Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 14/02/2010, 14 febbraio 2010
I CITTADINI NEMICI NEGLI USA DURANTE LA GRANDE GUERRA
Ho letto quanto lei ha scritto nella rubrica «Usa nella grande guerra: una vittoria malcapita) e mi è sorta una curiosità. Come hanno fatto gli Usa nel 1918 a trasportare in Europa via mare (non c’ erano aerei a quei tempi) quasi 5 milioni di individui?
Carlo Pravettoni crlpravettoni@ yahoo.it
Vorrei sapere se il melting pot americano, il più grande esempio di integrazione razziale e religioso, può essere esportato in Europa. Negli Usa nacquero i quartieri (a volte veri e propri ghetti) cinesi, italiani, ebrei eccetera, eppure la concessione della cittadinanza e l’ osservanza della Costituzione e delle leggi americane hanno seguito un processo evolutivo solido e non traumatico. Perché da noi non può essere cosi?
C. Cangiotti , c.c@pica.it
Cari lettori, le vostre lettere affrontano problemi diversi, ma si prestano, come vedrete, a un risposta comune. A Pravettoni rispondo che il numero dei soldati americani reclutati dopo l’ introduzione del servizio selettivo ma obbligatorio, superò di molto le esigenze della guerra. La macchina, una volta avviata, non venne fermata anche perché una parte importante del contingente fu utilizzata per il fronte interno, vale a dire il presidio della frontiera messicana e il controllo dei residenti americani che erano, al momento dello scoppio del conflitto, cittadini di un Paese nemico. I tedeschi erano circa mezzo milione e gli austro-ungarici (boemi, polacchi della Galizia, ucraini, ruteni, slovacchi, slavi della Carinzia e della Croazia, italiani del Trentino e di Trieste, per non parlare, naturalmente, di austriaci e ungheresi) erano tre milioni. Quando il New York Times chiese al Dipartimento federale della Giustizia, quali fossero i criteri adottati verso queste persone, il viceprocuratore generale rispose che erano tutti, tecnicamente, «enemy aliens», stranieri nemici, e che tutti, quindi, sarebbero stati soggetti a regole che limitavano, tra l’ altro, la loro libertà di movimento. Ma lasciò intendere che l’ amministrazione avrebbe avuto un occhio di riguardo per i boemi, particolarmente numerosi, gli italiani irredenti e tutte le minoranze che si erano battute per l’ indipendenza o l’ autonomia. Il trattamento più severo fu riservato ai tedeschi, la minoranza che aveva un maggior numero di associazioni patriottiche, scuole, sodalizi, e che conservava un più forte rapporto affettivo con la madrepatria. La loro registrazione cominciò nel 1914, quando gli Stati Uniti erano ancora neutrali, e produsse un elenco di 480.000 persone. Vi furono parecchi arresti per sospetto spionaggio prima della dichiarazione di guerra, e i tedeschi imprigionati dopo l’ aprile del 1917 furono circa 4.000. Per la loro detenzione furono organizzati tre campi, di cui due in Georgia e il terzo nello Utah. Ai prigionieri più benestanti fu concesso un trattamento di categoria A. Potevano spendere il loro denaro per comprare fuori del campo ciò che desideravano e potevano assumere personale domestico fra gli altri prigionieri. Gli arresti continuarono sino agli inizi del 1919 e i campi furono chiusi nel giugno 1920. Complessivamente furono trattati molto meglio dei nippo-americani che vennero arrestati dopo Pearl Harbor nel dicembre 1941. Come vede, caro Cangiotti, anche il melting pot americano ha avuto lungo la strada qualche incidente di percorso, e certi pregiudizi etnici sopravvivono tenacemente in alcune aree del Paese. Sui tempi lunghi, tuttavia, il risultato è certamente positivo. Non vedo perché in Europa, sui tempi lunghi, le cose dovrebbero andare diversamente.
Sergio Romano