Luigi Grassia, La Stampa 10/2/2010, pagina 2, 10 febbraio 2010
IN IRAN AFFARI A RISCHIO PER IL MADE IN ITALY
L’Iran è una terra di grandi opportunità per le imprese italiane, che vi hanno fatto notevoli investimenti, però negli ultimi anni le nostre aziende sono state restìe a cogliere tutte le opportunità e a impegnarsi a fondo nel Paese: è prevalso il timore dei rischi politici (poco meno che una guerra civile in atto, sommata al pericolo continuo di uno scontro armato con l’Occidente); anche le sanzioni già in atto contro l’Iran, senza aspettare quelle più stringenti in arrivo, hanno pesantemente condizionato l’azione delle imprese italiane, che in molti casi stavano già studiando per conto loro piani di ritirata. Comunque in Iran sono presenti diversi grandi gruppi e italiani un buon numero di di aziende di medio-grandi dimensioni, con attività soprattutto nei settori petrolifero, energetico, petrolchimico, automobilistico, delle macchine ed apparecchi meccanici, siderurgico e delle costruzioni.
Nel fare il quadro della presenza italiana nel Paese, l’Istituto del commercio estero (Ice) sottolinea che «le sanzioni internazionali ostacolano gli investimenti stranieri soprattutto nel comparto dell’energia (petrolio e gas) e limitano anche la presenza dei gruppi italiani, come Eni, Enel, Edison e Tecnimont, che in condizioni diverse sarebbero interessati a una presenza più incisiva». Perché non c’è dubbio che le risorse, in loco, ci siano.
In economia Iran vuol dire innanzitutto petrolio (e gas). Perciò la panoramica della presenza italiana non può che cominciare dell’Eni. L’attività del gruppo è concentrata nelle piattaforme marine del Golfo Persico e sulla costa prospiciente. Nel 2008 - ultimo anno di cui siano disponibili i dati completi - la produzione di petrolio in Iran facente capo all’Eni è stata di 28 mila barili di petrolio al giorno, non grande per un gruppo globale come quello del «cane a sei zampe». Il greggio è stato fornito principalmente dai due giacimenti South Pars 4 & 5 in mare e di Darquain sulla terraferma. In questi due giacimenti l’Eni è entrato fra il 2000 e il 2001. Qualche giorno fa l’amministratore delegato Paolo Scaroni ha dichiarato che nonostante le tensioni interne e internazionali con al centro l’Iran il gruppo «non interromperà la sua attività nel Paese. Onoreremo i due contratti già firmati, perché gli impegni vanno rispettati. Non faremo però nuovi contratti». L’Iran annuncia altri 40 miliardi di dollari di investimenti s South Pars ma non risulta che l’Eni partecipi a questa nuova iniziativa.
Per un’Eni che va c’è una Edison che espande la presenza. Nel gennaio 2008 la compagnia ha firmato un contratto per l’esplorazione di idrocarburi, aggiudicandosi la gara per il blocco marino di Dayyer che si estende su una superficie di 8.600 chilometri quadrati nel Golfo Persico. L’investimento iniziale della società milanese sarà di 30 milioni di euro.
Passando al settore industriale, Finmeccanica ha due progetti in fase di esaurimento. Ansaldo Energia è attiva in Iran dagli Anni 80; l’ultimo progetto risale al 2004, con la partecipazione alla costruzione di quattro centrali elettriche. La Fata ha in corso di realizzazione un impianto di oltre 300 milioni di euro per la produzione di alluminio primario a Bandar Abbas, nel Sud dell’Iran. Quanto alla Fiat, l’amministratore delegato Sergio Marchionne ha rassicurato la Sec statunitense (equivalente alla Consob) sui rapporti della controllata Cnh con l’Iran. Al momento il Lingotto esporta solamente tecnologia per le auto dual-use, che vanno sia a benzina sia a Gpl.
Luigi Grassia