Marco Liera, Il Sole-24 Ore 14/2/2010;, 14 febbraio 2010
INVESTIRE IN CLUB, PRIVILEGIO PER POCHI
In materia di investimenti personali, l’alternativa alla delega a un intermediario o a un consulente finanziario o è il fai-da-te. Storicamente diffuso in Italia, negli ultimi anni le delusioni ricevute da una moltitudine di risparmiatori dal risparmio gestito o comunque "guidato" non ne hanno certo ridotto la capacità di attrazione. I risultati sono per altro assai incerti, perché gran parte di questo fai-da-te è caratterizzato da impreparazione ed è in balìa di avidità e paure a seconda della situazione dei mercati.
Nei sistemi finanziari più avanzati sono stati avviati alcuni esperimenti di "collettivizzazione" del processo di investimento personale. Si tratta di club di investitori solitamente riservati a persone facoltose. L’idea di fondo è che il gruppo può aiutare il singolo a prendere decisioni più razionali. una tesi sostenuta da autorevoli studiosi di finanza comportamentale (come Michael Mauboussin). Una delle condizioni affinchè l’intelligenza collettiva funzioni, però, è che nel gruppo ci sia abbastanza pluralismo di idee e di opinioni (altrimenti finisce per muoversi in gregge). L’altra condizione è che vi siano delle conoscenze e dei valori comuni a tutti gli appartenenti. Un esempio di questi investment club è l’americana Tiger 21, di cui ho parlato in questa rubrica il 22 febbraio 2009. Chiede 30mila dollari l’anno, almeno 10 milioni di dollari di patrimonio personale e l’impegno a partecipare a un incontro al mese. Vi partecipano attualmente 140 supermilionari, e la partecipazione al club, secondo il fondatore, ha aiutato a migliorarne i risultati di investimento (come ridurre l’esposizione di alcuni verso i fondi di Bernie Madoff, purtroppo senza azzerarla).
C’è poi la Pi Capital di Londra, un private equity club in cui i membri pagano una fee di 4.400 euro l’anno per condividere decisioni di investimento in imprese non quotate. Vi aderiscono 300 manager e imprenditori ai vertici di grandi aziende britanniche. Negli ultimi due anni, l’intelligenza collettiva dei membri di Pi Capital ha bloccato qualsiasi investimento, perché tutte le proposte ricevute sono state giudicate poco attraenti. Il fondatore di Pi Capital, David Giampaolo, ha dichiarato al «Financial Times» che i membri del club sono costantemente delusi delle loro private bank. «Hanno interessi diametralmente opposti a quelli dei clienti. E non hanno mai il coraggio di consigliare loro di astenersi da qualsiasi investimento».