Gianluca Paolucci, La Stampa 13/2/2010, pagina 9, 13 febbraio 2010
STRETTA CINESE SUL CREDITO
Un dato peggiore delle attese sulla fiducia dei consumatori americani, l’annuncio della Banca centrale cinese di una stretta creditizia per raffreddare un’economia che corre troppo, la debolezza dell’economia europea. Tre notizie che, con le Borse nervose dell’ultima settimana, gli operatori non hanno avuto bisogno di interpretare per arrivare alla conclusione di vendere. E così la seduta di ieri si è chiusa in calo nelle principali piazze mondiali, con i ribassi concentrati sui titoli bancari - sulla scia della stretta del credito cinese - e sui titoli delle materie prime, per i timori legati ad una frenata della domanda del Paese asiatico che ha finora guidato i prezzi e di conseguenza i rialzi di Borsa dei titoli del settore nei mesi scorsi. Fa eccezione il Nasdaq, che nel finale ha recuperato il segno più.
I rischi di un «surriscaldamento» dell’economia cinese sono da tempo al centro dell’analisi di economisti e decisori. Da ultimo, il ministro delle finanze giapponese Naoto Kan ha lanciato l’allarme su una «bolla cinese». Mentre le economie avanzate cadevano una dopo l’altra in recessione, la Cina è riuscita a contenere la crisi globale attraverso misure «massicce». Ma ora Pechino, sostiene l’ultimo rapporto dell’Ocse sul Paese, alle prese con una crescita che si prevede torni sopra il 10% quest’anno, deve stare alla larga dalle bolle creditizie, oltre a sostenere le famiglie dando fondo alla spesa pubblica. Proprio da questa base è partita la decisione della Banca centrale, che ha imposto per la seconda volta in un mese la quota dei depositi che le banche commerciali sono obbligate a mettere a riserva. Sul sito web, la banca centrale ha precisato che l’aumento sui requisiti di riserva è di 50 punti base (attualmente al 16% per le grandi banche e al 14% per i piccoli istituti) e scatterà il prossimo 25 febbraio.
Malgrado il buon dato delle vendite al dettaglio in Usa, risultato a sorpresa in crescita, i mercati hanno preferito guardare al dato della fiducia dei consumatori elaborato mensilmente dall’Università del Michigan. Un dato letto molto attentamente a Wall Street - e di conseguenza sulle altre piazze mondiali - in quanto «anticipatore» del ciclo economico, che ieri ha fatto il paio con il deludente dato sul pil dell’Eurozona, con la Germania in stagnazione e l’Italia in recessione contro le attese di una seppur timida ripresa. Ancora penalizzata dalla crisi greca, la divisa unica ha sofferto della debolezza economica europea e della stretta creditizia cinese, che ha fatto schizzare in mattinata le quotazioni del dollaro fino a 1,3534 contro l’euro, che ha ritoccato i minimi da maggio scorso. Dollaro poi indebolito, nel pomeriggio, proprio dal dato sulla fiducia dei consumatori.
Sullo stato di salute della divisa europea dopo gli esiti del vertice straordinario Ue è arrivata intanto la rassicurazione di Bankitalia: «Siamo sempre una divisa forte», ha precisato il direttore generale di via Nazionale, Fabrizio Saccomanni, secondo il quale «non c’è nessun pericolo» per la moneta dei Sedici. Il numero di Palazzo Koch ha parlato da Napoli, dove domani, al Forez, è atteso l’intervento del governatore Mario Draghi.
Gianluca Paolucci