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 2010  febbraio 14 Domenica calendario

ROMA, SCOPERTA LA CITT DELLE FALSE GRIFFE - ROMA

Cinquecentomila tonnellate di merce prodotta in Cina, dalle pellicce ai giocattoli, custodite in otto capannoni alla periferia di Roma. A scoprire la cittadella fortificata del contrabbando è stata la polizia, partendo dai tanti cinesi che chiedevano il rinnovo del permesso di soggiorno, dichiarando di lavorare in quelle due aziende nella zona industriale della Tiburtina.
Gli agenti dell´ufficio Immigrazione hanno voluto vedere di cosa si trattasse e, quando sono arrivati negli otto capannoni, distribuiti in diecimila metri quadrati, hanno scoperto quello che Maurizio Improta, dirigente dello stesso ufficio, definisce «la più grande centrale di stoccaggio di merce contraffatta in Cina mai scoperta in Italia. Al ribasso, vale almeno cinque milioni di euro». Secondo la legge sul contrabbando, ogni singolo pezzo sarà esaminato e poi venduto all´asta. Il ricavato verrà confiscato e finirà quindi nelle casse dello Stato.
Gli otto capannoni, che contenevano trenta magazzini, con tanto di grate e filo spinato, erano difese da vere e proprie vedette cinesi: occhi che controllavano visi sconosciuti e arrivi indesiderati.
Anche per questo, dopo aver passato giorni a osservare furgoni e camion con targhe italiane e cinesi a bordo che entravano e uscivano dall´area, la polizia è intervenuta con settanta agenti assieme ai vigili del fuoco, all´Ispettorato del lavoro e alla Asl: «Temevamo che potessero bruciare tutto. Nelle strutture non era rispettata alcuna norma di sicurezza», dice Improta. Alla fine sono stati denunciati per contrabbando aggravato i due cinesi, regolarmente in Italia, titolari delle aziende. Nei controlli per i 18 uomini e le 17 donne tra facchini, autisti e custodi dei capannoni, sono stati trovati due immigrati irregolari che saranno espulsi.
Molte delle centinaia di casse stipate nei magazzini non sono state ancora nemmeno aperte: «Abbiamo trovato - racconta ancora Improta - anche moltissime confezioni contraffatte di marchi italiani. Era tutto prodotto in Cina: l´abbigliamento doveva essere ancora rifinito con le griffe e le taglie. Senza dimenticare le migliaia di giocattoli che non erano a norma e potevano risultare pericolosi per i bambini».
«Sugli scatoloni - aggiunge Maurilio Grasso, dirigente della sezione Criminalità straniera della squadra mobile romana - c´erano le diciture in cinese che adesso stiamo analizzando. La planimetria dei luoghi era stata completamente disattesa rispetto a quanto previsto dal Comune e le aziende lavoravano lì da almeno un anno».
Le indagini non sono ancora chiuse e puntano a capire come quegli scatoloni siano arrivati in Italia (i sospetti sono sui porti di Civitavecchia, Napoli e Ancona), come la merce sarebbe stata distribuita nel nostro Paese - «perché è impossibile che fosse tutto destinato al mercato capitolino» commenta Grasso - e, soprattutto, chi ci sia dietro a questa vera banca del falso: «Potrebbero esserci - spiega ancora Improta - delle organizzazioni che hanno base in Cina, operano in Europa anche nel campo dell´immigrazione clandestina».