Davide Brullo, Libero 14/2/2010, 14 febbraio 2010
IL DIZIONARIO BIOGRAFICO DI LIBERO
a cura di Francesco Borgonovo
PAVESE, Cesare (scrittore, 1908-1950)
Non possiamo scolasticamente prescindere dal duo Pavese e Vittorini, ed è il motivo per cui l’Italia, letteralmente parlando, nel mondo della letteratura recente vale zero. Ossessionati dagli americani, i due, da adesso ribattezzati Pav e Vick, hanno pensato che bastasse tradurre William Faulkner (Pav ha tradotto Il borgo; Vick Luce d’agosto) per diventare grandi scrittori. Calcolo sbagliato. Per lo meno sulla lunga distanza: oggi possiamo serenamente fare a meno della Luna e i falò e della Conversazione in Sicilia (da sostituire con Beppe Fenoglio, che Vick ha a suo tempo- e a suo modo - sculacciato per bene). Pav equivale ai Pavesini inzuppati di prima mattina: va bene per i bambini, per quelli che si accontentano, per quelli che lo Zibaldone è troppo difficile allora basta spalmare sulla fetta tostata un po’ di Mestiere di vivere.
Ha pensato che leggere Walt Whitman e Edgar Lee Masters fosse sufficiente per diventare un poeta: sul Pav lirico pesa il giudizio aureo di Pier Vincenzo Mengaldo che trattava le poesie di Pav alla stregua di una «droga di intere generazioni di liceali». Droga forse lo erano negli anni Settanta, oggi sono un confettino innocuo. Il tentativo dentro Herman Melville, poi, si è rivelato un naufragio in tutti i sensi (e per inciso, le traduzioni di Ruggero Bianchi e di Alessandro Ceni sono molto più belle).
Soprattutto, Pav e Vick hanno dato gas a stuoli di pessimi scrittori odierni: se Saviano, Scurati, Desiati e romanzieri lubrificanti simili continuano a perpetuare l’arte della scrittura è proprio grazie a loro. Se ce l’hanno fatta Pav e Vick possiamo non farcela noi? Educarsi a suon di Dostoevskij, Broch e Proust capisco che è ben più snervante. Di Vick ricordiamo i bei tempi della gioventù fascista, quando scriveva che dieci pagine della Vita d’Arnaldo di Benito Mussolini «mi ricordano le duecento del più bel romanzo, forse, di Tolstoj, del romanzo che s’intitola Infanzia», che Mussolini è «un poeta di cui la storia letteraria, senza alcun dubbio, terrà conto».