Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 10/2/2010;, 10 febbraio 2010
DISASTRO SAN MARINO
Ieri la Banca centrale di San Marino ha presentato le dimissioni. Per la precisione si sono dimessi il presidente, Biagio Bossone e il direttore Luca Papi, oltre al componente del coordinamento di vigilanza Luciano Murtas. Ma è come se l’intera istituzione avesse abdicato. E adesso nella Repubblica del Titano cominciano a ragionare sulle conseguenze nella delicatissima vicenda giudiziaria del gruppo Delta (dissestata banca emiliana controllata dalla Cassa di risparmio di San Marino) e si interrogano se a questo punto diventeranno mai operativi i trattati di cooperazione economica e finanziaria firmati con l’Italia nel 2009 che dovevano essere consolidati dal accordo sulla doppia tassazione la cui firma era attesa per marzo. A parole, però, va tutto bene secondo il governo e questa è l’occasione per ”rafforzare la vigilanza”. IL CASUS BELLI. Per capire l’origine di questo terremoto istituzionale che colpisce il paradiso fiscale nel suo momento più difficile ”pressione internazionale per aumentare la trasparenza, emorragia di capitali causata dallo scudo fiscale, dissesto di Delta – bisogna partire dalla mossa ispirata da Gabriele Gatti, il ministro delle Finanze che è l’uomo forte del governo sanmarinese. Il 4 febbraio il Consiglio direttivo della Banca centrale rimuove il capo della vigilanza, Stefano Caringi, come richiesto dal Comitato per il credito e il risparmio, l’or gano politico che è tenuto a un parere in fase di nomina (ma non è chiaro se abbia davvero il potere di sfiduciare chi è in carica). Votano contro il presidente della Banca Bossone e il direttore Papi. Il governo presenta la sfiducia a Caringi – italiano, ex ispettore di Banca d’Italia, molto stimato nell’ambiente – co - me un misto tra una sanzione disciplinare e una conseguenza del progetto di rafforzamento della vigilanza. La sanzione sarebbe collegata a una recente testimonianza nei processi di Forlì sulle ultime disavventure finanziarie italiane legate a San Marino, quelle di Asset Banca e di Delta group. La deposizione di Caringi davanti al pubblico ministero non è stata apprezzata ai piani alti dei Palazzi di governo della Serenissima repubblica indipendente dove si sarebbe preferito addirittura che Caringi rifiutasse di parlare. Poi c’è il presunto rilancio della vigilanza. La Tribuna sanmarinese titolava lunedì: ”Verso una nuova era per Banca centrale”. Nell’articolo si raccontava della due diligence prevista per l’Istitu - to centrale (quella procedura di analisi approfondita delle attività che di solito viene riservata alle banche in crisi) e della nascita di un ”c o o rd i n a m e n t o ” della vigilanza. ”Tutte chiacchiere, Caringi è stato fatto fuori perché non si voleva una vigilanza forte, con un’autor ità così delegittimata sarà difficile che qualche persona seria si avvicini ancora a San Marino. Chi soffriva i nuovi controlli ora sta festegg iando”, racconta al Fatto una fonte vicina allo scontro istituzionale. PARADISO PERDUTO. Dal 2005 a San Marino le cose hanno iniziato a cambiare. La Banca centrale ha cominciato a recepire la normativa internazionale in materia di vigilanza (e ha creato al suo interno un apposito dipartimento), attingendo a personale qualificato anche fuori dai confini, in gran parte della Banca d’Italia. Un primo passo verso quella che dalle parti di Bankitalia considerano la soluzione definitiva del buco nero sanmarinese: ”Dovrebbero semplicemente annunciare che da domani applicano la normativa prudenziale e di vigilanza italiana”. Negli anni della bolla finanziaria che scoppia nel 2007, il sistema finanziario sanmarinese si gonfia, diventa sempre più complesso e difficile da controllare: le 12 banche che nel 2005 gestivano 7,7 miliardi di euro, nel 2009 erano arrivate ad averne per le mani 12. Poi arriva la pressione internazionale del G20 e degli Stati Uniti di Barack Obama per boicottare i paradisi fiscali e la Banca centrale ha intorno il clima giusto per cercare – nei limiti di quanto possibile in un paradiso fiscale che vive dell’evasione tributaria degli italiani – di portare un po’ di normalità. Dopo l’estate il governo italiano annuncia lo scudo fiscale voluto dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti che innesca una fuga di capitali dalla Repubblica romagnola. A quel punto – raccontano negli ambienti finanziari sanmarinesi – si saldano due tipi di pressioni sull’esecutivo egemonizzato da Gatti. Dentro i confini sanmarinesi c’è il malcontento di quelli che a San Marino vivono della ripulitura di capitali dall’origine poco commendevole, tutt’intorno quelle organizzazioni che hanno bisogno di una lavanderia per i soldi sporchi prima di impiegarli nel sistema finanziario tradizionale reclamano il ritorno all’opacità del passato. Risultato: la vigilanza viene decapitata, Caringi sfiduciato. ”Forse, alla fine, aveva ragione Tremonti che non si è mai fidato completamente della volontà di collaborazione dell’attuale governo sanmarinese”, dice una fonte dal monte del Titano. LA REAZIONE. Il governo aveva forse sottovalutato la reazione degli altri dirigenti della Banca centrale, che ieri si sono dimessi in blocco. E adesso bisognerà ricominciare da zero. Già nel 2009 la scelta del presidente della Banca centrale era stata lunga e laboriosa. Questa volta sarà ancora più complessa.