarono in fretta a Lione come a Parigi, e nel giro di pochi mesi egli si vide costretto a lasciare la Francia per l’America. I dettagli della "constatazione" non divennero noti che nel 1912,quando Alexis Carrel – ormai solidamente insediato al Rockfeller Institute di New York, da pioniere mondiale della chirurgia vascolare e della chirurgia dei trapianti – venne insignito del premio Nobel per la medicina.
Peraltro, neppure l’assegnazione del Nobel indusse Carrel a pubblicare il suo proprio Viaggio a Lourdes, che avrebbe visto la luce oltre trent’anni dopo, postumo: tanto poteva allora, negli ambienti della ricerca internazionale, l’idea che una fede nella fede fosse incompatibile con la fede nella scienza. Agli sgoccioli della Belle poque, per difendere le guarigioni di Lourdes dinnanzi alla scienza occorse la pugnacia di un medico-frate italiano, molto meno autorevole di Carrel sul terreno della clinica, ma pur sempre allievo di un altro premio Nobel (l’istologo Camillo Golgi):nella Milano del 1910, padre Agostino Gemelli ingaggiò polemiche roventi con i medici più stimati della città, argomentando la superiorità della "indagine metafisica" sulla scienza sperimentale, e venendo ricambiato con la qualifica di "terrorista frate medico" o di "commesso viaggiatore dell’acqua di Lourdes".
Rilette oggi, esattamente un secolo dopo, molte pagine di padre Gemelli suonano più deboli ancora di quanto suonino volgari le accuse dei suoi avversari. Tuttavia, nella critica di uno scientismo appiattito sull’organicismo – un positivismo puro e duro, alla Cesare Lombroso – non va riconosciuto soltanto lo zelo d’un medico francescano impregnato di neo- scolastica. L’interesse di Gemelli per le guarigioni di Lourdes non era unicamente quello dell’uomo di dottrina e di lotta; era quello dello studioso di psicologia, che aveva imparato da alienisti come Charcot il potere della "fede che guarisce", i misteriosi intrecci fra corpo e spirito, affezioni ed emozioni, manie e terapie.
In tal senso, la città di Lourdes si presentava a Gemelli completamente diversa da come l’aveva vista Zola.Anziché il luogo di uno scon-tro frontale tra fede e scienza, appariva il teatro di una collaborazione nuova fra sacerdoti e dottori: gli uni e gli altri finalmente capaci, insieme, di credere e di curare.