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 2010  febbraio 11 Giovedì calendario

UN LUPO SULLE ORME DI NONNO SCIASCIA

Da piccolo, passeggiando con il nonno nelle campagne di Racalmuto, gli diceva che da grande voleva fare il carabiniere. Ma uno che conta, un colonnello, non un brigadiere qualsiasi. E quello assentiva, gli diceva che era una buona scelta, che gli piacevano gli uomini di legge. Adesso che ha trent’anni, una figlia di due e mezzo, e quel nonno - Leonardo Sciascia - è morto da venti, ha deciso di fare lo scrittore. Si chiama Vito Catalano, è figlio della figlia minore del grande scrittore, Anna Maria, condivide con il fratello Fabrizio la memoria di una speciale predilezione del nonno, e sta per debuttare con un romanzo, L’orma del lupo (ed. Avagliano), che arriverà in libreria il prossimo mercoledì.
Un bel coraggio, non ha paura del confronto?
«No, sono consapevole che Leonardo Sciascia è un classico della letteratura europea e non la vivo certo come una sfida. Sento poi l’ombra di mio nonno come benevola».
Pensa che essere nipote di Sciascia l’abbia condizionata in qualche modo nella decisione di scrivere?
«Non direttamente. Credo che abbia avuto un peso vivere in mezzo ai libri, respirare l’aria della sua casa, quello sì. Quando mi sono iscritto all’Università, però, ho scelto Scienze naturali, per la passione che ho da sempre per la zoologia. Ma ho lasciato prima di laurearmi».
Però tutto torna. Il suo libro ha a che fare con gli animali.
«In un certo senso sì, perché l’idea mi è venuta consultando il volume Usi e costumi del popolo siciliano di Giuseppe Pitrè, il grande studioso di tradizioni popolari vissuto tra ”800 e ”900. Lì c’è una parte dedicata agli animali dal punto di vista del folklore. A proposito del lupo, che ormai sembra una presenza da foresta slava, e invece è stato presente in Sicilia fino al 1940, si diceva che gli abitanti di Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa, vengono chiamati allupati per la storia di un lupo che terrorizzò il paese nel 1560».
Le si è accesa una lampadina…
«Sì, e sono andato alla Biblioteca comunale di Palazzolo Acreide, confidando nel fatto che in ogni piccolo comune siciliano c’è sempre lo storico del paese, il diarista, l’appassionato che custodisce la memoria. E infatti ho trovato la cronaca di un frate cappuccino vissuto nell’800. In un primo momento non ho trovato niente. Ma poi, pagina dopo pagina, ho ritrovato quell’episodio, riferito al 1695. Il lupo appare, uccide un bambino nella culla, e anche altre persone. E poi sparisce, senza essere mai catturato».
Da lì lei è partito costruendo un romanzo, ambientato appunto alla fine del ”600, dove il lupo finisce con l’essere ritenuto una creatura demoniaca, in un’atmosfera di sospetto e paura che contagia tutto il paese. Un thriller, potremmo dire?
«In qualche modo sì. Ma quello che mi ha interessato di più è l’ambientazione storica, credo di avere una certa propensione per questo. Ed era inevitabile, probabilmente, che scrivessi una storia siciliana. Come diceva mio nonno, si scrive quello che si conosce a fondo. Io sono nato e vissuto qui. Adesso abito tra la Sicilia e Varsavia, la città di mia moglie».
Crede che la sua scrittura sia stilisticamente simile a quella di suo nonno?
«Quando scrivo cerco di essere chiaro e asciutto, come era magistralmente mio nonno. Anche se Halina Kralowa, espertissima traduttrice polacca - e i traduttori entrano a fondo nei meccanismi della lingua - non fa che dirmi che la scrittura di Sciascia appare semplice, e invece è molto complessa. Ed è così: dietro l’asciuttezza c’è spesso un lavoro enorme».
Lei sta lavorando in Polonia alla pubblicazione dei libri di suo nonno.
«In realtà sette libri sono stati tradotti in passato, la maggior parte prima della caduta del Muro, quindi praticamente non esistono più. Sto lavorando con un editore, ma devo dire che anche altri stanno pubblicando, o si preparano a pubblicare Sciascia. un momento di grande interesse per lui».
E qui in Sicilia, invece, è stato attento ai carteggi e alle lettere private.
«Sì, in realtà ho soltanto seguito l’opera straordinaria che ha fatto mia nonna alla morte di suo marito. Tra poco tempo tutte queste carte verranno trasferite alla Fondazione Sciascia, a Racalmuto, e saranno presto accessibili a chiunque. C’è di tutto, dalle lettere professionali con scrittori e editori a quelle di grafomani, come diceva mia nonna. Una comincia con qualcosa come ”Mio caro fratello in Cristo”, mi sono divertito a pensare alla faccia di mio nonno…».
Quali sono i libri di Sciascia che ama di più?
«Il consiglio d’Egitto, Il cavaliere e la morte, Una storia semplice, che considero un piccolo perfetto congegno narrativo. Ma anche Morte dell’Inquisitore, La strega e il capitano e Todo modo. Non a caso, alcuni sono proprio libri di ambientazione storica».
E i suoi scrittori prediletti?
«Robert Louis Stevenson, Walter Scott e un ebreo praghese, Leo Perutz».
Il commento che l’ha divertita di più sul suo libro d’esordio?
«Quello di una mia amica, Giacinta Caruso, scrittrice anche lei. Mi ha detto, conoscendomi, che pensava sfornassi un saggio di cinquecento pagine. Invece l’ho sorpresa con un piccolo thriller».
Laura Anello