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 2010  febbraio 10 Mercoledì calendario

2 articoli 50 ANNI ASPETTANDO ET - LONDRA C’è nessuno? Nell’aprile del 1960, quando l’astronomo americano Frank Drake puntò il più potente telescopio dell’epoca verso la stella più vicina al sole, il team di scienziati che seguiva l’esperimento col fiato sospeso era fiducioso di ricevere, primao poi, una risposta

2 articoli 50 ANNI ASPETTANDO ET - LONDRA C’è nessuno? Nell’aprile del 1960, quando l’astronomo americano Frank Drake puntò il più potente telescopio dell’epoca verso la stella più vicina al sole, il team di scienziati che seguiva l’esperimento col fiato sospeso era fiducioso di ricevere, primao poi, una risposta. Cercavano radiazioni elettromagnetiche, una traccia di trasmissioni radiofoniche, televisive e via radar, la prova che da qualche parte esiste una civiltà intelligente come o superiore alla nostra. Frugarono nello spazio per due mesi, senza trovare nemmeno un piccolo "beep". Da allora sono trascorsi cinquant’anni, Drake e colleghi, insieme ad altri studiosi, armati di telescopi sempre più potenti, hanno continuato a esplorare, tutti con lo stesso deludente risultato: un cosmico silenzio.E mezzo secolo di vane ricerche è un periodo abbastanza lungo per un bilancio: la mancata risposta significa che siamo soli, nell’universo? Che non ci sono alieni, extraterrestri, marziani, da nessuna parte? Nel gergo degli addetti ai lavori si chiama Seti, acronimo di Search for Extraterrestrial Intelligence, l’associazione americana che dà la caccia ad altre forme di vita intelligente: per farne la conoscenza, sia ben chiaro, non per sterminarle come vorrebbero fare i terrestri cattivi nel film Avatar. Cominciò con la scoperta che tutto ciò che viene trasmesso elettronicamente sulla terra, segnali radar, notiziari radiofonici, trasmissioni televisive, aveva formato un guscio di radiazioni elettromagnetiche che si espandeva nello spazio. Raccolti da civiltà aliene, quei segnali avrebbero detto loro che sulla Terra l’Homo Sapiens era cresciuto, si era moltiplicato e passava le serate davanti alla tivù: insomma che sul nostro pianeta c’era una civilizzazione (più o meno) intelligente. Attorno al 1960, il professor Drake, giovane astronomo della Cornell University, ragionò che se ciò era vero, doveva valere anche il contrario: se esistevano gli alieni, noi terrestri avremmo dovuto essere in grado di captare i segnali elettromagnetici delle loro trasmissioni. Così Drake creò il Progetto Ozma, dal nome della Terra di Oz, luogo della fantasia su cui vivono esseri esotici. All’inizio di aprile del 1960, in West Virginia, il radiotelescopio Green Bank venne puntato verso Tau Ceti, una stella simile e vicina al sole, ed ebbe inizio il primo tentativo dell’umanità di raccogliere nello spazio segnali da altri esseri intelligenti. Ma da Tau Ceti non arrivò alcun segnale. Neppure da Epsilon Eridani, un’altra stella su cui fu dirottato il telescopio dopo qualche tempo. E nulla è arrivato per i cinquant’anni successivi, sebbene le apparecchiature per scandagliare il cosmo si siano moltiplicate e siano divenute sempre più sofisticate. Ci sono un sacco di stelle nel cosmo, e ancora più pianeti attorno ad essere: cosa vuol dire se in mezzo secolo di ricerche non abbiamo trovato alcun segno di vita intelligente nelle galassie? Celebrando l’anniversario, l’ Observer di Londra cita il famoso quesito posto da Enrico Fermi, uno dei fondatori della fisica quantistica. Se la vita intelligente fosse comune nell’universo, gli alieni ci avrebbero già contattato da tempo, ragionava il premio Nobel italiano: dopotutto la Terra è relativamente giovane in termini astronomici, mentre altre civiltà avrebbero avuto miliardi di anni per svilupparsi, progredire e inviarci perlomeno un messaggio. O un messaggino, come diremmo oggi. "Ebbene, dove sono?", si chiedeva e chiedeva Fermi. In realtà, nuove generazioni di astronomi hanno cominciato a dimostrare che il suo dilemma partiva da una premessa incompleta. E’ vero che ci sono tante stelle, 100 miliardi soltanto nella Via Lattea, ma ormai è dimostrato che nella stragrande maggioranza sono troppo grandi, troppo calde, troppo fredde o troppo instabili per sostenere la vita. In secondo luogo, bisogna distinguere tra vitae vita. E’ possibilee anzi ormai dato per certo che in certi pianeti siano esistiteo esistano organismi viventi. Il mantra della Nasa, l’agenzia spaziale americana, è "follow the water" (equivalente di "follow the money", seguii soldi, il consiglio che Gola Profonda dava ai due giornalisti del Washington Post che indagavano sul caso Watergate): segui l’acqua, nella convinzione scientifica che dove c’è acqua, c’è vita, e recenti missioni spaziali hanno riscontrato tracce di ghiaccio sulla Luna e su Marte. I più moderni telescopi hanno individuato più di 400 pianeti al di fuori del nostro sistema solare dove la temperatura non è né troppo calda, né troppo fredda, in modo da permettere all’acqua di formarsi allo stato liquido. Ma non è detto che le condizioni di quei 400 pianeti siano tali da consentire l’evoluzione di forme di vita più progredite del plankton: può esserci vita, su un altro pianeta, ma potrebbe non essere affatto in grado di comunicare con noi. E’ quanto affermano per l’appunto due astronomi americani, Peter Ward e Donald Brownlee, in un libro appena pubblicato, Rare Earth: why complex life is uncommon in the universe: le circostanze che hanno condotto alla creazione di vita intelligente sulla Terra - dicono - sono così particolari da indurre a credere che siamo un esperimento senza uguali. Il sole, per esempio, è una stella insolitamente stabile, non affetta da tempeste e fluttuazioni; in più abbiamo la fortuna di avere una luna piuttosto grande, che previene forti mutamenti nelle nostre stagioni e nel nostro clima. La primitiva ameba che apparve sulla Terra quattro miliardi di anni fa godette di condizioni privilegiate, che la aiutarono a evolversi, 250 mila anni or sono, nella sola creatura intelligente conosciuta nell’universo: noi stessi. "La Terra è un luogo fortunato", scrive Brownlee, "non conosciamo nessun altro pianeta che le somigli anche solo minimamente". Ma ammettere che non abbiamo prove dell’esistenza di una specie aliena, osserva Seth Shostak, astronomo capo del Seti, l’associazione che da cinquant’anni cerca extraterrestri intelligenti, "non è la stessa cosa che avere la prova che gli alieni non esistono". Perciò la ricerca continua, con una nuova batteria di telescopi, finanziati tra l’altro da Steve Allen, cofondatore della Microsoft insieme a Bill Gates, con i quali la caccia ai segnali di esistenza degli alieni nell’universo farà un considerevole passo avanti. "Cinquant’anni fa ero un ingenuo a immaginare di poter trovare facilmente le loro tracce", commenta Drake, che partecipa tuttora al progetto. "Adesso mi è chiaro che è come trovare un ago in un pagliaio. Io non farò in tempo a vederlo e può darsi che non accadrà nel prossimo futuro, ma un giorno stabiliremo il contatto, ne sono sicuro". Resta da vedere se sarà un buon o brutto giorno per la nostra specie. Alieni in grado di mandarci segnali della loro esistenza, ammonisce il paleontologo Simon Conway Morris della Cambdrige University, saranno probabilmente simili a noi non solo nell’aspetto, dunque niente a che fare con mostriciattoli verdi con le antenne sulla testa, ma anche nelle caratteristiche, negli atteggiamenti e nei difetti: quali l’avidità, la violenza e la tendenza a sfruttare risorse altrui. Per cui è possibile che, se scopriranno la nostra esistenza, non vengano a visitarci in missione di pace, bensì per cercare un luogo alternativo in cui vivere e per procurarsi acqua, minerali, energia. Cercare E.T. fa parte dell’inevitabile odissea umana, ma trovarlo comporterebbe qualche rischio. ENRICO FRANCESCHINI, la Repubblica 10/2/2010 Ma per trovare vita intelligente dovremo avere anche un po’ di fortuna». Già presidente dell’Agenzia spaziale italiana e astrofisico di fama mondiale, Giovanni Bignami non ha esitazioni. Che cosa è cambiato dai primi tentativi al SETI di oggi? «La sensibilità degli strumenti è migliorata più di quanto siano migliorati i telescopi ottici dal cannocchiale di Galileo a oggi. E poi il software per l’analisi dei dati ha fatto passi da gigante». Eppure di messaggi alieni non c’è traccia. Aveva ragione Fermi quando si chiedeva "dove sono tutti quanti"? «Fermi aveva senz’altro ragione, ma le sue considerazioni si basavano sul fatto che la nostra civiltà manda segnali nello spazio da pochissimo tempo. Dalle prime trasmissioni radiofoniche e televisive non è passato nemmeno un secolo. Perciò le nostre emissioni "intelligenti" in forma di onde elettromagnetiche raggiungono appena qualche centinaio di stelle. Forse siamo solo stati sfortunati, e il nostro vicinato non è abitato da esseri intelligenti...» All’inizio non sapevamo nemmeno se ci fossero pianeti al di fuori del sistema solare. «Certo, invece oggi ne abbiamo scoperti quasi 500: i pianeti intorno alle stelle sono la norma, non l’eccezione. E a partire dal 2012 la missione GAIA, dell’Agenzia spaziale europea, dovrebbe stilare una mappa di almeno 100.000 pianeti. Così sapremo quanti ce ne sono nella zona abitabile delle rispettive stelle, e su quelli punteremo i nostri strumenti alla ricerca di tracce di vita. Certo, potremmo trovare solo batteri, ma sarebbe già moltissimo». Ma saremo lontani dall’incontro con un’intelligenza extraterrestre... «Certo, però adesso non ci limitiamo più ad ascoltare. Il SETI ha iniziato anche a trasmettere segnali verso le stelle vicine. E se da quelle parti ci dovesse essere un astronomo all’ascolto sarebbe lui a "sentire" noi. E’ un messaggio in bottiglia: magari tra qualche anno potrebbe arrivarci una risposta...». MARCO CATTANEO, la Repubblica 10/2/2010