STIEG LARSSON, la Repubblica 14/2/2010, 14 febbraio 2010
UN GIORNALISTA AL D-DAY
il 6 giugno 1944 rimarrà per sempre nei libri di storia come il giorno in cui cominciò l´operazione Overlord, l´invasione da parte degli Alleati dell´Europa sotto il dominio di Hitler. Lo sbarco si svolse lungo un tratto di costa di ottanta chilometri nelle vicinanze della città di Caen, in Normandia. Nel giro di poche ore, molti dei semplici villaggi della zona entrarono a far parte della storia mondiale.
Giugno 1944. La Seconda guerra mondiale provocava stragi da quasi cinque anni. L´Europa era devastata e distrutta dalle bombe, immense città sovietiche erano state ridotte in macerie e nel deserto del Sahara i mezzi corazzati neutralizzati dal nemico si coprivano di ruggine. In diverse minuscole isole del Pacifico, gli Stati Uniti e il Giappone combattevano alcune tra le più cruente battaglie della guerra. Si sapeva che vi sarebbe stata un´invasione in Europa. L´Unione Sovietica chiedeva da tempo di aprire un secondo fronte per alleggerire quello Orientale. Le potenze occidentali avevano già iniziato l´attacco in Italia, ma era chiaro che sarebbe stato impossibile avanzare verso la Germania attraversando le Alpi. L´invasione doveva venire dalla costa atlantica. Dove e quando era un segreto ben custodito.
@_TITOLETTO nero sx:Disinformazione
Le speculazioni sullo sbarco abbondavano. In Svezia, la preoccupazione era palpabile: gli alti comandi dell´esercito svedese temevano che l´invasione avesse come scenario la Danimarca, tanto che venne mantenuto lo stato d´allerta per tutta la primavera. Hitler, da parte sua, era convinto che sarebbe avvenuta nelle vicinanze di Calais, in quanto il Canale della Manica offriva la minore distanza. I servizi segreti britannici si impegnarono a fondo in azioni di disinformazione per mantenere Hitler in questa convinzione. La Germania tentava già da un anno di fronteggiare questa minaccia con la Fortezza Europa, un sistema di bunker che si estendeva dalla Danimarca fino alla frontiera spagnola.
Hitler aveva assegnato al feldmaresciallo Erwin Rommel, eroe della guerra nel deserto del Sahara, la missione di difendere la costa dell´Atlantico. Rommel pensava che il destino della Germania si sarebbe deciso nelle prime ore dell´invasione e per questo intensificò al massimo il lavoro di fortificazione.
@_TITOLETTO nero sx:Il fallimento dell´invasione: una catastrofe
Il piano dell´invasione fu progettato da un ristretto numero di persone intorno a Dwight Eisenhower, il comandante in capo a cui si era affidata una missione poco invidiabile. Una volta messo in moto lo sbarco, sarebbe stato impossibile arrestarlo. Se l´assalto falliva, le conseguenze potevano essere catastrofiche; nel peggiore dei casi, la sconfitta nella guerra. L´invasione richiedeva una pianificazione minuziosa per la quasi inconcepibile missione di trasferire dall´altra parte del mare, con l´aiuto di seimila imbarcazioni, circa duecentomila soldati con i loro carri armati, i loro cannoni e il resto dell´equipaggiamento.
Eisenhower si vide anche costretto a mediare tra i due geniali divi della guerra: il generale inglese Montgomery e il generale americano Patton, entrambi desiderosi di dirigere l´invasione. Dopo alcuni dubbi, finì per assegnare il compito a Montgomery.
@_TITOLETTO nero sx:Un forte temporale
Nemmeno Eisenhower stesso conosceva il momento esatto dell´invasione, che dipendeva da una serie di condizioni: un livello della marea favorevole per lo sbarco, una notte scura senza la luce della luna e una data estiva per poter approfittare al massimo della luce del giorno. Queste circostanze si ebbero il 5 giugno, ma proprio allora si scatenò una tempesta con venti di burrasca nel canale che rischiò di compromettere lo sbarco. Avevano già preso il mare circa diecimila soldati, stretti nelle imbarcazioni che dovevano portarli dall´altra parte e che sarebbero dovuti tornare a terra in caso di annullamento dell´operazione.
Rommel ringraziò il cielo per la tempesta e si mostrò così convinto che non ci sarebbe stata l´invasione da andarsene a Berlino. Nel pomeriggio del 5 giugno, Eisenhower riunì i suoi più intimi collaboratori per prendere la decisione critica. Un rinvio avrebbe implicato come minimo un ritardo di un mese, periodo di cui Rommel avrebbe approfittato per rafforzare le spiagge ma, d´altra parte, la meteorologia avversa e le onde di grandi dimensioni potevano annichilire tutta l´operazione.
I meteorologi previdero per il 6 giugno un temporaneo miglioramento, il che non impedì che continuasse a piovere a dirotto. L´impaziente Montgomery espresse la sua opinione favorevole all´invasione e, non senza aver dubitato a lungo, Eisenhower diede finalmente il suo nullaosta.
@_TITOLETTO nero sx:Il ponte Pegasus
Il primo contatto con il continente ebbe luogo poco prima della mezzanotte del 5 giugno, quando un centinaio di soldati appartenenti a commandos inglesi toccarono terra con tre alianti su un prato di duecento metri a Bénouville, presso il canale dell´Orne. Già questa fu una vera impresa. I velivoli erano costruiti semplicemente con legno di balsa e tela di sacco. Privi di motore, erano trasportati a rimorchio da aerei Hercules, ai quali erano uniti con cavi come un filo di perle. Giunti sulla costa francese, si tagliarono i cavi e i piloti dovettero guidare i loro apparecchi seguendosi in un buio profondo in mezzo a un vento intenso. Più che atterrare si schiantarono in modo più o meno controllato.
Si trattava di un commando scelto con cura e guidato dal maggiore John Howard, esperto in operazioni speciali. Fu considerata una delle missioni più delicate di tutta la guerra. Howard, infatti, preparava da mesi i suoi uomini con l´unico obiettivo di conquistare un ponte fortemente difeso sul canale dell´Orne e di mantenerne il controllo fino all´arrivo dei rinforzi.
Al ponte venne dato un nome in codice: Pegasus. Era stato minato e i tedeschi avevano l´ordine di farlo saltare in caso di invasione. Questo piccolo ponte, con un´importanza praticamente nulla fino ad allora, diventava ora decisivo nell´insieme dei piani bellici degli Alleati. Da una parte, le truppe tedesche potevano impiegarlo per far arrivare rinforzi e, dall´altra, da qui dovevano passare gli Alleati per allargare la battaglia fuori dalla Normandia. Era necessario prenderlo intatto, dato che la sua distruzione poteva causare un ritardo fatale nell´avanzata delle truppe alleate.
@_TITOLETTO nero sx:La fuga di Bonck
Pochi minuti prima della mezzanotte, il soldato semplice Bonck attraversò il ponte e si fermò di colpo. Non poteva credere ai suoi occhi. Un commando di ventidue soldati inglesi si avvicinava correndo ritmicamente verso di lui, con la faccia dipinta e armati fino ai denti. Dopo averci pensato un secondo, Bonck fece l´unica scelta ragionevole: battere in ritirata. Come in tutti i piani militari, nel D-Day molte cose non andarono come previsto. Più di diciottomila paracadutisti americani furono lanciati sul fianco sinistro della zona di invasione. Il loro obiettivo principale era il paese di Sainte-Mère-glise, che avrebbe avuto la funzione di punto di riunione delle truppe sbarcate.
Appena dopo la mezzanotte, i paracadutisti atterrarono a Sainte-Mère-glise e si trovarono immediatamente in mezzo a uno scontro con la guarnigione locale. La conquista propriamente detta del villaggio fu l´unica cosa che, in linee generali, andò secondo i piani. Per il resto, l´unità si disperse ai quattro venti e dovettero passare circa dodici ore prima di poterla ricomporre.
Non si sa quanti paracadutisti morirono affogati nelle fangaie allagate sotto i cinquanta chili del loro equipaggiamento o perché finirono dentro al canale. Gli altri trascorsero la notte vagando da un posto all´altro nel buio fitto in un irreale gioco a nascondino con le pattuglie tedesche.
@_TITOLETTO nero sx:Omaha Beach
Dai porti di tutto il sud dell´Inghilterra partirono migliaia di imbarcazioni. A mezzanotte confluirono in una zona denominata Piccadilly Circus, nelle vicinanze di Portsmouth, per poi dirigersi verso la costa della Normandia. All´alba del 6 giugno, le condizioni meteorologiche erano migliorate, ma le onde erano ancora alte. Le imbarcazioni troppo cariche si rovesciavano e andavano a picco. Migliaia di soldati, caduti in acqua con i volti ancora verdi per il mal di mare, cominciavano il loro cammino trascinandosi verso la spiaggia.
Anche se la sorpresa fu totale, vi furono scontri durissimi. A Omaha Beach, trentaquattromila soldati americani rimasero imprigionati nelle barriere di filo spinato alla mercé di un fuoco letale. In una sola ora, duemila erano morti e molti di più erano stati feriti. Delle duemilaquattrocento tonnellate di materiale previste, solo un centinaio arrivarono a terra. Alle dieci del mattino, la situazione era tale che tanto i tedeschi quanto gli Alleati pensavano che l´invasione fosse fallita. In altre spiagge, le cose andarono meglio. Dalla Utah Beach le forze americane avanzarono rapidamente fino a Sainte-Mère-glise, mentre le truppe britanniche, partendo dalla Juno e dalla Sword Beach, riuscirono ad aprirsi rapidamente la strada fino a Caen.
L´analisi del feldmaresciallo Rommel, secondo il quale la Germania avrebbe perso la guerra se le sue truppe non fossero riuscite a fermare l´invasione il primo giorno, si rivelò esatta. Prima della fine del giorno, si era stabilita una testa di ponte nella costa più fortificata del mondo e solo due mesi più tardi gli Alleati avrebbero fatto il loro ingresso trionfale a Parigi.
Traduzione di Luis E. Moriones
© , TT
Questo articolo di Stieg Larsson (1954-2004) fu diffuso
il 31 maggio 1994 dall´agenzia stampa svedese TT