Sergio Romano, Panorama 18/02/2010, 18 febbraio 2010
PERCHE’ LA SPAGNA AFFONDA
Quando un giornalista ha osato parlare della Spagna e della Grecia come pazienti afflitti da uno stesso male, l’amministratore delegato del Banco Santander (uno dei maggiori istituti finanziari del mondo) ha reagito con stizza. Emilio Botin ha ragione. La Spagna è molto più solida, politicamente e moralmente. Ha una forte coscienza di sé e della propria tradizione storica. Ha una classe dirigente formata nelle migliori università occidentali. Ha una buona costituzione. Ha un sistema politico in cui il rapporto fra maggioranza e opposizione, sulle grandi questioni di interesse nazionale, è meno conflittuale di quanto sia in Italia e in Francia. E ha un debito pubblico pari al 55,2 per cento del prodotto interno lordo: una percentuale inferiore al parametro (60 per cento) fissato dal Trattato di Maastricht e straordinariamente modesto se confrontato a quello dell’Italia (116 per cento). E ha infine, secondo Goldman Sachs, il grande istituto di credito americano, un piano di risanamento «realistico e credibile» che prevede l’aumento dell’età della pensione a 67 anni e una diminuzione delle spese pari a 50 miliardi di euro in quattro anni.
Altri dati, tuttavia, sono meno rassicuranti. Il tasso di disoccupazione è al 19 per cento, i senza lavoro sono circa 4 milioni e la sua economia è la sola, fra quelle dei maggiori paesi industriali, che nel corso del 2009 non abbia ricominciato a crescere. Uscirà dalla crisi, ma con fatica, e dovrà chiedersi quali fattori abbiano maggiormente contribuito a rendere la sua economia più fragile, per esempio, di quella italiana.
Alcuni motivi sono strettamente economici e finanziari. Ha puntato troppo sul turismo e sull’edilizia: due attività che subiscono rapidamente l’impatto della congiuntura. Ha un buon sistema bancario, ma le grandi banche tendono a comportarsi come istituzioni sopranazionali e ad andare là dove il clima promette frutti migliori. priva di quel cuscino, rappresentato dalle piccole e medie imprese, che attutisce i colpi della crisi e assicura all’Italia una maggiore flessibilità. E soffre infine di un vizio che può essere in alcuni casi una invidiabile dote morale. orgogliosa, talvolta persino boriosa, e afflitta dai postumi di un lungo, glorioso passato imperiale che riemerge occasionalmente nello stile dei suoi uomini di stato. Ricordate il «Porque no te callas?» (perché non taci?) con cui il re Juan Carlos zittì il presidente venezuelano Hugo Chávez durante il vertice iberoamericano di Santiago del Cile del novembre 2007?
Il socialista José Luis Zapatero è meglio di José María Aznar. Ma anche il leader socialista tende a comportarsi spagnolescamente. accaduto nelle scorse settimane quando ha approfittato del semestre spagnolo per trasformare il vertice dell’Unione Europea in una specie di triumvirato composto dal presidente del Consiglio europeo, dal presidente della Commissione e dal capo di governo del paese che esercita la presidenza semestrale. La colpa non è soltanto sua: la presidenza semestrale è un vecchio arnese che occorreva buttare via. Ma Zapatero ha preferito sfruttare l’occasione per portare a Madrid alcune grandi riunioni europee e internazionali. Voleva rinfrescare un’immagine offuscata dalla crisi e ha raggiunto d’un solo colpo due pessimi risultati. Ha reso l’Europa meno credibile e appare oggi, a torto o a ragione, responsabile della decisione di Barack Obama (questa, sì, spagnolesca) di non partecipare al vertice euroamericano che avrebbe dovuto avere luogo a Madrid in maggio.